Guerra della Lega di Cambrai: differenze tra le versioni
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[[File:Albrecht Dürer 083.jpg|miniatura|sinistra|Ritratto dell'Imperatore [[Massimiliano I d'Asburgo]] di [[Albrecht Dürer]]]]
Nel febbraio del 1508, [[Massimiliano I d'Asburgo|Massimiliano d'Asburgo]], usando come pretesto il viaggio a Roma per l'[[incoronazione]] imperiale, chiese di attraversare il territorio veneziano, malcelando così il suo vero scopo di strappare il [[Friuli]] all'influenza della Serenissima.<ref name=Pellegrini115>{{Cita|Pellegrini, 2009|p. 115}}.</ref> Il Senato veneziano rispose favorevolmente al passaggio di Massimiliano, ma dichiarò anche che non avrebbe tollerato che un intero esercito attraversasse il suo territorio, rendendosi disponibile a scortare l'asburgico. L'imperatore, vedendo tramontare il suo piano originario, ordinò di [[invasione del Cadore|invadere il Cadore]] (la provincia più settentrionale della Repubblica Veneta) con un esercito di {{formatnum:5000}} uomini. Una volta occupatolo senza fatica, vista la stagione fredda e nevosa, dovette far ripiegare in patria circa {{formatnum:3000}} soldati, lasciando comunque una guarnigione stanziata a [[Pieve di Cadore]].<ref name="Norwich-393"/><ref name=Pellegrini115-116>{{Cita|Pellegrini, 2009|pp.
Venezia, senza attendere oltre, fece marciare sul posto un esercito di {{formatnum:2000}} uomini, di stanza nelle caserme di [[Bassano del Grappa]] e guidato da [[Bartolomeo d'Alviano]], allo scopo di prendere alle spalle gli imperiali quando ormai ci si trovava in pieno inverno e con la neve alta. Con uno stratagemma i veneziani tesero un'imboscata all'esercito asburgico facendolo uscire dal [[Castello di Pieve di Cadore|Castello di Pieve]] per poi, nella famosa [[Battaglia di Cadore|battaglia di Rusecco]] del 2 marzo 1508, sterminarlo. Un secondo assalto portato avanti da una forza [[Contea del Tirolo|tirolese]] diverse settimane più tardi si concluse con un fallimento ancora più ampio: Alviano non solo sconfisse l'esercito imperiale, ma conquistò anche [[Trieste]], [[Pordenone]] e [[Fiume (Croazia)|Fiume]], costringendo Massimiliano a una tregua con Venezia.<ref name="Norwich-393"/><ref name=Pellegrini115-116/> Mortificato dall'onta della grave sconfitta, Massimiliano andò in cerca di [[Luigi XII di Francia]] allo scopo di accordarsi per un'alleanza in chiave anti veneziana.<ref name=Pellegrini116>{{cita|Pellegrini, 2009|p. 116}}.</ref>
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[[File:Louis XII et le cardinal d'Amboise.JPG|miniatura|Il re [[Luigi XII di Francia]] con il [[legato apostolico]] [[Georges I d'Amboise]], l'intervento di quest'ultimo fu molto importante per l'adesione del [[papa Giulio II]] alla [[lega di Cambrai]]]]
A metà marzo del 1508, la Repubblica di Venezia stessa fornì un pretesto per essere attaccata quando nominò il proprio candidato al vacante [[Armistizio di Lione|vescovado di Vicenza]] (un atto in linea con la consuetudine prevalente, anche se Giulio II la considerava una provocazione personale). Una dopo l'altra, le maggiori potenze europee furono coinvolte nella stipula di un patto di alleanza anti veneziano, riportando in attualità gli accordi che il papa aveva predisposto nel 1504 a Blois con i francesi e con l'Impero.<ref name=Pellegrini115 /> In particolare, Luigi XII di Francia, divenuto padrone di [[Milano]] dopo la [[Guerra d'Italia del 1499-1504|seconda guerra italiana]], si mostrò interessato a un'ulteriore espansione francese in Italia. Dopo una lunga trattativa che si protrasse per tutto il resto dell'anno, il 10 dicembre 1508 si incontrarono a [[Cambrai]]<ref name="Mallett p. 64"/> i rappresentanti della Francia, del Sacro Romano Impero e di [[Ferdinando II d'Aragona]]. Nella cittadina francese venne quindi fondata la [[Lega di Cambrai]], un accordo preliminare segreto per la formazione di una grande lega anti-veneziana, a cui furono invitati anche il papa Giulio II e [[Ladislao II di Boemia|Ladislao II]], il [[Re di Ungheria]].<ref>{{cita|Norwich, 1989|
Il papa non partecipò personalmente alla sottoscrizione, ma fu il [[legato apostolico]] in Francia e primo ministro di Luigi, [[Georges I d'Amboise]], a garantire il suo assenso.<ref name=Pellegrini116-117/> Nonostante il d'Amboise fosse un forte avversario di Giulio II, il pontefice decise comunque di schierarsi con la lega poiché riteneva di poter riconquistare le città della Romagna che in quel momento risultavano controllate da Venezia. Concordando l'apposizione della clausola che voleva che l'esercito pontificio avrebbe attaccato solo dopo che i francesi avessero incominciato le operazioni militari in Lombardia, il papa entrò ufficialmente nella lega il 23 marzo del 1509.<ref name=Pellegrini116-117>{{cita|Pellegrini, 2009|pp.
Nonostante tutti questi presupposti che muovevano i vari partecipanti alla lega, ufficialmente l'alleanza stipulata a Cambrai doveva avere come scopo contrastare l'[[Impero ottomano]] e, infatti, nel testo del trattato si menzionava una mobilitazione delle truppe delle potenze firmatarie per affrontare i [[turchi]] «la cui cupidigia rappresentava un fattore di divisione degli stati della cristianità»; tuttavia appariva chiaro che il vero obiettivo da colpire era la Serenissima.<ref name=Pellegrini115-116/> Precisamente, gli accordi segreti raggiunti in questa alleanza prevedevano la spartizione dei territori veneziani in questo modo:<ref>{{cita|Guiccardini|libro VIII, pp. 248-251}}.</ref><ref>{{cita|Shaw, 1993|pp. 228–234|Shaw, 1993}}.</ref><ref name=Pellegrini116/><ref>{{cita|Tenenti e Tucci, 1996|p. 284}}.</ref>
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Sebbene, di fronte al pericolo incombente, Venezia si offrisse il 4 aprile 1509 di restituire Faenza e Rimini allo Stato della Chiesa, il 23 marzo Giulio II aderì pubblicamente alla Lega di Cambrai, lanciando il 27 aprile la [[scomunica]] sulla Serenissima e nominando il Duca di Ferrara Alfonso I d'Este Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa. Venezia rispose alla scomunica proibendone, con la minaccia di pesanti pene, la pubblicazione nei propri territori. Sentendosi circondati, i veneziani pensarono anche di allearsi con gli ottomani, ma alla fine gli si profilò l'idea di intraprendere una strategia dilatoria in quanto certi che la lega si sarebbe sciolta perché debole dei contrasti interni che si sarebbero sviluppati.<ref>{{cita|Pellegrini, 2009|p. 117}}.</ref>
Il 15 aprile 1509, Luigi XII lasciò Milano a capo di un esercito francese e si mosse rapidamente in territorio veneziano. Per opporsi, Venezia assunse un [[Mercenario|esercito mercenario]] sotto il comando dei cugini [[Orsini]], i [[condottiero|condottieri]] [[Niccolò di Pitigliano]] come comandante e [[Bartolomeo d'Alviano]] come comandante in seconda, ma non riuscì a risolvere il loro disaccordo sul modo migliore per fermare l'avanzata francese. Infatti, se il primo era conosciuto come uno stratega calcolatore, incline a quella [[politica dell'equilibrio]] che aveva caratterizzato a lungo l'azione degli Stati italiani, il secondo proponeva una tattica più spregiudicata in linea con il suo temperamento irruente.<ref>{{cita|Pellegrini, 2009|pp.
Di fronte alla sconfitta e all'impossibilità di fronteggiare la potenza avversaria, la Repubblica decise l'evacuazione dei suoi [[Domini di Terraferma]] per concentrarsi sulla difesa della [[laguna di Venezia|laguna]], sciogliendo le [[Reggimento (Repubblica di Venezia)|province]] dall'obbligo di fedeltà. Il 15 maggio [[Caravaggio (Italia)|Caravaggio]] aprì le porte ai francesi e il 16 maggio cadde anche la sua rocca. Il 17 maggio Bergamo inviò a Luigi le chiavi della città, mentre Brescia sbarrò le porte ai veneziani in ritirata, consegnandosi senza alcuna resistenza significativa il 24 maggio ai francesi assieme a Cremona e Crema.<ref>{{cita|Mallett e Shaw, 2012|p. 90|Mallet&Shaw}}.</ref> Le principali città non occupate dai francesi, come Padova, Verona e Vicenza, Bassano e [[Feltre]], furono lasciate indifese dal ritiro di Pitigliano e si arresero rapidamente quando gli emissari imperiali di Massimiliano arrivarono nel Veneto.<ref>{{cita|Tenenti e Tucci, 1996|p. 286}}.</ref> La disfatta fu di tale portata che gli abitanti della laguna arrivarono a temere addirittura la fine della stessa Serenissima.<ref name=Pellegrini121-122>{{cita|Pellegrini, 2009|pp.
Il 31 maggio 1509 Venezia diede l'ordine di affondare la flotta del [[lago di Garda]], per impedire che cadesse in mano ai francesi. In breve le forze della lega occuparono tutta la Terraferma, giungendo fino ai margini della laguna, alle porte di Mestre, dove si era asserragliato Pitigliano. Il 10 giugno il tentativo di alcuni nobili di offrire agli imperiali la dedizione di Treviso fu impedito da una sollevazione popolare, che le valse l'invio di un contingente di supporto di 700 fanti e l'esenzione quindicennale della città dai tributi. Questo fu un fatto alquanto singolare in quel tempo, in cui era abbastanza normale che il controllo sulle varie popolazioni si succedesse tra un soggetto politico e l'altro senza che vi fossero opposizioni da parte dei cittadini.<ref>{{cita|Pellegrini, 2009|p. 122}}.</ref>
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A metà novembre, Pitigliano riprese l'offensiva; le truppe veneziane sconfissero facilmente le rimanenti forze imperiali, riprendendo il controllo di Vicenza, [[Este (Italia)|Este]], Feltre e [[Belluno]]. Anche se un successivo attacco a Verona fallì, durante l'azione Pitigliano distrusse un esercito pontificio comandato da Francesco II Gonzaga. La [[Battaglia di Polesella (1509)|battaglia di Polesella]], un attacco via fiume su Ferrara da parte della flotta di [[galea|galee]] veneziane comandate da Angelo Trevisan, non ebbe invece successo, perché le navi veneziane ancorate nel [[Po|fiume Po]] ferrarese furono affondate dall'artiglieria.<ref>{{cita|Norwich, 1989|p. 406|Norwich, 1989}}.</ref><ref>{{cita|Guiccardini|libro VIII, pp. 322-323}}.</ref> Una nuova avanzata francese costrinse però Pitigliano a ritirarsi a Padova ancora una volta.<ref name="Pellegrini">{{Cita|Pellegrini, 2009|p. 125}}.</ref>
Di fronte a una carenza di uomini in entrambi i fronti, il Senato veneziano decise di inviare, il 20 giugno, un'ambasciata al Papa al fine di negoziare un accordo e per esporre il pericolo che la presenza delle armate straniere rappresentava per l'intera Italia. I termini proposti dal Papa furono duri: la Repubblica perdeva il tradizionale diritto di nomina sul [[clero]] nei propri territori, la restituzione di tutte le città che erano state soggette in precedenza allo Stato della Chiesa e il pagamento di un indennizzo. Il Senato provò per oltre due mesi a trattare ma alla fine, il 24 febbraio 1510, dovette accettare le richieste papali. In realtà, il [[Consiglio dei Dieci]] veneziano aveva già deliberato che i termini di questa alleanza, accettati per pura necessità, non erano validi e che sarebbero stati rigettati alla prima occasione opportuna.<ref>{{cita|Norwich, 1989|pp.
Questa apparente riconciliazione tra Venezia e il Papa non trattenne i francesi da una nuova invasione del Veneto in marzo. A gennaio, la morte di Pitigliano fece sì che Andrea Gritti rimanesse da solo al comando delle forze veneziane; anche se Massimiliano non riuscì ad aiutare Luigi di Francia, l'esercito francese fu tuttavia sufficiente per espellere i veneziani da Vicenza entro maggio. Gritti presidiò Padova in previsione di un possibile attacco combinato dell'esercito franco-imperiale, ma Luigi, preoccupato per la morte del suo consigliere, il [[cardinale]] Georges I d'Amboise, abbandonò i suoi piani di assedio.<ref>{{cita|Norwich, 1989|pp.
Frattanto, l'11 settembre Venezia era giunta persino a ordinare al [[Balio (diplomatico)|balio]] di [[Costantinopoli]] e al [[Agente consolare|console]] di [[Alessandria d'Egitto]] di far pressione rispettivamente sulla [[Sublime Porta]] e sul [[Sultano]] [[Mamelucchi|mamelucco]], storici nemici ma anche alleati commerciali della Repubblica, affinché le accordassero consistenti prestiti e danneggiassero i commerci degli altri Stati europei, così che questi non avessero poi l'occasione, una volta sconfitta la Serenissima, di rivolgersi contro le potenze [[Islam|musulmane]].<ref>{{cita|Romanin, 1853|pp.
La situazione sul campo volgeva frattanto sempre più in favore di Venezia. Il 26 novembre Vicenza aprì le porte al Gritti e dopo tre giorni la guarnigione della lega cedette la cittadella. Vennero quindi riconquistate Bassano, Feltre, Belluno, [[Cividale del Friuli|Cividale]], [[Castelnovo del Friuli|Castel Nuovo]], [[Monselice]], [[Montagnana]] e il [[Polesine]].<ref>{{cita libro|titolo=Histoire des republiques italiennes du Moyen Age|anno=1846|pagina=32|isbn=no|url=https://books.google.it/books?id=zY4KM_Q71mcC&pg=PA32&lpg=PA32&dq=Bassano,+Feltre,+Belluno,+Cividale,+Castelnuovo,+Monselice,+Montagnana&source=bl&ots=ipROIE-Gj6&sig=ACfU3U0zZkuNBNDhbdfzv-WEryjhKhqTlw&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjP6oOnq_XiAhVM_qQKHSopC94Q6AEwAnoECAkQAQ#v=onepage&q=Bassano%2C%20Feltre%2C%20Belluno%2C%20Cividale%2C%20Castelnuovo%2C%20Monselice%2C%20Montagnana&f=false}}</ref>
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Nell'ottobre del 1511 le truppe Franco-imperiali [[Assedio di Treviso|assediano Treviso]] la cui città era stata ben fortificata dagli architetti militari veneziani. Non riuscendo nell'impresa mollano l'assedio.
Nel mese di febbraio 1512, Luigi di Francia nominò suo nipote, [[Gaston de Foix-Nemours]], al comando delle forze francesi in Italia. Foix dimostrò di essere più energico di quanto non lo fosse stato d'Amboise:<ref name="P127">{{Cita|Pellegrini, 2009|p. 127}}.</ref> dopo aver controllato l'avanzata delle truppe spagnole di [[Ramon de Cardona]] su Bologna, fece ritorno in Lombardia per [[sacco di Brescia|saccheggiare Brescia]], che si era ribellata contro le truppe francesi, ma non prima di aver sconfitto pesantemente le truppe veneziane a [[Valeggio sul Mincio|Valeggio]].<ref>{{cita|Pellegrini, 2009|pp.
A Ravenna si consumò lo scontro probabilmente più cruento di tutte le [[guerre d'Italia del XVI secolo]], e fu la prima battaglia in cui il ruolo predominate fu svolto dall'[[artiglieria]]. Alla conclusione delle operazioni, gli sconfitti contarono la perdita di oltre la metà delle proprie forze ma anche i vincitori dovettero registrare ingenti perdite. Tutto ciò fece sì che la vittoria sul campo si trasformasse nell'inizio della sconfitta per l'esercito francese.<ref name="P131"/>
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Il 3 maggio il Concilio Lateranense V annullò le decisioni di quello di Pisa e minacciò la scomunica al re di Francia, se si fosse ostinato a non restituire le terre della Chiesa e a detenere in prigionia il cardinale [[Papa Leone X|Giovanni de' Medici]], catturato a Ravenna. Il 5 giugno Venezia riprese Cremona, ricevendo nuovamente la dedizione di Bergamo. Frattanto, Giulio II riprendeva Rimini, Ravenna, Cesena e l'intera Romagna, mentre il francese de La Palice si rinchiudeva a [[Pavia]]. Anche Bologna, Reggio e Modena ritornarono in mani pontificie, mentre Parma e Piacenza vennero sottomesse in quanto antichi territori dell'[[Esarcato d'Italia|Esarcato bizantino]].<ref name="P131">{{cita|Pellegrini, 2009|p. 131}}.</ref>
Durante il maggio dello stesso anno, la posizione francese andò notevolmente a deteriorarsi. Giulio assunse un altro esercito di mercenari svizzeri che valicò di nuovo le [[Alpi]], attraverso la [[Valtellina]], e invase la Lombardia avvicinandosi ben presto a Milano, costringendo i francesi a mettersi in difesa della città. Nel contempo Genova si ribellò il 29 giugno, acclamando doge [[Giano Fregoso (1455-1525)|Giano Fregoso]]. Una [[Dieta (storia)|dieta]] a Mantova pose sul trono del Ducato di Milano [[Massimiliano Sforza]], primogenito di [[Ludovico il Moro]], facendo entrare anche Milano nella Lega. Le guarnigioni francesi abbandonarono la Romagna (dove il duca di Urbino rapidamente prese Bologna e Parma) e si ritirarono in Lombardia, nel tentativo di impedire l'invasione. Ad agosto, gli svizzeri si unirono all'esercito veneziano, costringendo Trivulzio, convinto di non disporre di forze sufficienti per contrastare tale minaccia, ad abbandonare Milano, permettendo allo Sforza di essere nominato Duca grazie al loro sostegno.<ref name="P131"/> In seguito, La Palice fu costretto a ritirarsi attraverso le Alpi con Giulio II che pronunciò la famosa frase: «Fuori i barbari!».<ref>{{cita|Norwich, 1989|pp.
Alla fine di agosto, i membri della Lega si incontrarono a Mantova per discutere la situazione in Italia (in particolare la spartizione del territorio conquistato ai francesi). Un accordo venne raggiunto rapidamente per quanto riguardava [[Firenze]], che aveva irritato Giulio perché aveva permesso a Luigi di convocare il concilio di Pisa nel suo territorio. Su richiesta del Papa, Ramon de Cardona marciò in [[Toscana]], sconfiggendo la resistenza fiorentina grazie a una forza di circa {{formatnum:6000}} ''[[tercios]]'' e con solo due cannoni, rovesciando la Repubblica (guidata dal [[gonfaloniere]] [[Pier Soderini]] e che vedeva tra i suoi più alti funzionari [[Niccolò Machiavelli]]) e insediando come governante della città [[Giuliano de' Medici duca di Nemours|Giuliano de' Medici, futuro duca di Nemours]], che si dimostrò un fedele alleato del Papa.<ref>{{cita|Pellegrini, 2009|pp. 135, 138}}.</ref> Il 18 settembre Brescia si arrese al [[viceré di Napoli]] e ai veneziani. Legnago si arrese agli imperiali, Crema ai veneziani e Novara allo Sforza, che il 29 settembre ricevette dagli svizzeri le chiavi di Milano, con l'impegno alla difesa della città. Alla fine dell'anno una dieta a Roma cercò di ricomporre i dissidi tra Venezia e l'Imperatore, che si rifiutava di restituire Legnago, Padova, Verona, Treviso e Crema senza compenso.<ref>{{cita|Hibbert, 1993|p. 168|Hibbert, 1993}}.</ref>
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[[File:Marignano.jpg|miniatura|Raffigurazione della [[battaglia di Marignano]]]]
La morte di Luigi XII, avvenuta il 1º gennaio 1515, portò [[Francesco I di Francia|Francesco I]], nipote acquisito di Giulio II, al trono; rivendicato il titolo di Duca di Milano, mosse immediatamente in Italia per reclamare i propri diritti contando sul forzato assenso di papa Leone.<ref>{{cita|Pellegrini, 2009|p. 144}}.</ref> A luglio, Francesco assemblò un consistente esercito nel [[Delfinato]] che contava ben {{formatnum:11000}} combattenti destinati alla [[cavalleria pesante]] a cui si affiancava una fanteria forte di {{formatnum:30000}} armati. A questi si aggiunsero altre truppe mercenarie costituite da {{formatnum:10000}} fanti [[guasconi]] e circa {{formatnum:23000}} lanzichenecchi. Nello stesso momento, un esercito combinato svizzero e pontificio si spostò a nord di Milano bloccando i passi alpini, tuttavia Francesco, seguendo il consiglio di Gian Giacomo Trivulzio, evitò i valichi principali e marciò attraverso la [[Stura di Demonte|valle della Stura]].<ref>{{cita|Norwich, 1989|p. 430|Norwich, 1989}}.</ref><ref>{{cita|Pellegrini, 2009|pp.
== Epilogo ==
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