Fossò: differenze tra le versioni

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Ma i mezzi economici don Roncaglia non li aveva, non sapeva come reperirli e, soprattutto, non voleva contrarre debiti. Così l’ardito progetto non ebbe seguito.
 
Fu il vescovo Carlo Agostini, nella visita pastorale del 17 marzo 1937, a prendere atto della necessità della costruzione di una nuova chiesa e consigliò il parroco e la popolazione a ripensare nuovamente a un nuovo progetto. Ben presto ci si rese conto che, a causa dell’esiguità dell’area, l’idea dell’ingegner Chemello avrebbe permesso l’esecuzione di un edificio non molto più grande di quello presente. Si decise perciò di acquistare un ettaro di terreno nelle vicinanze. Il Chemello ripropose un nuovo progetto e si iniziarono i lavori nel luglio del 1939. Si procedette regolarmente e senza fretta fino alla sospensione dovuta alla mancanza di ferro e cemento a causa delle limitazioni poste dal secondo conflitto mondiale. Alla morte di don Roncaglia, avvenuta nel 1949, fu nominato parroco don Mario Pinton, che portò a termine i lavori. Il 19 marzo 1957 il vescovo Girolamo Bortignon inaugurava solennemente il grandioso edificio sacro in stile neogotico.
 
Tra le opere più significative conservate al suo interno, sono degne di nota le due pale d’altare dell’artista veneziano Ernani Costantini, raffiguranti San Francesco d’Assisi (1982) e Santa Caterina da Siena (1983).
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Tra le opere d’arte più antiche, meritano di essere ricordati i due altari trasferiti dalla chiesa settecentesca. Il primo conserva il dipinto raffigurante san Lorenzo (recentemente restaurato) e il secondo la statua della Madonna. Il san Lorenzo è firmato “Vason 1894”, ma presumibilmente si tratta di un’opera più antica, in quanto don Giuseppe Bellini nei suoi scritti afferma che il Vason l’ha solo restaurato.
 
Di un certo interesse è il dipinto raffigurante la “Madonna del Rosario”, eseguito su lamina di rame alla fine del Seicento, conservato in sacrestia, dove si possono ammirare anche i ritratti dei parroci di Fossò susseguitisi nel tempo. Notevole è infine il portale in bronzo che dà accesso alla chiesa. Opera dell’artista padovano Sergio Rodella, al suo interno sono raffigurate, oltre alle immagini dei vescovi Girolamo Bortignon e Filippo Franceschi, quelle dei papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I.
 
=== L'oratorio della Madonna del Rosario di Campoverardo donato al cappellano di Fossò attraverso la "Mansioneria Mescalchin" ===
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L’ipotesi potrebbe trovare conferma dal rinvenimento, avvenuto durante la demolizione del palazzo, di alcune strutture murarie assegnabili a un edificio antecedente alla fabbrica quattrocentesca.
[[File:Villa Contarini Muneratti a Fossò prima della demolizione.jpg|miniatura|Palazzo Contarini poi Muneratti in una foto scattata prima della sua demolizione avvenuta alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso]]
In seguito, la famiglia Contarini cedette il palazzo al Vescovado di Padova. Sopra al maestoso arco d’ingresso al giardino fu collocato uno stemma con il leone rampante: l’arma della nobile famiglia Pisani e una lapide per ricordare un restauro probabilmente operato nel XVI secolo. Con buona probabilità l’intervento fu commissionato dal vescovo Francesco Pisani (1525-1567), nominato cardinale in giovanissima età da papa Leone X. Della lapide non esistono trascrizioni attendibili, è dunque difficile chiarire se si tratti di Francesco oppure del nipote Alvise Pisani (1522-1570), succeduto allo zio alla guida della Curia padovana. Una mappa della seconda metà del Seicento indica l’edificio come ''casa canonica del Vescovado,'' mettendo in evidenza l’imponente cinta muraria e il maestoso portale.
 
Verso la metà dell’Ottocento, Gaetano Muneratti, residente in un antico edificio con portici bugnati (in origine della famiglia veneziana Da Mula) tuttora esistente e ubicato poco lontano dalla chiesa, acquistò il palazzo quattrocentesco e lo assegnò al figlio Sebastiano. L’intera struttura rimase intatta fino al 1943, anno di divisioni dei beni tra i Muneratti che portarono l’edificio a un inesorabile declino.
 
Cesare Muneratti (1875-1966), ultimo erede della famiglia del ramo di Fossò, non dimostrò attaccamento all’antica dimora, di cui rimase usufruttuario fino alla morte. Uomo piuttosto singolare, nel corso della sua lunga e movimentata esistenza egli vendette in più occasioni tutto ciò che gli apparteneva, ipotecando in parte anche il grande palazzo, cedendo mobili e suppellettili di pregio: fece smantellare l’alto muro di cinta con il maestoso portale per vendere i mattoni, cui fece seguito la vendita dei terreni e l’abbattimento degli alberi secolari.
 
Caduto in rovina e abbandonato all’incuria più totale, prima della sua distruzione il palazzo ospitò, sia pure in promiscuità, un certo numero di famiglie e perfino una piccola fabbrica di scarpe.
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Al di là dei ricordi e delle immagini, di tutto ciò non resta che il rimpianto per la perdita di un edificio monumentale: sicuramente tra i primi e più
 
antichi esempi di villa veneta edificati nella terraferma. Se le tristi vicende legate alla distruzione fossero andate diversamente, oggi la sua
 
presenza sarebbe sicuramente un vanto per i cittadini di Fossò e per gli appassionati di arte e di storia.
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Padre ''Rafael Maria Fabretto Michieli'' (così fu poi chiamato in Nicaragua), per la sua grande umanità ebbe importanti riconoscimenti e gli fu perfino dedicato un francobollo con la sua immagine e la dedica ''“a padre Fabretto benefattore dell’infanzia Nicaraguense”.''
 
Oggi quella che in Nicaragua è denominata ''l’Organizzazione Fabretto,'' si prende cura di oltre 40 mila.000 giovani in 9 centri educativi da lui fondati e in oltre 400 scuole pubbliche locali.
[[File:Padre Favretto.jpg|miniatura|Padre Raffaello Favretto con i ''“suoi”'' ragazzi in Nicaragua.