Fossò: differenze tra le versioni
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=== Antica chiesa parrocchiale dedicata a san Bartolomeo ===
Un piccolo mistero avvolge le origini della primitiva chiesa di Fossò. Il più antico documento rinvenuto che ne cita l’esistenza, risale al 2 giugno 1085: è un contratto di vendita tra Giovanni ''di prete Rozo'', Serena Guiperga, Giovanni e Domenica a favore di Cono riguardante una masseria ''in loco et fundo Fossato que iacet non longe da Ecclesia Sancto Martino.''
Le notizie successive riguardanti il sacro edificio sono del 18 giugno 1130, quando il vescovo di Padova san Bellino, nel confermare ai canonici della cattedrale i beni avuti in dono dai suoi predecessori, dichiara: ''“Ego Bellinus paduanus… ''concedo ''capellam Sancti Bartholomei de Fossato”
[[File:Chiesa antica san Bartolomeo.jpg|miniatura|L'antica chiesa dedicata a san Bartolomeo]]
Tra i primi rettori della chiesa di cui si ha notizia è ricordato nel 1297 ''“presbiter Galbertus”.''
La chiesa dedicata a san Bartolomeo fu consacrata
MCCCXXXV INDICTIONE III DI MARIAE VIII SEPT. FUIT CONSECRATA ECCLESIA SAN BARTOLOMEI.
Nel corso della visita pastorale avvenuta nell’ottobre del 1489 al tempo del vescovo Pietro Barozzi, sono annotate importanti notizie sull’antica chiesa così descritta: ''“La cappella di san Bartolomeo di Fossati'' (Fossò) ''sotto la pieve di Sarmacia'' (Vigonovo) ''è larga sei passi, lunga nove, è alta dieci piedi dove inizia il soffitto. È divisa in due parti da un muretto di laterizio alto quattro piedi. Ha tre altari, uno al centro della parete orientale e altri due nella parte delle donne. Ci sono altri due altari non consacrati e che non devono essere consacrati, uno a destra e uno a sinistra dell’altare centrale. Il soffitto è tutto di legno tappezzato con dei quadrati che lo compongono. Le pareti in parte sono bianche, in parte dipinte. Il pavimento è in cotto a spina di pesce. Il beneficio è di 36 campi che vengono dati in affitto, si raccoglie anche il quartese relativamente a tutti i parrocchiani. C’è la fraglia'' (confraternita) ''di San Sebastiano”
Nel corso della citata visita pastorale, il parroco di Fossò don Paolo Contarini documentava la presenza
La visita pastorale del vescovo Antonio Giustiniani è la prima dopo i lavori di risistemazione della chiesa avvenuti nel 1761, come documenta l’iscrizione posta nella facciata: ''“Per Iddio Uno e Trino e per San Bartolomeo il tempio che era piccolo e rozzo fu ampliato e ornato con lavoro unanime dei fedeli della parrocchia nell’anno del Signore 1761”.''
Con il rinnovamento della chiesa, sopra il timpano furono poste le statue dei santi Bartolomeo, Lorenzo e Gaetano. Nelle nicchie della facciata, rimaste vuote fino al 1920, furono poste delle statue raffiguranti i santi Pietro e Paolo donate dal prof. Vittorio Menin di Camponogara, nipote del parroco di Fossò Fortunato Menin.
I lavori di abbellimento della chiesa coinvolsero anche la parte interna con decorazioni a stucco e con l’esecuzione dell’affresco, attribuito al pittore veneziano Giambattista Canal, raffigurante
Con l’ampliamento del 1761, la chiesa si rivelò ancora insufficiente per le necessità della parrocchia. Negli ''
Con la costruzione della nuova chiesa edificata nel secolo scorso in un terreno vicino, l’antica parrocchiale perse la sua funzione originaria e fu chiusa. Gli altari e le statue presenti all’interno, così come l’antico organo posto sul ballatoio ligneo sopra la porta d’ingresso, gli arredi e alcuni dipinti furono trasferiti nel nuovo edificio, mentre altre opere d’arte furono vendute per affrontare i debiti contratti per la nuova parrocchiale. Dal 1957 in poi gli spazi interni dell’antica chiesa furono utilizzati per gli usi più diversi: teatro parrocchiale, magazzino, sala giochi, palestra e perfino ''campo da pallavolo.''
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[[File:Crocifisso Trecentesco.jpg|miniatura|Il Crocifisso Trecentesco]]
Di importante valore storico-artistico è il ''Crocifisso'' "gotico doloroso" risalente alla fine del Trecento e attribuito alla famiglia di artisti veneziani Moranzone. La preziosa opera è stata valorizzata attraverso un attento restauro eseguito da Giorgia Busetto e Sara Grinzato sotto il diretto controllo della Soprintendenza. Concluso nel 2019, il restauro ha messo in evidenza splendidi dettagli originali nascosti dal tempo e da interventi precedenti. Il recupero del Crocifisso è stato coordinato da Diego Mazzetto che ha raccolto i fondi da sponsor privati, tra cui il Rotary club Venezia Riviera del Brenta, l'associazione Cavalieri al Merito
[[File:Dipinto Longhi .jpg|miniatura|Il dipinto di Alessandro Longhi documentato come ultima opera dell'artista prima della sua morte]]
della Repubblica Italiana della Riviera del Brenta, il Comune di Fossò, aziende e privati. All'inaugurazione dell'opera, avvenuta il 7 aprile 2019, hanno partecipato oltre 500 persone.
Completano il patrimonio artistico della chiesa il dipinto dell'altare maggiore attribuito a Pier Antonio Novelli, la ''Via Crucis'' con incisioni del Settecento e l'affresco sul soffitto raffigurante
=== Nuova chiesa arcipretale ===▼
▲incisioni del Settecento e l'affresco sul soffitto raffigurante "la gloria di San Bartolomeo", attribuito al pittore veneziano Giambattista Canal.
▲===Nuova chiesa arcipretale===
[[File:La nuova chiesa arcipretale..jpg|miniatura|La nuova chiesa arcipretale.]]
Don Giovanni Roncaglia, originario di Centrale di Zugliano (Vicenza), nel giorno del suo ingresso a Fossò, avvenuto nel 1909, notò come in chiesa la gente fosse stipata per mancanza di spazio e subito pensò
Giunse intanto la Prima guerra mondiale con le conseguenti difficoltà. Nel 1928 a don Roncaglia sembrò propizio il momento per tentare
Ma i mezzi economici don Roncaglia non li aveva, non sapeva come reperirli e, soprattutto, non voleva contrarre debiti. Così l’ardito progetto non ebbe seguito.
Fu il vescovo Carlo Agostini, nella visita pastorale del 17 marzo 1937, a prendere atto della necessità della costruzione di una nuova chiesa e consigliò il parroco e la popolazione a ripensare nuovamente a un nuovo progetto. Ben presto ci si rese conto che, a causa
Tra le opere più significative conservate al suo interno, sono degne di nota le due pale d’altare dell’artista veneziano Ernani Costantini, raffiguranti ''San Francesco d’Assisi'' (1982) e ''Santa Caterina da Siena'' (1983).
Molto interessanti anche il ''Crocifisso'', la ''Via Crucis'' e il ciclo delle ''Opere di Misericordia'' di Orlando Tisato, realizzati negli anni Ottanta del secolo scorso su commissione del parroco don Giancarlo Broetto.
Di grande intensità e realismo, nella navata destra, si può ammirare il capolavoro del pittore locale Germano Cabbia raffigurante alcuni giovani di Fossò con
Da segnalare anche la presenza di interessanti formelle presso l’altare maggiore eseguite dall’artista trevigiano Carlo Balljana.
Tra le opere d’arte più antiche, meritano di essere ricordati i due altari trasferiti dalla chiesa settecentesca. Il primo conserva il dipinto raffigurante san Lorenzo (recentemente restaurato) e il secondo la statua della Madonna. Il
Di un certo interesse è il dipinto raffigurante la
=== L'oratorio della Madonna del Rosario di Campoverardo donato al cappellano di Fossò attraverso la "Mansioneria Mescalchin" ===
Costruito dalla famiglia di origine veneziana Sansoni, insieme alla villa padronale di Campoverardo nella seconda metà del Seicento, l’oratorio della Madonna del Rosario si trova nella curiosa situazione di essere inserito nel giardino di una proprietà privata a Campoverardo, nel comune di Camponogara, e in dote alla parrocchia di Fossò.
[[File:Oratorio della Madonna del Rosario a Campoverardo..png|miniatura|L'oratorio della Madonna del Rosario a Campoverardo.]]
La proprietà dell’area dove sorge la chiesetta è della famiglia Giantin da più di un secolo: famiglia che, da sempre, cura la manutenzione del piccolo edificio sacro con esemplare attenzione, restaurando a proprie spese, oltre al tetto e al soffitto, anche la splendida pala raffigurante
Fu
Il racconto di questo episodio di fede, molto documentato, può essere utile per la comprensione dell’usanza da parte delle famiglie nobili, o possidenti, di donare dei beni alla chiesa (nel nostro caso fabbricati e fondi agricoli), attraverso la cui rendita il ''mansionario'', (in questo frangente il cappellano di Fossò), otteneva il necessario sostentamento in cambio del quale era tenuto a celebrare una messa quotidiana perpetua (nella chiesa parrocchiale di Fossò nei giorni festivi, e nell’oratorio di Campoverardo nei giorni feriali), in suffragio dell’anima del testatore e dei suoi famigliari defunti. Tali ''mansionari,'' regolate da atto notarile, hanno rappresentato in molti casi una fonte di preoccupazione per le famiglie, incapaci di soddisfare un impegno (cui era impossibile sottrarsi) e che, stando alle volontà del testatore, si protraeva con effetto giuridico di padre in figlio, ''per l’eternità.''
[[File:Interno oratorio.jpg|miniatura|L'interno dell'oratorio]]
In occasione di un documento redatto per l’esecuzione di urgenti lavori di restauro dell’oratorio di Campoverardo avvenuti nei primi decenni del secolo scorso, il parroco di Fossò don Roncaglia ricostruiva la vicenda testamentaria di Francesco Mescalchin con le seguenti parole: ''“Attraverso il testamento datato primo febbraio 1831, pubblicato dalla I.R. Pretura di Dolo il 23 marzo 1840, Francesco Mescalchin detto Maretto istituiva una Mansioneria perpetua per la celebrazione di una messa quotidiana nei giorni festivi nella chiesa parrocchiale di Fossò e nei giorni feriali nel suo oratorio di Campoverardo. La mansioneria fu fondata sopra alcuni immobili e possedimenti agricoli situati a Fossò e Camponogara”.'' In sostanza, nei modi di pensare del tempo, pochi campi di terra e qualche casa sarebbero bastati, per i secoli a venire, al sostentamento del cappellano di Fossò obbligato a celebrare ''“in perpetuo”'' le messe in suffragio dell’anima del pio testatore.
Per la sua splendida doppia facciata (una rivolta a ovest verso la villa e l’altra a nord verso la strada), l’oratorio è sicuramente tra i più preziosi del territorio.▼
▲Per la sua splendida doppia facciata (una rivolta a ovest verso la villa e
È all'interno che si coglie pienamente il fascino di questo piccolo scrigno di fede, dove il tempo sembra davvero essersi fermato. Suggestioni che prendono vita dallo scialbo dei muri dai quali emergono figure di santi affrescati, dalla raccolta sagrestia che conduce a un piccolo vano protetto da grate, dove i padroni di casa giungevano attraverso il giardino della villa per assistere alla messa in raccolta meditazione. Tutto ciò narra vicende lontane e, per certi versi, misteriose.
Di epoca incerta risultano i numerosi rosari incisi nel marmorino esterno dell’oratorio, probabili ex voto di fedeli devoti alla Madonna del Rosario, venerata in questo luogo da più di trecento anni dalla popolazione di Campoverardo e dei paesi limitrofi.
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Il palazzo appartenne alla nobile famiglia Contarini di Venezia, come testimoniavano gli stemmi nobiliari ripetuti nelle finestre gotiche, ed era probabilmente frutto della ristrutturazione di una costruzione più antica, come ha evidenziato il prof. Mario Poppi in una sua recente pubblicazione su Sambruson di Dolo (Ve) citando un documento che ricorda la sottoscrizione, nel 1288, di un documento da parte della famiglia Dalesmanini nella ''casa di Fossò''.
[[File:Villa Contarini Muneratti a Fossò prima della demolizione.jpg|miniatura|Palazzo Contarini poi Muneratti in una foto scattata prima della sua demolizione avvenuta alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso]]
In seguito, la famiglia Contarini cedette il palazzo al Vescovado di Padova. Sopra al maestoso arco d’ingresso al giardino fu collocato uno stemma con il leone rampante: l’arma della nobile famiglia Pisani e una lapide per ricordare un restauro probabilmente operato nel XVI secolo. Con buona probabilità l’intervento fu commissionato dal vescovo Francesco Pisani (1525-1567), nominato cardinale in giovanissima età da papa Leone X. Della lapide non esistono trascrizioni attendibili, è dunque difficile chiarire se si tratti di Francesco oppure del nipote Alvise Pisani (1522-1570), succeduto allo zio alla guida della Curia padovana. Una mappa della seconda metà del Seicento indica l’edificio come ''casa canonica del Vescovado,'' mettendo in evidenza l’imponente cinta muraria e il maestoso portale.
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