Francesco Filelfo: differenze tra le versioni

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Nel [[1427]] accettò un nuovo invito delle autorità veneziane a riprendere la sua carriera di insegnante universitario. Da allora, la vita di Filelfo, che si sviluppò nei principali centri della cultura italiani ([[Venezia]], [[Milano]], [[Firenze]], [[Siena]]), fu un alternarsi continuo fra lezioni universitarie, pubblicazioni di suoi scritti, amicizie con personaggi altolocati e dispute accese con i suoi avversari. Fu infatti uomo di grande vigoria fisica, con un'inesauribile energia intellettuale, un uomo dalle violente passioni e dai molti desideri; una persona orgogliosa, irrequieta, avida di soldi e gloria, incapace di fermarsi in una sede e sempre impegnato in ''querelle'' con i dotti del tempo.
 
Giunto a Venezia con la sua famiglia, trovò la popolazione della città decimata dalla [[peste]]. Si spostò quindi nel [[1428]] a [[Bologna]], dove però i contrasti politici non consentivano un clima favorevole. Si trasferì allora a Firenze dove iniziò il periodo più intenso e brillante della sua vita, dal [[1429]] al [[1434]]. Fu molto attivo come traduttore di testi greci classici: [[Omero]], [[Aristotele]], [[Plutarco]], [[Senofonte]], [[Lisia]] in particolare. Durante la settimana illustrava i principali autori della letteratura latina, mentre, la domenica, spiegava Dante alla gente nella chiesa di [[Cattedrale di Santa Maria del Fiore|Santa Maria del Fiore]]. Questa ''Lectura Dantis'', condotta anche in sede accademica, era volta a fornire una legittimazione politica all'oligarchia repubblicana allora al potere in città, il che lo mise in rotta di collisione con i [[Medici]] ed il suo collega [[Carlo Marsuppini|Marsuppini]] che, tra l'altro, aveva proposto di ridurre lo stipendio ai docenti universitari allo scopo di indurre Filelfo ad andarsene.<ref name="treccani">{{cita web|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-filelfo_%28Dizionario-Biografico%29/}}</ref>
 
Per i motivi suddetti, oltre che per il suo carattere, giunse a scontrarsi con [[Cosimo de' Medici]] e la sua cerchia. Così, quando Cosimo, in seguito alla lotta con la famiglia degli [[Albizzi]], fu esiliato nel [[1433]], Filelfo cercò invano di convincere la [[signore (titolo nobiliare)|signoria]] a [[pena di morte|condannarlo a morte]] in una violenta satira contro i Medici (''Sat.'' IV, 1). Ovviamente, al ritorno di Cosimo a Firenze, la posizione di Filelfo non era più sostenibile. Come egli asserì, la sua vita era già stata messa in pericolo, per volontà degli stessi [[Medici]], allorché, il 18 maggio 1433, fu pugnalato da un [[Imola|imolese]]. Al processo che ne seguì, il [[Rettore (università)|rettore]] stesso dello Studio (università) ammise di essere stato il mandante dell'attentato, probabilmente per coprire le responsabilità di Cosimo.<ref>{{cita web|urlname=https:"treccani"//www> Di conseguenza accettò prontamente l'invito fattogli dalla città di [[Siena]], dove non rimase che quattro anni, dal [[1434]] al [[1438]], a causa del permanere dei contrasti con la signoria medicea.treccani Infatti, in seguito ad un altro fallito attentato nei suoi confronti da parte dello stesso mandante - al cui sicario fu amputata una mano come punizione - lo stesso Filelfo ricorse ai medesimi metodi.it/enciclopedia/francesco Pagato un sicario per attentare alla vita dei suoi nemici fiorentini, nonostante il fallimento del tentativo -filelfo_%28Dizionario cui seguì la medesima punizione -Biografico%29/}} Filelfo fu bandito dalla città di Firenze e, in caso di cattura, gli sarebbe stata mozzata la lingua.</ref name="treccani"/>
Di conseguenza accettò prontamente l'invito fattogli dalla città di [[Siena]], dove non rimase che quattro anni, dal [[1434]] al [[1438]], a causa del permanere dei contrasti con la signoria medicea. Infatti, in seguito ad un altro fallito attentato nei suoi confronti da parte dello stesso mandante - al cui sicario fu amputata una mano come punizione - lo stesso Filelfo ricorse ai medesimi metodi. Pagato un sicario per attentare alla vita dei suoi nemici fiorentini, nonostante il fallimento del tentativo - cui seguì la medesima punizione - Filelfo fu bandito dalla città di Firenze e, in caso di cattura, gli sarebbe stata mozzata la lingua.<ref>{{cita web|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-filelfo_%28Dizionario-Biografico%29/}}</ref>
 
[[File:Satyrarum hecatostichon. Francesco Filelfo 01.jpg|miniatura|sinistra|"Satyrae hecatosticae", un insieme di cento composizioni satiriche in esametri.]]
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Le orazioni e i poemi scritti su commissione gli procurarono introiti aggiuntivi, che non erano mai sufficienti a garantirgli il tenore di vita elevato che desiderava: perciò le sue lettere, talora vere e proprie adulazioni letterarie, abbondano di richieste di denaro ai suoi patroni.
 
Durante il secondo anno del soggiorno milanese, Filelfo perse sua moglie. Si risposò presto con una rappresentante delle famiglie milanesi più famose, [[Orsina Osnaga]], alla cui morte sposò in terze nozze [[Laura Maggiolini]].<ref>{{cita libro|autore=Carlo Rosmini|titolo=Vita di Francesco Filelfo da Tolentino|url=https://archive.org/details/vitadifrancesco00filegoog|anno=1808|città=Milano}}</ref> Da questi matrimoni ebbe ben ventiquattro figli, dodici maschi ed altrettante femmine.<ref>{{cita web|urlname=https://www."treccani.it/enciclopedia/francesco-filelfo_%28Dizionario-Biografico%29/}}<"/ref> A quanto emerge dal suo epistolario (di cui l'unica edizione completa è quella curata da Émile Legrand, lavoro encomiabile, ma con limiti notevoli nell'impostazione [[ecdotica]]), Filelfo fu profondamente legato a tutte e tre le mogli, nonostante le numerose occasioni di infedeltà che si procurava. Anche questo fu un tratto del suo carattere arrogante e irrequieto, ma allo stesso tempo sentimentale.
 
Alla morte di Filippo Maria Visconti ([[1447]]), trascorso il breve periodo della [[Aurea Repubblica Ambrosiana|Repubblica Ambrosiana]] (1447-1450), Filelfo, dopo una breve esitazione, strinse alleanza con [[Francesco Sforza]], nuovo principe di Milano, del cui figlio [[Ludovico Sforzail Moro|Ludovico Maria]] fu precettore e insegnante di greco e latino. Al duca Francesco dedicò il sopracitato poema epico ''Sphortias'' ([[Sforziade]]).<ref>{{cita web|url=http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/17594/974123-1243962.pdf?sequence=2|titolo=La 'virtus' di Francesco Sforza nelle opere di Filelfo, Cornazzano e Simonetta (tesi di Laurea Magistrale di Bianca Maria Sforza, A.A. 2019-2020)|p=35|accesso=10 settembre 2021}}</ref>
 
Accolto alla corte di [[Ludovico III Gonzaga]], nel [[1459]] tenne l'orazione latina che accolse [[papa Pio II]] per il [[Concilio di Mantova (1459)|Concilio di Mantova]].<ref>{{cita libro|Kate|Simon|I Gonzaga. Storia e segreti|2001||Ariccia}}</ref>