Secessione dell'Aventino: differenze tra le versioni

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Tra l'agosto e l'ottobre 1924, alcuni leader dell'Aventino, tra cui [[Giovanni Amendola]], sembrarono condividere la linea insurrezionale a carattere militare portata avanti da una parte dell'associazione combattentistica antifascista ''[[Italia libera]]''. Si costituì clandestinamente a Roma un primo nucleo armato denominato “Amici del Popolo” composto da alcune migliaia di uomini<ref>Luciano Zani, ''Italia libera, il primo movimento antifascista clandestino (1923-1925)'', Laterza, Bari, pp. 93-94</ref>. In una relazione al Comitato esecutivo dell'[[Internazionale Comunista]], l'8 ottobre 1924, [[Palmiro Togliatti]] stimò in 7.000 uomini i componenti di tale nucleo romano, sostenendo che circa 4.000 fossero controllati dai suoi "infiltrati" comunisti<ref>Palmiro Togliatti, ''Opere'', vol. I, Roma, 1967, pp. 836-837</ref>.
 
Il 12 settembre 1924, per vendicare la morte di Matteotti, il militante comunista [[Giovanni Corvi]] uccise in un tram il deputato fascista [[Armando Casalini]], provocando un ulteriore irrigidimento della compagine governativa. Il 20 ottobre il leader comunista [[Antonio Gramsci]] propose invano che l'opposizione aventiniana si costituisse in "antiparlamento", in modo da segnare nettamente la distanza tra i secessionisti e un Parlamento composto di soli fascisti. Inoltre, Gramsci avanzò al «Comitato dei sedici» - il nucleo dirigente dei gruppi aventiniani - la proposta di proclamare lo sciopero generale che però fu respinta, soprattutto a causa del pessimo ricordo del clamoroso fallimento dello [[sciopero legalitario]] alla vigilia della [[marcia su Roma]]. I comunisti uscirono allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione».<ref>Lettera a Giulia Schucht, 22 giugno 1924</ref>
 
Negli ultimi due mesi del 1924, Amendola decise di abbandonare la velleitaria linea insurrezionale, ritornando alla scelta iniziale di confidare sull'appoggio del sovrano per scalzare Mussolini. Tramite il [[gran maestro]] del [[Grande Oriente d'Italia]] [[Domizio Torrigiani]], Amendola, iscritto alla [[massoneria]], era venuto in possesso di due memoriali che accusavano Mussolini come mandante del delitto Matteotti. Il primo di [[Filippo Filippelli]], coinvolto nel delitto per aver fornito ai sequestratori la [[Lancia Lambda]] su cui il deputato socialista era stato rapito ed ucciso<ref>[http://books.google.it/books?id=k5ElJqytAvUC&pg=PA170&dq=%22Filippo+Filippelli%22&lr=&cd=15#v=onepage&q=%22Filippo%20Filippelli%22&f=false Enzo Magrì] books.google.it</ref>. In esso Filippelli accusava [[Amerigo Dumini]], [[Cesare Rossi]], il [[Quadrumvirato|quadrumviro]] [[Emilio De Bono]] e lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Si citava inoltre l'esistenza di un organismo di polizia politica interno al Partito nazionale fascista, la cosiddetta [[Čeka]] fascista, diretta dal Rossi, dal quale sarebbe stato organizzato l'assassinio<ref>[[Peter Tompkins]], ''Dalle carte segrete del Duce'', Marco Tropea, Milano, 2001, p. 174</ref>. Il secondo, di analogo contenuto, del capo della polizia segreta Cesare Rossi, su cui Mussolini stava tentando di rovesciare ogni responsabilità. In una riunione con Torrigiani ed [[Ivanoe Bonomi]], anch'egli massone, si decise che quest'ultimo, che aveva libero accesso al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]], avrebbe sottoposto i due memoriali in visione a Re [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] per convincerlo a licenziare Mussolini e formare un governo militare di transizione. L'incontro avvenne ai primi di novembre del 1924 ma non ebbe alcun esito. Il re, infatti, quando si rese conto delle terribili accuse contenute nei due memoriali, si nascose il viso dicendo di "essere cieco e sordo", e che i suoi occhi e le sue orecchie erano la camera ed il senato. Quindi, riconsegnò i documenti al loro latore senza prendere provvedimenti.<ref>{{Cita libro|titolo=L'età contemporanea|autore=Peppino Ortoleva e Marco Revelli|editore=Bruno Mondadori|città=Milano|anno=1998|pagina=123}} Secondo Ortoleva e Revelli, però, ad incontrarsi con il re non fu Bonomi, bensì il senatore [[Pompeo di Campello (1874)|Campello]]. Anche il senatore [[Ettore Viola|Viola]], secondo la testimonianza di [[Emilio Lussu]], fece un tentativo di convincere il sovrano. Presidente dell'Associazione Nazionale Combattenti, Viola si recò con una delegazione a [[San Rossore]], ma senza risultati: "Mia figlia, stamani, ha ucciso due quaglie": così Vittorio Emanuele III rispose a Viola che gli aveva presentato un documento con dure accuse al fascismo e alle sue responsabilità nel [[delitto Matteotti]]: Emilio Lussu, ''Marcia su Roma e dintorni'', 1933.</ref><ref>Peter Tompkins, ''cit.'', p. 216</ref>
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Con il Regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848, tutti i partiti politici ad eccezione del Partito Nazionale Fascista furono definitivamente soppressi in quanto ai [[prefetto (ordinamento italiano)|prefetti]] venne imposto di sciogliere qualsiasi partito od organizzazione politica contraria al fascismo, dando vita alla dittatura<ref>[[Ruggero Giacomini]], ''Il giudice e il prigioniero: Il carcere di [[Antonio Gramsci]]'', Castelvecchi ed., pag. 32, cita la circolare del Ministero dell'interno n. 27939 dell'8 novembre 1926.</ref>.
 
Il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati, riaperta per ratificare le leggi eccezionali, deliberava anche la decadenza dei 123 deputati aventiniani: [[Gregorio Agnini]], [[Giuseppe Albanese (politico)|Giuseppe Albanese]], [[Salvatore Aldisio]], [[Gino Alfani]], [[Filippo Amedeo]], [[Giovanni Bacci]], [[Gino Baldesi]], [[Arturo Baranzini]], [[Pietro Bellotti]], [[Roberto Bencivenga]], [[Arturo Bendini]], [[Guido Bergamo]], [[Mario Bergamo]], [[Mario Berlinguer]], [[Alessandro Bocconi]], [[Antonio Boggiano Pico]], [[Igino Borin]], [[Giambattista Bosco Lucarelli]], [[Roberto Bracco]], [[Giovanni Braschi]], [[Alessandro Brenci]], [[Carlo Bresciani (politico)|Carlo Bresciani]], [[Bruno Buozzi]], [[Vittorio Buratti]], [[Emilio Caldara]], [[Romeo Campanini]], [[Giuseppe Canepa]], [[Russardo Capocchi]], [[Paolo Cappa (politico)|Paolo Cappa]], [[Luigi Capra (politico)|Luigi Capra]], [[Luigi Carbonari (politico)|Luigi Carbonari]], [[Giulio Cavina]], [[Eugenio Chiesa]], [[Mario Cingolani]], [[Giovanni Antonio Colonna di Cesarò]], [[Paolo Conca]], [[Giovanni Conti (politico)|Giovanni Conti]], [[Felice Corini]], [[Giovanni Cosattini]], [[Mariano Costa]], [[Onorato Damen]], [[Raffaele De Caro]], [[Alcide De Gasperi]], [[Diego Del Bello]], [[Palmerio Delitala]], [[Luigi Fabbri (politico 1888-1966)|Luigi Fabbri]], [[Cipriano Facchinetti]], [[Luciano Fantoni]], [[Giuseppe Faranda]], [[Enrico Ferrari]], [[Bruno Fortichiari]], [[Luigi Fulci]], [[Angelo Galeno]], [[Tito Galla]], [[Dante Gallani]], [[Egidio Gennari]], [[Annibale Gilardoni]], [[Vincenzo Giuffrida]], [[Enrico Gonzales]], [[Antonio Gramsci]], [[Achille Grandi]], [[Antonio Graziadei]], [[Ruggero Grieco]], [[Giovanni Gronchi]], [[Leonello Grossi]], [[Ugo Guarienti]], [[Giovanni Guarino Amella]], [[Ferdinando Innamorati]], [[Stefano Jacini]], [[Arturo Labriola]], [[Luigi La Rosa]], [[Costantino Lazzari]], [[Nicola Lombardi (politico)|Nicola Lombardi]], [[Ettore Lombardo Pellegrino]], [[Giovanni Maria Longinotti]], [[Emilio Lopardi]], [[Francesco Lo Sardo]], [[Arnaldo Lucci]], [[Emilio Lussu]], [[Luigi Macchi (politico)|Luigi Macchi]], [[Cino Macrelli]], [[Fabrizio Maffi]], [[Pietro Mancini (politico 1876)|Pietro Mancini]], [[Federico Marconcini]], [[Mario Augusto Martini]], [[Pietro Mastino]], [[Angelo Mauri]], [[Nino Mazzoni]], [[Giovanni Merizzi]], [[Umberto Merlin]], [[Giuseppe Micheli (politico)|Giuseppe Micheli]], [[Fulvio Milani]], [[Giuseppe Emanuele Modigliani]], [[Enrico Molè]], [[Guido Molinelli]], [[Riccardo Momigliano]], [[Giorgio Montini]], [[Alfredo Morea]], [[Oddino Morgari]], [[Elia Musatti]], [[Nunzio Nasi]], [[Tito Oro Nobili]], [[Angelo Noseda]], [[Giovanni Persico (politico 1878)|Giovanni Persico]], [[Guido Picelli]], [[Camillo Prampolini]], [[Enrico Presutti]], [[Antonio Priolo]], [[Luigi Repossi]], [[Ezio Riboldi]], [[Giulio Rodinò]], [[Giuseppe Romita]], [[Francesco Rossi (politico)|Francesco Rossi]], [[Giuseppe Srebrnic]], [[Mario Todeschini]], [[Claudio Treves]], [[Domenico Tripepi]], [[Filippo Turati]], [[Umberto Tupini]], [[Giovanni Uberti]], [[Arturo Vella]], [[Domenico Viotto]], [[Giulio Volpi]].<ref name="decadenza">{{cita web|url=http://storia.camera.it/regno/lavori/leg27/sed160.pdf|formato=PDF|titolo=Tornata di martedì 9 novembre 1926|editore=[[Camera dei deputati (Italia)|Camera dei deputati]]|pagina=6389-6394|accesso=23 marzo 2015}}</ref> A questi fu aggiunto anche il fascista dissidente [[Massimo Rocca]].<ref name="decadenza"/>
 
In un primo momento la mozione, presentata da [[Roberto Farinacci|Farinacci]], aveva parlato solo di aventiniani ed era stata motivata proprio con il fatto della secessione parlamentare: ne restavano perciò esclusi i comunisti che erano rientrati in aula. Poi la mozione fu emendata da [[Augusto Turati]] ed estesa anche ai [[comunisti]].