Crisi da sovraindebitamento: differenze tra le versioni

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La '''crisi da sovraindebitamento''' è un [[istituto giuridico]] inserito nell’ordinamento italiano mediante la legge n. 3 del 27 gennaio 2012, entrata in vigore il 29 febbraio 2012.<ref>{{Cita libro|autore=L. Guglielmucci,|titolo=Diritto Fallimentare|anno=2014|editore=Giappichelli Editore|città=Torino|p=p.347|pp=|ISBN=}}</ref> Con il termine "[[sovraindebitamento]]" si intende il perdurante squilibrio tra il patrimonio liquidabile e le obbligazioni contratte, tali da impedire all’imprenditore di adempiere alle stesse attraverso mezzi ordinari.
 
Il legislatore, con l’introduzione della disciplina del 2012, ha voluto offrire ai debitori in buona fede, che non avessero i requisiti stabiliti dall’art.1 [[Legge fallimentare|l.f.]], l’utilizzo di un mezzo alternativo per soddisfare i debiti sorti, attraverso un accordo o un piano del consumatore: la procedura in questione, rientrante nel Capo II denominato “procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento” della l. 3/2012, è volta a disincentivare l’esercizio di azioni di esecuzione individuali da parte dei creditori.
Il creditore sarà predisposto maggiormente all’accettazione dell’accordo ovvero del piano del consumatore in quanto a quest’ultimo è garantita una soddisfazione, seppur parziale, del credito vantato in un lasso di tempo ridotto rispetto all’azione individuale; il debitore, invece, trarrà come vantaggio lo stralcio di una parte di debiti, non più esigibili da parte dei creditori.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=F. DI Marzio|titolo=La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento|rivista=Il Civilista “|volume=Speciale Riforma 2013|numero=}}</ref>
 
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Condizioni di ammissibilità della proposta che il debitore ovvero consumatore può inoltrare ai creditori sono:
* La non assoggettabilità a procedura concorsuale del debitore;
* Il non aver fatto ricorso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento nei cinque anni precedenti, beneficiando di una delle soluzioniammesse dalla L.3/2012 (aver presentato la richiesta, che poi è stata rigettata, non impedisce la nuova richiesta al "consumatore").
* Il debitore non deve aver subito provvedimento di revoca, annullamento, risoluzione dell’accordo, ovvero revoca e dichiarazione di cessazione degli effetti di omologazione del piano.
Si riconosce inoltre una specifica condizione di ammissibilità per il consumatore al quale è richiesto di produrre documentazione idonea a ricostruire in modo specifico ancorché analitico la sua situazione economica nonché patrimoniale per il giudizio di merito da assumere in sede di omologazione del piano.
 
=== Accordo di composizione della crisi e Piano del consumatore ===
Il contenuto dell’accordo è disciplinato dall’articolo 8 della L.3/2012 ed è necessario riconoscere che i creditori possono anche essere pagati mediante la cessione dei crediti, ovvero facendo ricorso alla garanzia dei terzi nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità del piano.
Il debitore formula ai creditori (di regola) una proposta di accordo che può prevedere:
# la dilazione del pagamento dei debiti (cosiddetto ''accordo dilatorio o moratoria'');
# la remissione (o esdebitazione) parziale dei debiti (cosiddetto ''accordo remissorio o esdebitativo'');
# la dilazione del debito ridotto per effetto della remissione parziale (moratoria con esdebitazione parziale).
Nel ventaglio di contenuti della proposta del debitore nei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento se ne riscontrano tanti e diversi, passando da una mera moratoria dei pagamenti ad una generalizzata remissione parziale dei debiti.
I creditori prelatizi non sono destinatari della proposta di accordo sempreché non rinuncino alla prelazione, per cui vanno pagati in misura integrale.
È prevista invero una deroga nel caso di un accordo in continuità dell’impresa, nel qual caso la proposta può prevedere la moratoria fino ad un anno dall’omologazione. Se il piano di continuità dispone la liquidazione dei beni su cui sussiste la causa di prelazione (beni non strategici), la moratoria non opera per quei creditori la cui garanzia si esercita su beni destinati ad essere liquidati.
Nel caso di accordo liquidatorio, la dilazione dei creditori prelatizi, eccedente i tempi della liquidazione del patrimonio o dell’esecuzione individuale, deve essere approvata dai medesimi, in di trattamento del credito diverso dal pagamento ottenibile dalle alternative liquidatorie concretamente praticabili.
La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi, la cui formazione non è soggetta ai vincoli posti nelle procedure di concordato preventivo e fallimentare dalla omogeneità dei relativi interessi economici e posizione giuridica. Infatti, nelle procedure di composizione della crisi non è previsto che il Giudice verifichi la legittimità dei criteri di formazione delle classi. Per cui non pare precluso che i creditori siano liberamente suddivisibili in classi, anche disomogenee tra loro.
Vi sono però taluni limiti alla libertà di contenuto della proposta, tra cui a titolo esemplificativo:
# ai creditori titolari di crediti impignorabili non può essere proposta né la moratoria, né la parziale esdebitazione a fronte del fatto che essi vanno pagati alle scadenze pattuite e nella misura integrale;
# ai creditori titolari di tributi costituenti risorse proprie dell’UE, allo Stato per l’[[IVA]] e le ritenute alla fonte, non può essere proposta la remissione parziale del debito, ma solo ed esclusivamente la dilazione;
# deve essere rispettato l’ordine delle cause legittime di prelazione, cioè il vincolo della graduazione dei crediti, per cui i creditori di grado inferiore possono essere pagati solo se quelli di grado superiore sono stati integralmente pagati. Ciò implica che i creditori chirografari possono essere pagati solo se i prelatizi sono stati integralmente soddisfatti, tenendo conto delle masse mobiliari e immobiliari e della collocazione sussidiaria, salvo il caso della degradazione a chirografo dei prelatizi incapienti sulla base di apposita attestazione da parte dell’O.C.C. Insieme alla proposta, il debitore predispone un piano, tramite cui si specificano i contenuti della proposta:la liquidazione dei beni e dunque la cessazione dell’attività (cosiddetto ''accordo liquidatorio'') ovvero la continuazione dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo professionale (cosiddetto ''accordo in continuità''). Nel primo caso, ovvero nel caso di accordo liquidatorio, il piano può prevedere la cessione dei beni ad un liquidatore giudiziale, "la datio in solutum", l’incasso dei crediti o il mandato a terzi ad incassare i crediti. Invero nel secondo caso, ergo di accordo in continuità, il piano può prevedere la liquidazione degli “assets” non strategici per la continuazione dell’attività, la destinazione degli utili futuri derivanti dalla continuazione dell’attività al pagamento dei debiti pregressi, ridotti, in caso di proposta remissoria, o integrali, in caso di moratoria. Il piano deve prevedere il termine, entro il quale, la proposta dovrà essere adempiuta. La proposta di accordo è approvata con il consenso dei creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti ed è prevista la regola del silenzio assenso. Anche se non esplicitamente indicato dalla legge (come per il piano del consumatore), l’accordo deve essere conveniente rispetto alla liquidazione del patrimonio. Detta valutazione della convenienza spetta ai creditori, i quali sono chiamati ad esprimere il loro consenso o dissenso rispetto alla proposta del debitore. Non tutti i creditori hanno diritto di esprimersi sulla proposta: i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento, non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta. Gli stessi possono rinunciare in tutto o in parte al diritto di prelazione, ed in questo caso hanno diritto di esprimersi. La proposta di accordo può essere modificata fino alla data in cui i creditori possono far pervenire il loro consenso o dissenso alla stessa. La legge dispone la possibilità di apportare modifiche alla proposta di accordo senza però esplicitare le modalità. Se l’esecuzione dell’accordo non è possibile per cause non imputabili al debitore, l’accordo può essere modificato. In tal caso, non opera la preclusione di cui all’art. 7, comma 2, lett. b), legge n. 3/2012. È da sottolineare che se l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per cause imputabili al debitore, l’accordo può essere risolto per inadempimento o annullato ove si ha conseguente conversione in liquidazione su istanza di un creditore o del debitore stesso.
 
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=== L'impugnazione ===
La disciplina dell'[[Impugnazione (ordinamento civile italiano)|impugnazione]] e risoluzione dell’accordo è stabilita ex art. 14 della L. 3/2012: l’unica azione cui può essere sottoposto l’accordo è l’annullamento, come si evince dal comma 1 del medesimo articolo. Competente a decidere in merito alla questione è il Tribunale del luogo in cui il debitore, persona fisica, abbia la residenza ovvero la sede dell’impresa non fallibile.
Al fine di ottenere l’annullamento o la risoluzione dell’accordo, può agire ogni creditore anche se, di fatto, tale opzione appare limitata ai soli creditori che abbiano aderito all’accordo poiché i creditori non aderenti non avrebbero alcun interesse ad agire, essendo il loro crediti totalmente soddisfatti come previsto obbligatoriamente dall'accordo.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Fabiani|titolo=(d.l. 212/2011) La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile”|rivista=ilcaso.it|volume=sez II|numero=278/2012}}</ref>
L’azione di impugnazione si realizza nelle ipotesi in cui siano stati dolosamente, o con colpa grave, aumentato o diminuito il passivo ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero simulate attività inesistenti; al fine di comprendere fino a che punto sia da considerare ammissibile l’azione di annullamento, si riporta la risoluzione della questione a fonti giurisprudenzali.
La giurisprudenza, analizzando gli atti dolosi e colposi diretti all’attivo e al passivo del patrimonio, si espressa, nella fattispecie di concordato preventivo, istituto simile al sovraindebitamento, dichiarando che l’annullamento dell’accordo è possibile solo se vi è una dolosa esagerazione del passivo, o di una dissimulazione di parte dell’attivo, tali da integrare ununa falsa rappresentazione della realtà . Per quanto riguarda l’azione di annullamento, il termine per il ricorso è di sei mesi dalla scoperta del vizio e non oltre i due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento.
L’annullamento dell’accordo comporta il venir meno dell’efficacia “erga omnes” dello stesso, ossia rispetto a tutti i creditori nella sua globalità e non nel rapporto tra il singolo creditore che ha agito e il debitore.<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Panzani|titolo=Composizione delle crisi da sovraindebitamento|rivista=Il Nuovo dir. soc.|volume=n.1|numero=p.10}}</ref>