Harper's Weekly: differenze tra le versioni

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'''''Harper's Weekly, A Journal of Civilization''''' era una rivista politica statunitense con sede a New York. Pubblicata da Harper & Brothers dal 1857 al 1916, conteneva notizie interne e estere, racconti, saggi su molti argomenti, rubriche umoristiche e illustrazioni. Coprì in modo diffuso la [[Guerra di secessione americana|guerra civile americana]], con anche molte illustrazioni di eventi della guerra. Durante il suo periodo più influente, pubblicò le vignette del disegnatore di satira politica [[Thomas Nast]].
 
[[File:Hon. Abraham Lincoln, born in Kentucky, February 12, 1809 (Boston Public Library).jpg|thumb|La copertina di ''Harper's Weekly'' con il presidente eletto [[Abraham Lincoln]]; illustrazione di [[Winslow Homer]] basata su una fotografia di [[Mathew Brady]] (10 novembre 1860)]]
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=== Inizio ===
[[File:Fletcher,_James,_John,_and_Joseph_Harper_(ca._1860).jpg|sinistra|miniatura| I fondatori di Harper & Brothers: Fletcher, [[James Harper (politico)|James]], John e Joseph Wesley Harper (1860)]]
Insieme ai suoi fratelli James, John e Wesley, Fletcher Harper fondò la casa editrice Harper &amp;amp; Brothers nel 1825. Seguendo l'esempio di successo di ''[[The Illustrated London News]]'', Harper iniziò a pubblicare ''[[Harper's Magazine]]'' nel 1850. Il mensile proponeva articoli di scrittori affermati come [[Charles Dickens]] e [[William Makepeace Thackeray]] e dopo alcuni anni le vendite della rivista erano abbastanza elevate da passare ad un'edizione settimanale.<ref name="Palmquist">Palmquist & Kailborn 2002, p. 279.</ref>
 
Nel 1857 la sua casa editrice iniziò a pubblicare ''Harper's Weekly'' a New York.<ref name="Palmquist">Palmquist & Kailborn 2002, p. 279.</ref> Nel 1860 la tiratura del ''Weekly'' aveva raggiunto le 200.000 copie. Le illustrazioni erano una parte importante del contenuto del settimanale, che si creò una reputazione grazie alla pubblicazione di alcuni dei più famosi illustratori dell'epoca, in particolare [[Winslow Homer]], Granville Perkins, Porte Crayon e Livingston Hopkins .
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=== Il ruolo nelle elezioni presidenziali ===
Dopo la guerra ''Harper's Weekly'' sostenne più apertamente il Partito Repubblicano nei suoi editoriali e contribuì all'elezione di [[Ulysses S. Grant]] nel 1868 e nel 1872. Sostenne la linea dei [[Radical Republicans|Repubblicani radicali]] durante l'[[Era della ricostruzione]]. Negli anni 1870 il disegnatore Thomas Nast iniziò sul giornale una campagna aggressiva contro il corrotto esponente politico di New York [[William M. Tweed|William "Boss" Tweed]]. Nast rifiutò l'offerta sottobanco di 500. 000 dollari per porre fine ai suoi attacchi.<ref>Paine 1904, [https://archive.org/stream/thnasthisperiod00paingoog#page/n212/mode/1up pp. 181–182].</ref> Tweed fu arrestato nel 1873 e condannato per frode.
 
Nast e ''Harper's'' svolsero un ruolo importante anche nella vittoria di [[Rutherford B. Hayes]] alle [[Elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 1876|elezioni presidenziali del 1876]]. Più tardi Hayes osservò che Nast era "l'aiuto singolo più potente che avesse avuto".<ref>Paine 1904, [https://archive.org/stream/thnasthisperiod00paingoog#page/n379/mode/1up p. 349].</ref> Dopo le elezioni il ruolo di Nast nella rivista diminuì notevolmente. Verso la fine degli anni 1860 Nast e George W. Curtis iniziarono ad avere spesso divergenze su questioni politiche e in particolare sul ruolo delle vignette nel dibattito politico.<ref>Halloran 2012, p. 228.</ref> Curtis credeva che la presa in giro tramite caricatura dovesse essere riservata ai Democratici e non approvava le vignette di Nast che attaccavano Repubblicani come [[Carl Schurz]] e [[Charles Sumner]], che si opponevano alla politica della presidenza Grant. L'editore di ''Harper,'' Fletcher Harper, sostenne fortemente Nast nelle sue controversie con Curtis. Nel 1877 Harper morì e i suoi nipoti, Joseph W. Harper e John Henry Harper, assunsero il controllo della rivista. Erano più in sintonia con le argomentazioni di Curtis, che rifiutava le vignette in contrasto con la sua linea editoriale.<ref>Halloran 2012, p. 230.</ref>