Giuseppina Arcucci: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
fix
Etichette: Modifica da mobile Modifica da web per mobile
La Pia Casa d’Istruzione e Lavoro di Ariano di Puglia: non ha molto senso intitolare una sezione ad Ariano Irpino e un'altra più sotto ad Ariano di Puglia; il nome ufficiale dell'epoca era quest'ultimo
Etichette: Modifica da mobile Modifica da web per mobile
Riga 22:
In ragione di ciò, la piccola Ernestina, assieme alla sua famiglia, trascorse l’infanzia presso il capoluogo abruzzese dove mosse i suoi primi passi dal punto di vista biologico, della fede e della cultura. Frequentò con molto profitto le scuole elementari presso l’Istituto San Paolo della Congregazione di Carità dell’Aquila , distinguendosi come una delle migliori alunne. Completò, poi, i suoi studi a [[Napoli]], a seguito del trasferimento del padre, dove conseguì la patente di insegnante.
 
===La Pia Casa d’Istruzione e Lavoro di Ariano Irpinodi Puglia===
Nel frattempo, ad Ariano di Puglia (rinominata dal 1930 [[Ariano Irpino]]) il decreto di soppressione degli ordini religiosi del 7 luglio 1866 colpì anche il monastero del Santissimo Salvatore e Sant’Anna abitato da moltissimolungo tempo dalle [[monache benedettine]] cassinesi le quali dirigevano un fiorente educandato per fanciulle. Questa realtà monastica esisteva già nel XVI secolo, allorché la signora Covella Romanea donò il 31 luglio 1518 una casa con orto ed una vigna alle [[monache benedettine]] cassinesi per l’istituzione di un monastero che assunse il titolo del “Santissimo Salvatore”<ref>{{Cita news|titolo=La città di Ariano e il monastero delle benedettine|pubblicazione=La Domenica de il Quotidiano del sud|autore=Antonio Alterio|data=15 aprile 2018|pp=24-25}}</ref>. Il divieto di ricevere giovani postulanti e novizie nel corso del tempo avrebbe determinato la chiusura del monastero e conseguentemente anche dell’educandato, tanto prezioso per la gente di Ariano di Puglia.
 
Il decreto di soppressione delle corporazioni religiose del 7 luglio 1866, n. 3036, prevedeva, in linea generale, l’incameramento dei beni degli ordini religiosi e la loro soppressione. Per quanto riguarda nello specifico le monache (art. 6) il decreto concedeva loro la facoltà di continuare a vivere nella casa, o in una parte della medesima, assegnata loro dal Governo, previa espressa ed individuale domanda presentata da parte delle religiose tre mesi dalla pubblicazione del decreto, tuttavia, qualora il numero delle monache fosse ridotto a sei o nel caso che il Governo per esigenze di ordine pubblico, previo parere del Consiglio di Stato, lo ritenesse opportuno, esse potevano essere concentrate (trasferite) in un’altra casa. I comuni o le provincie, da parte loro, potevano fare richiesta delle case abitate dalle religiose e dai religiosi nel momento in cui le stesse abitazioni fossero rimaste sgombre, a condizione, però, che tali edifici venissero adibiti a scuole, asili infantili, ricoveri di mendicità, ospedali oppure destinati ad altre opere di beneficienza e pubblica utilità (art. 20)<ref>{{Cita legge italiana|tipo=RD|anno=1866|mese=7|giorno=7|numero=3036}}</ref>.