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Le origini e gli albori del fabianesimo |
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Tuttavia, i primi dodici membri della società si mostrarono scettici verso le idee di Davidson e desiderarono un più preciso programma di riforme sociali. Allo stesso tempo confessarono la loro incertezza circa la strada da seguire. Pertanto, dichiararono di aver bisogno di tempo prima di enunciare una linea d’azione. Di qui, su proposta di Frank Podmore, co-fondatore del movimento, assunsero il nome di “fabiani” per indicare il loro desiderio di esaminare i fatti più a fondo prima di agire, come si legge in uno dei loro primi opuscoli: <br>
Il nome della società, del resto, deriva da quello del generale romano Quinto Fabio Massimo, detto il Temporeggiatore, che evitava le battaglie campali per poi gradualmente logorare le forze nemiche.
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Il Fabianesimo è però il frutto di un’evoluzione storica del pensiero filosofico e politico britannico, che mette radici negli anni della prima rivoluzione del mondo moderno, ossia la rivoluzione puritana del 1642. In quel periodo, infatti, vennero discussi i fondamenti dell’autorità religiosa e politica e cominciarono ad emergere nuovi ceti sociali e gruppi politici decisi ad ottenere un peso essenziale negli equilibri di potere. Tra questi i Livellatori, che costituiscono l’antecedente storico-filosofico del socialismo britannico, nonché del Fabianesimo. <br>
Secondo il laburista Tony Benn, in ''Arguments for Socialism'', fonte di ispirazione per il pensiero fabiano furono proprio le tesi di quel partito politico, esposte durante i Dibattiti d Putney del 1647 nel manifesto ''Agreement of the People'', dove, per la prima volta, vennero proposti come principi fondamentali di uno stato la libertà e l’uguaglianza, senza però abbattere la proprietà privata.<br>
Da tali rivendicazioni prenderà forma nel corso del Settecento il partito radicale, che, nonostante la scarsa rappresentanza ai Comuni, svolse il ruolo di terza forza politica accanto ai Whigs e Tories. La nota dominante di questo atteggiamento politico è d’altra parte l’avversione al privilegio, identificato nel monopolio del re e dell’aristocrazia terriera, nel vasto apparato clientelare della Camera dei Lord, della Chiesa Anglicana e delle compagnie commerciali.
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Il secondo sosteneva la rivoluzione istituzionale, ma in termini decisamente meno agguerriti. Infatti, non la concepiva come una violenta presa di potere, quanto piuttosto come una presa di coscienza da parte del popolo dei diritti inalienabili dell’essere umano e come una conseguente azione popolare volta al recupero di quei diritti che la tirannia aveva negato all’umanità. In questo modo tutti i membri della società sarebbero stati messi su un perfetto piede di parità.<br>
Accanto all’opinione di Paine, si affermò l’ideale di una “società senza governo”, promosso da Godwin. Tutte le istituzioni sono infatti per Godwin “i grandi mali morali che ci sono al mondo”, di cui l’umanità potrà fare a meno in futuro. Inoltre, sebbene giustificò la resistenza all’autorità in caso di oppressione, condannò la violenza rivoluzionaria ed identificò le armi della critica come le sole capaci di demolire gli ''arcana imperii
Tuttavia, fu soprattutto la filosofia di Bentham ad influenzare notevolmente il pensiero del movimento radicale nel corso del XIX secolo. Le teorie di Bentham cercano di adeguare il sistema legislativo inglese ai nuovi rapporti sociali delineatisi nel corso della rivoluzione industriale. Egli, d’altra parte, mostrava avversione verso qualsiasi tipo di privilegio accordato dalla legge ai ceti o verso interessi particolari, da lui stesso chiamati sinister interests. Di qui ritenne opportuno rifondare la legislazione dello stato secondo tre principi etici fondamentali: l’utilità, il benessere e la libertà individuali. In particolare, vedeva nell’utilità il criterio dell’azione morale, il benessere come il fine ultimo di ogni azione e la libertà il mezzo per perseguire tale fine. In questo modo, pervenne alla giustificazione dell'altruismo partendo da presupposti egoistici: «la maggiore felicità del maggior numero di individui». A Bentham risale la teoria, infatti, del calcolo sull’utilità immediata e futura delle proprie azioni e della conseguente estensione del piacere così che i piaceri ricercati dal singolo possano promuovere la felicità generale.<br>
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L’alternativa non è dunque tra il socialismo nelle sue varie forme e il caos, ma semmai tra il socialismo e il sistema della società privata riformato in modo da garantire agli individui il frutto del lavoro. La chiave di lettura di molte idee di Mill è anti-interventista: il “Laissez - faire” dovrebbe essere la regola generale di condotta ed ogni allontanamento da essa è male certo. Mill appare insomma colui che vorrebbe credere nel socialismo, in una versione conciliabile con il valore supremo della libertà individuale, ma non si sente in grado di superare i suoi dubbi. Dubbi che scompariranno del tutto nei suoi discepoli degli anni Ottanta dell’Ottocento, i fabiani, che poi diverranno indipendenti nella loro ricerca della soluzione della questione sociale.<br>
L’orientamento politico autentico dei fabiani emerge in uno dei primi opuscoli, intitolato ''Facts of Socialists'', che consiste in una raccolta di dati statistici e citazioni di economisti autorevoli, tra cui alcune di Mill stesso, tesa a dimostrare le disuguaglianze nella distribuzione del reddito nazionale e le gravi conseguenze che ciò comporta a livello sociale come la povertà e la mortalità infantile. La soluzione proposta non è assolutamente la rivoluzione alla francese. Anzi, si ripone una certa fiducia nelle amministrazioni, in primis locali, che gradualmente devono cercare di promuovere riforme di tendenza socialista a livello nazionale. Allo stesso tempo, a prescindere dai contenuti, emerge in questo documento anche lo stile della letteratura fabiana, tendente sempre a trasmettere un’apparente neutralità invece che una posizione ideologica vera e propria. Le risoluzioni dei vari problemi, infatti, appaiono sempre come una naturale soluzione ai problemi stessi dal momento che, a monte, è stata presentata una serie di dati ufficiali, che descrivono in maniera oggettiva la realtà. La Società fabiana d’altronde non volle e non fece mai dichiarazioni espressamente politiche proprio perché il suo obiettivo principale era quello di farsi portavoce della situazione e della mentalità britanniche.<br>
Allo stesso tempo però i membri della Società avevano opinioni che riflettevano l'epoca in cui vivevano: i fabiani più illustri avevano pregiudizi e opinioni razziste che non erano in linea con l'impegno della Società per l'uguaglianza di tutti. Anche le opinioni sul ruolo dell'Impero variavano tra i membri: alcuni sostenevano una rapida decolonizzazione e altri vedevano l'Impero britannico come una forza potenzialmente progressista nel mondo. Ma è proprio l’assenza di una linea comune che ha portato allo scioglimento della Società stessa.
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