Apparato paramilitare del PCI: differenze tra le versioni
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Il primo documento in possesso del Ministero dell'Interno sull'organizzazione clandestina del PCI è un dossier del [[SIFAR]], il [[Servizio informazioni militare|servizio segreto militare]] dell'epoca. L'ampia relazione, datata 28 febbraio [[1950]], descrive nel dettaglio la struttura di comando, suddividendola per regioni<ref name="Gianni Donno PCI"/>: i capi politici che sovraintendevano all'apparato militare erano [[Luigi Longo]] (per le formazioni garibaldine), [[Sandro Pertini]] (per le brigate "Matteotti"), [[Emilio Lussu]] (per le formazioni "Giustizia e Libertà"), [[Ettore Troylo]] (per gli indipendenti), [[Arnaldo Azzi]] (per le formazioni all'estero), mentre i capi militari erano indicati in [[Arrigo Boldrini]], [[Ilio Barontini]], [[Gisella Floreanini]], [[Fausto Nitti]] e [[Mario Roveda]]<ref name="Gianni Donno PCI"/>. Nel documento sono riportati anche gli obiettivi da colpire, la dislocazione delle forze in campo regione per regione, le strutture d'appoggio. Secondo il SIFAR, nel dopoguerra il PCI poteva contare su un esercito occulto di 250 000 unità, che sarebbero quadruplicate in caso di invasione da Est da parte delle forze del [[Patto di Varsavia]]<ref>{{Cita|Pelizzaro}}.</ref>. 
Il ministro [[Mario Scelba]] chiese più volte di mettere fuori legge il PCI per i suoi programmi eversivi, ma nel [[Consiglio dei Ministri]] prevalse la linea morbida per non trascinare il paese nella guerra civile<ref>{{cita web|url=http://archivio.denaro.it/VisArticolo.aspx/VisArticolo.aspx?IdArt=429903&KeyW= 
=== Archivi degli Stati Uniti === 
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