Invidia: differenze tra le versioni
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==L'invidia nella filosofia==
In modo più approfondito l'invidia può essere definita come il
{{Citazione|rammarico e risentimento che si prova per la [[felicità]], la prosperità e il benessere altrui, sia che l'interessato si consideri ingiustamente escluso da tali beni, sia che già possedendoli, ne pretenda l'esclusivo godimento... è il desiderio [[frustrazione (psicologia)|frustrato]] di ciò che non si è potuto raggiungere per difficoltà o ostacoli non facilmente superabili, ma che altri, nello stesso ambiente o in condizioni apparentemente analoghe, ha vinto o vince con manifesto successo.<ref>In [[Salvatore Battaglia]], ''Grande Dizionario della Lingua Italiana'', Utet, (1961-2002), alla voce corrispondente</ref>}}
[[File:Erfurt Sparkasse Fischmarkt Reliefs 5.jpg|upright=0.7|thumb|left|Il "malocchio" del triste invidioso]]
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In molte tragedie greche l'invidia degli dei costituisce lo sviluppo narrativo che porta come conseguenza al commettere un atto di [[hýbris]] e, di conseguenza, essere uno hýbristes ossia un colpevole di tracotanza che vìola leggi divine immutabili, ed è la causa per cui, anche a distanza di molti anni, i personaggi o la loro discendenza sono portati a commettere crimini o subire azioni malvagie. Al termine hýbris viene spesso associato quello di "némesis", in [[lingua greca|greco]] νέμεσις, che è la sua conseguenza: significa infatti "vendetta degli dei", "ira", "sdegno", e si riferisce alla punizione giustamente inflitta dagli dei a chi si era macchiato personalmente di hýbris, o alla sua discendenza o al popolo di cui fa parte.
Tra i filosofi greci [[Epicuro]] ([[341 a.C.]]–[[271 a.C.]]) mette in rilievo il danno morale e l'inutilità di colui che invidia
{{Citazione|Non si deve invidiare nessuno; visto che i buoni non meritano invidia, ed in quanto ai cattivi, più essi trovano buona sorte più si rovinano.<ref>Epicuro, ''Sentenze Vaticane'', 53</ref>}}
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Nella [[cristianesimo|dottrina cristiana]] l'invidia compare fin dai tempi [[Bibbia|biblici]] con il fratricidio di [[Caino]] invidioso dell'amore di Dio per [[Abele]]<ref>«Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo» (Gn 4, 8-10)</ref>. Lo stesso vizio capitale attraversa l'[[Antico Testamento]], che lo definisce «carie delle ossa»<ref>Pr 14, 30</ref>, per giungere fino al [[Nuovo Testamento|Nuovo]] dove Cristo viene dato a Pilato che «sapeva bene che glielo avevano consegnato per invidia»<ref>Mt 27, 18</ref>.
L'invidia è dunque il «peccato diabolico per eccellenza» per Sant'Agostino<ref>Agostino d'Ippona, ''De disciplina christiana'', 7, 7: CCL 46, 214 (PL 40, 673); Id., Epistula 108, 3, 8: CSEL 34, 620 (PL 33, 410).</ref> poiché, come nota [[San Basilio]]<ref>San Basilio Magno, ''Homilia'' 11, ''De Invidia''</ref>, Caino vittima e discepolo del diavolo ha fatto sì che «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo»<ref>Sap 2, 24</ref>
[[File:Pur 13.jpg|thumb|upright=0.7|left|«Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent'è avara, invidiosa e superba»<ref>Dante, ''Inferno'', XV, 67-68</ref>]]
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[[Francesco Bacone]] (1561–1626), che condivide l'idea che l'invidia si serve dell'occhio come veicolo di maligni sortilegi, per primo tratta dell'invidia "pubblica" che capovolge il normale percorso di chi privo di qualcosa, sentendosi in basso, invidia chi sta in alto. Nell<nowiki>'</nowiki>"invidia del re" il procedere è al contrario: dall'alto verso il basso; paradossalmente, cioè, chi ha una posizione di grande vantaggio invidia e teme colui che dal basso sembra voler colmare la distanza da lui per prendere il suo posto. Allora i politici saggi «faranno bene a sacrificare qualcosa sull'altare dell'invidia permettendo essi stessi, talvolta del tutto intenzionalmente, che alcune cose vadano loro male, o soccombendo in cose a cui non tengono troppo.»<ref>F. Bacone, ''Saggi'', trad.it. di A. Prospero, ed. De Silva, Torino, 1948 p.35 e sgg.</ref>
[[Baruch Spinoza]] ([[1632]]-[[1677]]) invita l'umanità, compartecipe della natura divina, a vivere tranquilla e serena «sopportando l'uno e l'altro volto della fortuna, giacché tutto segue dall'eterno decreto di Dio con la medesima necessità con cui dall'essenza del triangolo segue che i suoi tre angoli sono uguali a due retti [...] Non odiare, non disprezzare, non deridere, non
[[File:Children marbles.jpg|thumb|Il bambino invidioso "livido e con volto amareggiato"]]
adirarsi con nessuno, non invidiare in quanto negli altri come in te non c'è una libera volontà (tutto avviene perché così è stato deciso)»<ref>B. Spinoza, ''Ethica'',II, prop.XLIX, scolio</ref>
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È naturale, osserva invece [[Arthur Schopenhauer]] che l'uomo provi il sentimento dell'invidia ma se «Invidiare è dell'uomo; compiacersi del male altrui, del diavolo»<ref>A.F. Negro, ''La sapienza del mondo: ovvero, Dizionario universale dei proverbi'', Volume 2, 1883, p.336</ref>
L'uomo infatti, preda della Volontà di vivere, vuole accrescere la sua vita, ma il suo [[egoismo]] ne esce insoddisfatto per l'apparenza dell'appagamento raggiunto per cui è costretto alla rinuncia e «da qui nasce l'invidia: ogni rinuncia è infinitamente accresciuta dal piacere altrui ed è alleviata dal sapere che anche gli altri soffrono della stessa rinuncia.»<ref>A. Schopenhauer, ''Il mondo come volontà e rappresentazione'', Newton Compton Editori, 2011 (ediz. on line)</ref>
Tormentato il rapporto che [[Søren Kierkegaard]] scopre tra invidia e ammirazione:
{{Citazione|L'invidia è ammirazione segreta. Una persona piena di ammirazione che senta di non poter diventare felice abbandonandosi [rinunciando al proprio orgoglio], sceglie di diventare invidiosa di ciò che ammira...L'ammirazione è una felice perdita di sé, l'invidia un'infelice affermazione di sé.<ref>S. Kierkegaard, ''La malattia per la morte'', Donzelli Editore, 2011, p.88</ref>}}
Per [[Friedrich Nietzsche]] l'invidia è uno dei frutti della morale degli schiavi ovvero del moralismo cristiano che incapace di assurgere alle vette del [[superomismo|superuomo]] si piega ed esalta i valori dell'[[umiltà]] e della rinuncia predicati dall'[[altruismo]] e dall'[[egualitarismo]] cristiano da cui si genera l'invidia e l'odio.
{{Citazione| Dove realmente l'uguaglianza è penetrata ed è durevolmente fondata, nasce quell'inclinazione, considerata in complesso immorale, che nello stato di natura sarebbe difficilmente comprensibile: l'invidia. L'invidioso, quando avverte ogni innalzamento sociale di un altro al di sopra della misura comune, lo vuole riabbassare fino ad essa. Esso pretende che quell'uguaglianza che l'uomo riconosce, venga poi anche riconosciuta dalla natura e dal caso. E per ciò si adira che agli uguali le cose non vadano in modo uguale.<ref>F. Nietzsche, ''Umano troppo umano'', II, §29</ref>}}
Con l'amicizia [[Spirito dionisiaco|dionisiaca]], caratterizzata dal sano naturale [[egoismo]] non c'è più invidia, risentimento, incomprensione. Nessuno invidia e quindi teme l'altro. I falsi amici di [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]] prima lo ammirarono, poi l'invidiarono e alla fine odiarono e uccisero.
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*Abbagnano, N., ''Dizionario di filosofia'', Torino 1961.
*Philip M, Spielman,''Invidia e gelosia.Un tentativo di chiarificazione''in L'invidia, Bollati Boringhieri,1994
*Monia Frandina, Edoardo Giusti, ''Terapia della gelosia e dell'invidia'', Sovera Edizioni, 2007
*Antonella Tedeschi, ''Lo storico in parola'', Edipuglia srl, 1998
*Silvano Petrosino, ''Visione E Desiderio: Il Tempo Dell'assenso'', Editoriale Jaca Book, 1992
*Bernardo Cattarinussi, ''Sentimenti, passioni, emozioni. Le radici del comportamento sociale'', FrancoAngeli, 2006
*Klein, M., ''Envy and gratitude'', New York 1957 (tr. it.: ''Invidia e gratitudine'', Firenze 1969).
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{{Vizi capitali}}
{{Controllo di autorità}}
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