Federconsorzi: differenze tra le versioni

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* uno presso il Tribunale di Roma,<ref>Proc. n.3988/93,</ref> per i reati fallimentari inerenti alle attività svolte dagli amministratori fino al commissariamento. Gli imputati sono stati prosciolti per intervenuta prescrizione ex art.129 c.p.p., nell'udienza del 31 marzo 2008 svoltasi presso la I sezione, dopo che era stato riconosciuto dagli stessi, un misero risarcimento danni alle parti civili costituite. Ma la Cassazione, con una sentenza depositata in data 5 marzo 2010, rinviò alla Corte d'Appello di Roma per il giudizio di secondo grado gli ex amministratori, i sindaci e i direttori generali della holding agricola. Infatti, per la Suprema Corte, contrariamente al verdetto del Tribunale di Roma del marzo 2008, i reati non possono considerarsi estinti. Pertanto a distanza di anni si riaprì il caso Federconsorzi, che fu nei fatti il crack che anticipò l'era di [[tangentopoli]].<ref>[[s:Federconsorzi: storia di un'onta nazionale/III/2|Antonio Saltini imputazione: Bancarotta fraudolenta]]</ref>
 
* uno presso il Tribunale di Perugia,<ref>proc.n.474/96 R.G.</ref> per l'attività svolta dagli organi della procedura. L'organo giudicante ha pronunciato sentenza di condanna nei confronti degli imputati, unitamente alla società che aveva rilevato i beni della Federconsorzi a prezzo vile. In un primo tempo la vicenda vide coinvolti anche [[Cesare Geronzi]] <ref>Cesare Geronzi trovò a Perugia un Gip che, pur convinto che fosse avvenuto qualcosa di strano nell'operazione di vendita in blocco del patrimonio, lo ritenne, in quanto direttore generale del [[Banco di Santo Spirito]], non responsabile delle decisioni prese dal consiglio di amministrazione e dal presidente della banca. Il procuratore generale di Perugia, presentò appello contro il suo proscioglimento, perché riteneva che il direttore generale non fosse una figura secondaria e passiva. Il Tribunale ritenne inammissibile l'appello perché ritenuto tardivo (Guido Buschettu, novembre 2007 in "democraziaLegalità.it").</ref> e [[Sergio Cragnotti]],<ref>[[s:Federconsorzi: storia di un'onta nazionale/III|Antonio Saltini ''Polenghi Lombardo: una vendita da annullare'' Terra e Vita 1997]]</ref> e si concluse solo nel 2006 con la definitiva assoluzione da parte della Corte di Cassazione di [[Pellegrino Capaldo]] e di [[Ivo Greco]].
 
Quando era uscito il dispositivo della Corte d’Appello di Perugia nel giugno 2004, tutta la stampa aveva salutato l’assoluzione di Pellegrino Capaldo (l’ex presidente della Banca di Roma) ed Ivo Greco (ex presidente della Sezione fallimentare del Tribunale di Roma ed anche, poi, del Tribunale dei Ministri) dall’accusa di bancarotta fraudolenta per dissipazione, come un gran ribaltamento delle condanne a 4 anni di reclusione fatta dal Tribunale. Nel mese di settembre 2004, uscite le motivazioni, emergeva chiaramente, però, che la ricostruzione dei fatti avanzata dall’accusa restava confermata in pieno<ref>Nel leggere le 330 pagine della sentenza balza subito all’occhio un fatto molto evidente: la Corte d’appello dice chiaramente che i beni di Federconsorzi sono stati venduti a prezzo “vile” e che mancano all’appello almeno 1.100 miliardi di lire.</ref>, così come aveva deciso la corte nel 1º grado. La Corte d’appello dovette assolvere gli imputati perché, non essendo provato il dolo, nel dubbio gli imputati vanno dichiarati esenti dalla responsabilità penale<ref>Secondo la legge italiana quando l’assoluzione degli imputati avviene con una formula che non esclude che i fatti siano accaduti, coloro che si ritengono danneggiati hanno la possibilità di iniziare una causa civile per chiedere il risarcimento dei danni, in quanto l’accadimento può essere valutato diversamente rispetto al giudizio penale. Nel giudizio civile è diverso il criterio di accertamento del nesso di causalità, il quale, risponde alla logica del “più probabile che non”; in altre parole, nel giudizio civile si segue la regola della preponderanza dell’evidenza.</ref>.
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===Le ricadute sui lavoratori===
Nel 2004, un certo numero di ex dipendenti promuoveva un’azione risarcitoria dinnanzi al Tribunale Civile di Roma, sul presupposto della responsabilità per “culpa in vigilando”, nei confronti del Ministero dell'agricoltura (nr. R.G. 29111/2004).
 
Avendo il Ministro per le politiche agricole, Galan, ricordato che lo Stato è debitore nei confronti del mondo agricolo e ribadito che il credito deve essere riconosciuto all'agricoltura e non alle banche, particolarmente danneggiati appaiono gli ex dipendenti Fedit, anche con la rimessa ''in bonis'' della Federconsorzi, ma che - organizzatisi - dichiarano la volontà di fare chiarezza sulla vicenda attraverso un processo civile intrapreso nei confronti dell'ex Ministero dell'agricoltura (R.G. 29111/2004). Già nel novembre 2011, l'assemblea dei soci della Fedit, convocata presso il Ministero delle politiche agricole (autore del dissesto della Federconsorzi, unitamente agli amministratori ed al collegio sindacale), aveva approvato il bilancio, utile all'ulteriore passo avanti per tornare alla normalizzazione gestionale della fu istituzione. I consorzi agrari che hanno partecipato all'assemblea sono quelli di stretto collegamento alla [[Coldiretti]]; le altre organizzazioni degli agricoltori si sono poste in atteggiamento critico.
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Una parte dei dipendenti non volle legare le aspettative risarcitorie alla richiesta dei presunti crediti per la gestione degli ammassi di circa 70 anni or sono, respingendo il collegamento delle loro istanze con l’annoso problema ammassi, né vollero avere a che fare con la struttura che sta gestendo la partita economica in tale senso. Non aderirono quindi ad un accordo con il Commissario di Governo – per un risarcimento da pagarsi attraverso l’incasso ed il residuo di avanzo dei proventi degli ammassi – stipulato da un folto gruppo di ex dipendenti, che hanno voluto e si sono staccati dalla causa originaria in data 28 ottobre 2013, perché con l’accordo transattivo (Baldanza – Avvocati) il Giudice della II sezione civile del Tribunale di Roma, per loro, ha dichiarato cessata la materia del contendere.
 
A seguito di separazione dei giudizi, avvenuta con ordinanza del Giudice datata 28 ottobre 2013, sette ex dipendenti avevano ribadito e riproposto la richiesta del 2004 con le stesse motivazioni allo stesso Tribunale (N. R.G.80863/2013): per essi, il giudice ha ritenuto che la causa risarcitoria dovesse proseguire sulla doglianza per cui, con la mancata applicazione del D.lgs. 7 Maggio 1948 n. 1235, risulterebbe del tutto evidente la responsabilità per culpa in vigilando del Ministero dell'agricoltura, cui competevano specifici obblighi di controllo e vigilanza sulla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari e sui Consorzi Agrari<ref>L’art. 35 del D.lgs.n.1235/1948 prevede espressamente che “ai consorzi agrari e alla federazione dei Consorzi Agrari sono applicabili le disposizioni degli artt. 2542 e 2545 c.c.: i poteri previsti dalle predette disposizioni sono esercitati dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste. Quest’obbligo di controllo avrebbe dovuto esplicarsi anche in una vera e propria analisi della gestione. A fronte dell’inadempimento di questo obbligo, per i ricorrenti si è avuto un illecito commesso e reiterato per parecchi anni, almeno dal 1980 sino al commissariamento, da parte del Ministero dell'agricoltura. Anche la Commissione Parlamentare D’Inchiesta, come pure la Commissione ministeriale Poli Bortone, sono per essi giunte a questa conclusione; solo la giustizia ordinaria non ha mai individuato i responsabili del crack. Per i ricorrenti, le componenti dell’illecito si possono identificare in causa, evento e danno, oltre il nesso di casualità che lega la causa (fatto) all’evento e l’evento al danno: l’evento è il risultato finale del comportamento illecito, mentre il danno è la conseguenza del fatto illecito. Quindi, l’idea di illecito - nella sua comune accezione - bene può riferirsi a qualsiasi fatto che costituisce la trasgressione ad una regola: se la regola violata è una legge, la nozione di illecito per i ricorrenti si applica anche nel caso Fedit e viene a coincidere con quella del danno risarcibile secondo la normativa vigente. </ref>. Per costoro il rovinoso crack della Federconsorzi è stato interamente provocato da chi ha gestito la struttura dal dopoguerra in poi: essi lamentano che il Giudice non ha giudicato il Ministero dell'agricoltura per le gravi colpe di mancata vigilanza, così come era la domanda, ma il commissario di governo, nonché liquidatore della Federconsorzi, e tutto ciò che è scaturito dall’atto quadro. Secondo la tesi dei ricorrenti, se tutti avessero fatto il proprio dovere (Ministri e direzioni deputate al controllo), la crisi non sarebbe nata ed il crack non sarebbe mai avvenuto, a tutto vantaggio dell'agricoltura italiana”<ref>Per questo motivo il loro legale nel 2018 chiese al nuovo governo di dare “il via ad una stagione che veda il raggiungimento di un accordo transattivo e finalmente si concluda questa vicenda con una giusta equa riparazione dei danni subiti dai suoi assistiti”. Tutto ciò, secondo il legale, anche in considerazione che “i miei assistiti non vogliono riesumare la Federconsorzi, né tantomeno vogliono contribuire a pagare onorari e strutture a gestioni commissariali”. I 7 ex dipendenti, “hanno già dato economicamente anche per i precedenti legali, quest'ultimi, non lì hanno trattati per il meglio, solo perché si sono rifiutati di sottoscrivere un accordo transattivo che, secondo il giudizio dei miei clienti, non vedrà mai la fine”. Il legale concludeva dichiarando che, “raggiungere un accordo con la struttura Ministeriale, significa non solo vedere la conclusione di questa vicenda ancora irrisolta per equa riparazione, ma anche “ sanare un’ingiustizia che si protrae da oltre 1/4 di secolo”: {{Cita web|url=http://www.olioofficina.it/societa/italia/una-vecchia-irrisolta-vicenda.htm|titolo=Una vecchia irrisolta vicenda :: OlioOfficina Magazine|sito=www.olioofficina.it|accesso=2019-01-22}}</ref>.
 
== Note ==