Cecilio Stazio: differenze tra le versioni

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{{Citazione|È proprio misero colui che non può nascondere e sopportare la sua pena: così mi rende mia moglie con la sua bruttezza e la sua condotta; se anche taccio lascio tuttavia trasparire la mia pena. Lei che, tranne la dote, ha tutto quello che non vorresti: chi avrà senno, imparerà da me, che, quale un prigioniero presso i nemici, sebbene io sia un uomo libero, sono in schiavitù, pur essendo in salvo la città e la rocca. Lei che mi priva di tutto ciò che mi piace. Vuoi che io sia salvo? Mentre io sto con la bocca aperta ad aspettare la sua morte, come morto fra i vivi io vivo. Quella dice che io me la intendevo con la mia ancella di nascosto a lei, di questo mi accusa, e mi ha stordito piangendo, pregando, insistendo e rimproverando, che io l'ho venduta; ora, credo, fa queste chiacchiere tra le sue coetanee e le parenti: «chi vi fu tra di voi, ancora nel fiore dell'età giovanile, che ottenne questa stessa cosa da suo marito, che io ora da vecchia ho ottenuto, cioè di privare mio marito dell'amante?» Questi saranno oggi i loro pettegolezzi, ed io, infelice, vengo straziato dalle chiacchiere.|''Plocium'', vv. 143-157 Ribbeck; trad. di F. Cavazza in Aulo Gellio, ''Le Notti Attiche'', Zanichelli.|Is demum miser est, qui aerumnam suam nesciat occulte<br />ferre: Ita me uxor forma et factis facit, si taceam, tamen indicium,<br />Quae nisi dotem omnia quae nolis habet: qui sapiet de me discet,<br />Qui quasi ad hostis captus liber servio salva urbe atque arce.<br />Dum eius mortem inhio, egomet inter vivos vivo mortuus.<br />Quaen mihi quidquid placet eo privatum it me servatam <velim>?<br />Ea me clam se cum mea ancilla ait consuetum. id me arguit:<br />Ita plorando orando instando atque obiurgando me optudit,<br />Eam uti venderem. nunc credo inter suas<br />Aequalis, cognatas sermonem serit:<br />'Quis vostrarum fuit integra aetatula<br />Quae hoc idem a viro<br />Impetrarit suo, quod ego anus modo<br />Effeci, paelice ut meum privarem virum?'<br />Haec erunt concilia hocedie: differar sermone misere.|lingua=la}}
 
[[File:Terenz2Terence cropped.gifpng|thumb|left|Ritratto di Terenzio dal codice Vaticano Latino 3868 ([[X secolo]], [[Biblioteca Apostolica Vaticana]]).]]
 
Della palliata plautina Cecilio riutilizzò inoltre il linguaggio vario, vivace ed esuberante,<ref name="Pontiggia_287">{{Cita|Pontiggia; Grandi|p. 287}}.</ref> incentrato sulla ricerca della parola carica, colorita e imprevista,<ref name="Traina_9596" /> ma evitò invece qualsiasi riferimento all'attualità romana, cui Plauto aveva invece fatto di frequente ricorso.<ref name="Beare_104" /> Inoltre, la maggiore aderenza agli originali greci, la predilezione per Menandro e il primo approfondimento psicologico dei personaggi testimoniano anche gli sviluppi che Cecilio apportò al modello plautino:<ref name="Pontiggia_287" /> egli si preoccupò infatti di prestare maggiore cura ai pensieri e alle azioni dei suoi personaggi, analizzandone finemente i sentimenti<ref name="Pontiggia_291">{{cita|Pontiggia; Grandi|p. 291}}.</ref> e rendendoli coerenti con le vicende narrate.<ref name="Pontiggia_290">{{cita|Pontiggia; Grandi|p. 290}}.</ref>