* [3] - ''quando et per quem et quo tempore et cui quid'': barocco sfoggio pedantesco dell'anonimo che sembra aver avuto un'educazione retorica.<ref>C. W. Barlow, cit., p. 90; L. Bocciolini Palagi, cit., p. 95.</ref>
* [4] - ''censor'': sta per giudice, ''censor morum'' o ''censor disciplinarum'', come in [[Tertulliano]], ''De pudicitia'' 14, 27.
* [5] - ''sophista'': in generale, ha sia il significato negativo di retore vacuo e verboso, quanto quello positivo, come l'originario σοφιστῄςσοφιστής, accolto da [[Cicerone]], di retore eloquente in quanto ricco di dottrina filosofica, ossia di « oratore-filosofo ».<ref>Cicerone, ''Orator'' 14 e 65; ''De oratore'' 3, 55.</ref> Con il tempo, prevale il senso spregiativo, mentre quello elogiativo perde il significato di oratore-filosofo per assumere quello di « maestro di retorica », dal quale ogni riferimento alla filosofia viene decisamente a cadere. Così [[Mario Vittorino]] nel IV secolo definisce retore « colui che insegna letteratura ed eloquenza », è il maestro di tecnica oratoria, sofista è « colui che insegna l'arte del dire », è cioè il maestro di pratica oratoria, mentre oratore è l'avvocato eloquente.<ref>M. Vittorino, ''Rhetorica'' 1, 1: « Rhetor est qui docet litteras atque artes tradit eloquentiae, sophista est apud quem dicendi exercitium discitur, orator est qui in causis privatis ac publicis plena et perfecta utitur eloquentia ».</ref> Le sottili distinzioni di Vittorino non impedivano nell'uso comune di confondere tra di loro i tre diversi appellativi. In ogni caso, per il nostro scrittore Seneca è « maestro di retorica », e questo fa sospettare che egli confonda il filosofo Lucio Anneo con l'omonimo padre [[Seneca il Vecchio|Seneca il retore]], autore delle ''Oratorum et rhetorum sententiae'', secondo una lunghissima contaminazione delle due figure attestata già nella tarda latinità e sciolta solo alla fine del XV secolo,<ref>Da [[Raffaele Volterrano]], ''Commentariorum urbanorum Raphaelis Volaterrani octo et triginta libri'', XIX.</ref> durante la quale si distinse un Seneca tragediografo da un Seneca morale e insieme retore, nel quale confluì anche la figura del padre.<ref>Sulla questione, Remigio Sabbadini, ''Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIV e XV. Nuove ricerche'', Firenze 1967 e L. Bocciolini Palagi, cit., pp. 98-102.</ref> A parte queste considerazioni, la fervida ammirazione di Paolo per le virtù retoriche è in assoluto contrasto con la sua figura storica ma, ancora una volta, l'anonimo sembra interessato a presentare i primi cristiani come convinti ammiratori della cultura classica, di contro alle accuse di rozzezza e di ignoranza loro rivolte.
=== Lettera III: Seneca a Paolo ===
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