Cecco Angiolieri: differenze tra le versioni

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Contemporaneo di [[Dante Alighieri]] e appartenente alla storica casata [[nobile|nobiliare]] degli [[Angiolieri]], non si hanno però molte notizie certe sulla sua biografia. Si sa che ebbe una vita molto avventurosa, fu dedito al gioco e ai vizi, subì processi per disturbo della quiete pubblica e dilapidò il patrimonio che gli aveva lasciato il padre. Nelle sue poesie, circa 110 sonetti, non tutti di certa attribuzione, ci ha lasciato l'immagine di personaggio inquieto e ribelle che si accanisce contro la miseria e la sfortuna. Con i suoi modi sarcastici e dissacranti si prende gioco del [[Dolce stil novo]]; in altre poesie, più originali, esalta goliardicamente il gioco, il vino e maledice la famiglia, il mondo e la gente. Celebri sono i sonetti ''[[S'i' fosse foco]]'', ''Tre cose solamente mi so 'n grado'' e ''La mia malinconia è tanta e tale''.<ref>La Nuova Enciclopedia della Letteratura, Garzanti Editore, Milano, 1985</ref>
 
== Biografia ==
Cecco Angiolieri nacque a Siena da una famiglia particolarmente benestante, intorno al 1260. Il padre era il banchiere Angioliero degli Angiolieri, figlio di Angioliero detto "Solafica"; fu [[Cavalleria medievale|cavaliere]], fece parte dei Signori del Comune nel [[1257]] e nel [[1273]] (dopo essere stato priore per due volte) ed appartenne all'ordine dei [[Frati della Beata Gloriosa Vergine Maria]] (i cosiddetti «Frati Gaudenti»). La madre era monna Lisa, appartenente alla nobile e potente casata dei [[Salimbeni (famiglia)|Salimbeni]], anch'ella iscritta al suddetto ordine.[2]<ref name=DBI/>
 
Si presume che il giovane Cecco trascorse la sua fanciullezza a Siena, dove ricevette anche una prima educazione. Di famiglia tradizionalmente guelfa, nel [[1281]] Cecco figurò tra i [[Guelfi e ghibellini|Guelfi]] senesi all'[[assedio]] dei concittadini [[Guelfi e ghibellini|ghibellini]] asserragliati nel [[castello]] di [[Torri di Maremma]] nei pressi di [[Roccastrada]], e fu più volte multato per essersi allontanato dal campo senza la dovuta licenza. Da altre multe fu colpito a Siena l'anno successivo, l'11 luglio [[1282]], per essere stato trovato nuovamente in giro di notte dopo il terzo suono della campana del Comune, violando pertanto il coprifuoco («quia fuit inventus de nocte post tertium sonum campane Comunis»). Un ulteriore provvedimento lo colpì nel [[1291]] in circostanze analoghe; oltretutto, nello stesso anno fu implicato nel ferimento di [[Dino di Bernardo da Monteluco,[2]],<ref name=DBI/> pare con la complicità del calzolaio Biccio di Ranuccio, ma solo quest'ultimo fu condannato.[3]<ref>{{cita|D'Ancona 1912|p. 254|D'A}}. {{citazione|Nel '91 lo troviamo implicato col calzolaio Biccio di Ranuccio in un processo per ferimento di un Dino di Bernardino da Monteluco; ma però il solo Dino fu condannato}}</ref>
Militò come alleato dei [[Firenze|fiorentini]] nella campagna contro [[Arezzo]] nel [[1289]], conclusasi con la [[battaglia di Campaldino]]; è possibile che qui abbia incontrato [[Dante Alighieri]], che pure figurava tra i combattenti dello scontro. Il [[s:Rime (Angiolieri)/C - Lassar vo’ lo trovare di Becchina|sonetto 100]], datato tra il [[1289]] e il [[1294]], sembra confermare che i due si conoscessero, in quanto Cecco si riferisce a un personaggio che entrambi dovevano ben conoscere (''Lassar vo' lo trovare di Becchina, / Dante Alighieri, e dir del mariscalco''); questo ''mariscalco'' vanesio tra le donne fiorentine, anch'egli impegnato a Campaldino, è stato identificato con un tal Amerigo di Narbona, «giovane e bellissimo del corpo, ma non molto sperto in fatti d'arme» ([[Dino Compagni]], ''[[Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi]]'', I, 7).[4]<ref name=ED/>
 
Intorno al 1296 fu allontanato da [[Siena]], a causa di un bando politico. Si desume dal [[s:Rime (Angiolieri)/CII - Dante Alighier, s’i’ so bon begolardo|sonetto 102]] (del 1302-1303), indirizzato a Dante allora già a [[Verona]], che in quel periodo Cecco si trovasse a [[Roma]] (''s'eo so' fatto romano, e tu lombardo'').<ref>Cecco Angiolieri, Rime, ''[5[:s:Rime (Dante)/CVIII - Dante Alighier, s’i’ son bon begolardo|CVIII - Dante Alighier, s’i’ son bon begolardo]]''.</ref> Non sappiamo se la lontananza da Siena dal 1296 al [[1303]] fu ininterrotta. Il sonetto testimonierebbe anche della definitiva rottura tra Cecco e Dante (''Dante Alighier, i' t'averò a stancare / ch'eo so' lo pungiglion, e tu se' 'l bue''). Tuttavia non sono attestate risposte (tantomeno proposte) dantesche, per cui, se [[tenzone]] fra i due vi fu, ci rimane solo la parte composta da Cecco (e non sappiamo nemmeno se è tutta, peraltro). Inoltre, nelle opere di Dante, Cecco non è mai nominato, né suoi componimenti sono citati.[4]<ref name=ED>{{cita|Marti||ED|titolo=Enciclopedia Dantesca}}.</ref>
 
Nel [[1302]] Cecco svendette per bisogno una sua vigna a tale Neri Perini del Popolo di Sant'Andrea per settecento lire ed è questa l'ultima notizia disponibile sull'Angiolieri in vita. Proprio per questa ragione si oppose a ogni forma di politica proclamandosi persona libera e indipendente; si ritiene che questa sua imposizione fosse dovuta al bando politico che lo allontanò da Siena.
 
Dopo il [[1303]] fu a [[Roma]], probabilmente sotto la protezione del [[cardinale]] senese [[Riccardo Petroni]]. Da un documento del 25 febbraio [[1313]] sappiamo che cinque dei suoi figli (Meo, Deo, Angioliero, Arbolina e Sinione; un'altra figlia, Tessa, era già emancipata) - rinunciarono all'eredità perché troppo gravata dai debiti. Si può quindi presupporre che Cecco Angiolieri sia morto intorno al [[1310]], forse tra il [[1312]] e i primi giorni del [[1313]]. La tradizione lo vuole sepolto nel [[chiostro]] [[Architettura romanica|romanico]] della [[Chiesa di San Cristoforo (Siena)|chiesa di San Cristoforo a Siena]].
 
== Poetica ==