Angoscia: differenze tra le versioni
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Attualmente si tende a definire l'angoscia come un senso di [[frustrazione (psicologia)|frustrazione]] e malessere, una sofferenza psicologica che può degenerare anche in diverse [[patologia|patologie]] (si pensi all{{'}}''angoscia di castrazione'' infantile o all{{'}}''angoscia esistenziale'' di derivazione kierkegaardiana).
Nel possibile tutto è possibile ed essendo l'esistenza umana aperta al futuro, l'angoscia è strettamente connessa all'avvenire, che è poi quell'orizzonte temporale in cui l'esistenza si realizza: "Per la libertà, il possibile è l'avvenire, per il tempo l'avvenire è il possibile. Così all'uno come all'altro, nella vita individuale, corrisponde l'angoscia". Il passato può angosciare in quanto si ripresenta come futuro, cioè come una possibilità di ripetizione. Una colpa passata, ad esempio, genera angoscia se non è veramente passata, perché in questo caso genererebbe solo [[pentimento]]. L'angoscia è legata a ciò che è, ma può anche non essere, al nulla connesso ad ogni possibilità
{{Vedi anche|Søren Kierkegaard#Possibilità, angoscia e disperazione {{!}}Kierkegaard: il concetto dell'angoscia}}
Il termine angoscia è stato utilizzato per la prima volta in termini [[filosofia|filosofici]] da [[Søren Kierkegaard]] ([[1813]]–[[1855]])
Nella [[filosofia contemporanea]] il tema dell'angoscia è stato ripreso da [[Martin Heidegger]] in questi termini:
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