Callimaco è il colpevole (''aitios'') che scrisse gli ''Aitia''ǃ|trad. A. D'Andria}}
Testimonianza del suo lavoro critico su Omero è una proposta della [[Lezione (filologia)|lezione]] κεφαλάς ''kefalàskephalàs'' (teste) al verso 3 del primo libro dell{{'}}''[[Iliade]]''; inoltre accettò la variante di [[Zenodoto]] δαῖτα ''dàita'' del verso 5, mentre la lezione più comune, quella adottata successivamente da [[Aristarco di Samotracia]], recita "mandò in pasto ai cani forti anime d'eroi e a tutti gli uccelli". Come osservano ironicamente [[Rudolf Pfeiffer|Pfeiffer]] ed [[Giancarlo Abbamonte|Abbamonte]], un'anima è un "pasto leggero" per gli animali ed inoltre l'espressione "forti anime" non ha troppo senso e non è mai attestata altrove; Apollonio Rodio si rese conto della difficoltà del testo e propose invece kefalàsκεφαλάς (teste) così che il pasto diventasse più "lauto"; inoltre l'espressione "forti teste" è ben attestata in Omero ed Esiodo e sempre col significato metaforico di "forti corpi" assolutamente adatto al contesto.
Sappiamo che adottò la lezione zenodotea dàita (pasto) così che il testo risultasse "cibo per i cani e pasto per gli uccelli": lo deduciamo da due passi, distanti poche decine di versi, del secondo libro delle Argonautiche in cui usa il termine dàita. Così facendo rimarca il termine e ne indica, collocandolo in un poema di imitazione di [[Omero]], implicitamente l'autenticità omerica.