Ezio Vanoni: differenze tra le versioni

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|Nazionalità = italiano
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È stato Ministro delle Finanze ([[1948]]-[[1954]]) e del Bilancio ([[1954]]-[[1956]]) in parecchi Governigoverni [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], morendo in carica, dopo aver pronunciato un discorso al [[Senato della Repubblica|Senato]]. Nel [[1956]] è stato insignito della medaglia d'oro al [[valor civile]]; gli sono state inoltre intitolate la [[Scuola superiore dell'Economia e delle Finanze|Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze]], organo tecnico del [[Ministero dell'Economia e delle Finanze]] che ha come compito istituzionale quello di curare la formazione e l'aggiornamento del personale dell'[[Agenzia delle Entrate|Amministrazione Finanziaria]], e la [[Biblioteca civica Ezio Vanoni]] del Comune di [[Morbegno]].
 
==Biografia==
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Divenne subito assistente volontario di [[Benvenuto Griziotti]] nell'Istituto Giuridico dell'[[Università di Pavia]], lavorando tra il [[1926]] e il [[1927]] ad una ricerca dal titolo “La rivalutazione della lira e l'equilibrio economico” (era una ricerca che rientrava nel dibattito "[[Quota 90|quota novanta]]").
 
Nel [[1926]] vinse la [[borsa di studio]] "[[Lorenzo Ellero]]", per due anni di perfezionamento in scienze economiche all'[[Università Cattolica del Sacro Cuore]], che però non portò a termine in quanto nel [[1928]] si vide assegnare una borsa di studio dalla [[Fondazione Rockefeller]], per due anni di studio in [[Germania]].
 
Nei due anni vissuti in Germania approfondì gli studi in [[scienza delle finanze]] e in [[diritto finanziario]], acquisendo un ampio bagaglio scientifico nel ramo finanziario. In quegli anni maturò anche una concezione dello [[Stato]] come entità [[morale]] prima che [[politica]].
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Nello stesso anno, il 7 gennaio, si sposò a Morbegno con Felicita Dell'Oro, dalla cui unione nacquero Marina (nel [[1933]]) e Lucia (nel [[1934]]). Vanoni continuò ad inseguire la titolarità della cattedra in scienza delle finanze e diritto finanziario (di cui già possedeva la libera docenza), ma incorse in pesanti bocciature, quando si presentò per la cattedra dell'[[Università di Messina]] e nel [[1935]] allorquando sostenne l'esame per la cattedra dell'[[Università di Camerino]]. {{citazione necessaria|Probabilmente Vanoni non si vide assegnare la cattedra perché non era iscritto al [[partito nazionale fascista]], circostanza questa che lo relegò in uno stato di emarginazione e che gli precluse, per molti anni, qualsiasi ambizione di carriera.}}
 
Dal 1933 al [[1936]] Vanoni ricevette l'incarico per la cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario alla facoltà di giurisprudenza dell'[[Sapienza - Università di Roma|Università di Roma]]. Gli anni che visse a [[Roma]] {{citazione necessaria|furono molto importanti per la sua maturazione ideologica e politica.}} Conobbe infatti il convalligiano, [[Sergio Paronetto]], la cui amicizia venne facilitata da [[Pasquale Saraceno]], docente all'Università di Roma, dirigente dell'[[IRI]] e cognato di Vanoni, e riprese a frequentare i vecchi compagni di lotta del [[Collegio Ghislieri]].
 
Fu grazie a Paronetto<ref>"Sergio Paronetto era stato allievo di Donato Menichella, che nel 1948 succederà a Luigi Einaudi al governatorato della Banca d’Italia, assicurando che la ricostruzione del paese avvenisse col supporto di una sostanziale stabilità monetaria. Inoltre era amico di [[Pasquale Saraceno]] e di Ezio Vanoni, tutti e tre nati a [[Morbegno]], in provincia di Sondrio, ed ebbe modo di tenere un dialogo continuo con [[Guido Carli]], da quando questi era stato assunto all’[[IRI]] nel 1938. E fu anche ispiratore di numerosi componenti dell’[[Assemblea Costituente]] e collaboratore del capo della Resistenza a Roma, il colonnello [[Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo]]": Gianfranco Sabattini, ''I teorici della ricostruzione'', [[Mondoperaio]], n. 1/2017, p. 17.</ref> che, a Roma, Vanoni entrò in contatto con esponenti del mondo [[cattolico]] quali [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]] e [[Guido Gonella|Gonella]] che contribuirono alla rinascita di una vocazione politica che Vanoni aveva accantonato da tempo. Fu sempre Paronetto l'ispiratore della trasformazione di Vanoni da uomo di studio a uomo di azione e che gli fece riscoprire la [[fede]] religiosa<ref>"Per entrambi «la spiritualità esigeva l'attività» e come tale si risolveva nel lavoro e nella pratica. Nella biografia curata dai suoi amici valtellinesi più cari si sottolinea, inoltre, l'unicità del legame sorto tra i due: «Il contatto con Paronetto sollecitò probabilmente in Vanoni un legame più organico con la spiritualità cattolica propria degli ambienti intellettuali, sintonizzò la Sua vita religiosa su quella delle punte più avanzate e più fervide della gioventù italiana di netta professione cattolica. Il dialogo spirituale con Paronetto non avrebbe quasi certamente potuto svolgersi con altri: fu un'insostituibile esperienza che [...] ha rivelato a Vanoni la coscienza di possedere la verità" in ''Ezio Vanoni - per iniziativa del Comune di [[Morbegno]]'', a cura di Piero Malcovati - [[Pasquale Saraceno]] - Giulio Spini, Torino, Ed. ILTE, 1958, pp. 109-110</ref>.
 
Conclusasi l'esperienza di insegnamento all'Università di Roma, dal 1937 al 1938 Vanoni insegnò su incarico all'[[Università di Padova]] (sempre scienza delle finanze e diritto finanziario) e fondò, insieme a [[Benvenuto Griziotti]] e [[Mario Pugliese]], la “[[Rivista di scienza delle finanze e diritto finanziario]]”. Nel [[1938]] pubblicò “Il problema della codificazione tributaria”, {{citazione necessaria|in cui traspariva con evidenza l'influenza lasciata dagli incontri romani con Paronetto. }}
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=== Ministro finanziario (1948-1956): Riforma tributaria e ''Piano Vanoni'' ===
Nel [[1951]] è statofu uno dei principali fautori della riforma tributaria italiana (che porta il suo nome, ''Riforma Vanoni'' o [[Legge Vanoni]]) introducendo anche l'obbligo della [[dichiarazione dei redditi]]<ref>Come ministro delle Finanze, il suo obiettivo era di riuscire a far
sì «che tutti i contribuenti facessero una dichiarazione dei redditi e che ciò fosse strumento di verità e di lealtà fiscale»: [[Francesco Forte]], ''Ezio Vanoni economista pubblico'', a cura di Silvio Beretta e Luigi Bernardi, [[Rubbettino]], Soveria Mannelli, 2009, p. 47-48.</ref>.
 
Il 29 dicembre 1954, il Consiglio dei Ministri, presieduto da [[Mario Scelba|Scelba]], approvaapprovò un documento di oltre cento pagine intitolato «Schema di sviluppo dell'occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-64». Il 25 marzo 1955 Vanoni, in qualità di [[Ministri delle finanze della Repubblica Italiana|ministro delle Finanze,]] presentò per la prima volta in Parlamento lo Schema di sviluppo indicando le azioni di politica economica da intraprendere per conseguire, nel decennio 1955-1964, la crescita economica nazionale. Questo piano decennale per l'economia italiana, detto appunto '''"Piano Vanoni'''", aveva l'obiettivo di produrre piena occupazione, ridurre lo [[questione meridionale|squilibrio]] tra il [[Nord Italia|Nord]] e il [[Sud Italia|Sud]] dell'Italia, e risanare il [[Bilanciobilancio dello Stato]]<ref>Vanoni, fin dal 1947, l'aveva teorizzato in un saggio dedicato a «la nostra via», dove i criteri di massima di un «piano
economico nazionale» vengono stabiliti in quanto consistono «nel consentire un
massimo di libertà, nel conseguire il massimo di utilità sociale, e nel realizzare il
massimo di giustizia sociale» ([[Francesco Forte]], ''Ezio Vanoni economista pubblico'', a cura di Silvio Beretta e Luigi Bernardi, [[Rubbettino]], Soveria Mannelli, 2009, p. 197).</ref>. La realizzabilità del Piano era vincolata, secondo il ministro, ad un tasso di crescita superiore al 5% all'anno,. e, nonostanteNonostante i tassi di crescita italiana superassero tale soglia, il Piano non venne mai realizzato<ref>Lo «Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-1964» è considerato il «testamento spirituale», lasciato da Vanoni agli italiani poco prima della sua scomparsa ([[Francesco Forte]], ''Ezio Vanoni economista pubblico'', a cura di Silvio Beretta e Luigi Bernardi, [[Rubbettino]], Soveria Mannelli, 2009, p. 123).</ref>. Iniziò così il dibattito parlamentare, tra sostenitori e contrari al Piano. Vanoni morì improvvisamente nel [[1956]] a causa di un [[collasso cardiaco]]: la morte lo colse nei locali di [[Palazzo Madama (Roma)|palazzo Madama]]<ref>[http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/473196.pdf Senato della Repubblica, CCCLXIII SEDUTA, II Legislatura, DISCUSSIONI, 16 FEBBRAIO 1956, p. 14877]</ref> (dopo il malore, era sdraiato su un divano dell'ufficio di [[Cesare Merzagora]]) dopo aver tenuto un discorso al [[Senato della Repubblica|Senato]], dove aveva ricordato i motivi ispiratori della sua opera, sollecitando maggiore giustizia per gli umili e i poveri. Lo Schema di sviluppo rimane al centro del dibattito politico fino al 1959 per poi uscire definitivamente dalla scena politica ed entrare nei libri di storia. Ciò nonostante, ancora nel 1960 si teneva conto dello "schema decennale Vanoni" per guidare lo sviluppo dell'economia nazionale e per valutarne l'andamento.<ref>{{Cita news|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,0076_01_1960_0238_0001_16598334/|titolo=L'eredità di Vanoni deve essere ripresa|pubblicazione=La Stampa|data=5 ottobre 1960|p=1}}</ref>
 
La salma venne portata nella natia Morbegno per il funerale e la tumulazione nella tomba familiare<ref>{{Cita news|lingua=it|url=http://www.gazzettadisondrio.it/speciali/17022016/60-anni-fa-spegneva-senato-ezio-vanoni-medaglia-doro-al-valor-civile|titolo=60 anni fa si spegneva in Senato Ezio Vanoni, Medaglia d'oro al Valor Civile|pubblicazione=La Gazzetta di Sondrio|accesso=2018-09-07}}</ref>.