Processo Eichmann: differenze tra le versioni
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Nel suo libro ''Eichmann in Jerusalem'', la politologa ebrea [[Hannah Arendt]] riferisce del processo contro Eichmann.
La sua pubblicazione nel 1963 era nota soprattutto per le sue valutazioni sullo stesso Eichmann, che lei descrive, anche se come il "più grande criminale del suo tempo", come un "buffone". Ha coniato il termine “banalità del male”, che il suo libro porta anche come sottotitolo. Il più grande malinteso del libro è l'interpretazione di Arendt che vede Eichmann semplicemente come un destinatario di ordini. Arendt descrive Eichmann come una persona attiva, come qualcuno che ha portato avanti lo sterminio degli ebrei europei con grande zelo e ingegnosità. Ha organizzato e portato avanti, spinto dalla sua "ideologia dell'oggettività", seguendo sempre la presunta "legge del Führer".<ref>nach Julia Schulze Wessel: ''Ideologie der Sachlichkeit. Hannah Arendts politische Theorie des Antisemitismus''. Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2006, ISBN 978-3-518-29396-6. Die Argumentation ist Thema des gesamten Buches.</ref> Sotto questo aspetto, come la maggior parte dei nazionalsocialisti, era una persona completamente nella media
Le sue pubblicazioni sono state respinte non solo nel mondo ebraico. Il libro e il ciclo di conferenze del 1965 sul male fanno ancora parte del dibattito internazionale sul processo.
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