Vincenzo Monti: differenze tra le versioni

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=== I primi anni ===
 
Monti nacque ad [[Alfonsine]], [[Romagna|borgo romagnolo]] facente parte dei dominii dello [[Stato Pontificio]] (attualmente in [[provincia di Ravenna]]), il 19 febbraio del [[1754]], figlio di Fedele Maria Monti, un perito agrimensore, e Domenica Maria Mazzari, entrambi proprietari d'un podere nei pressi della zona. Aveva tre fratelli maggiori, Cesare, che fu prete, Giovan Battista, [[Frati Cappuccini|frate cappuccino]], e Francesc'Antonio, oltrechéoltre che cinque sorelle, tre delle quali, Lucia Dorotea, Rosa Geltrude e Maria Maddalena, diventeranno monache. Narrano i biografi che all'età di cinque anni cadde nel fosso del mulino della proprietà, salvandosi miracolosamente.<ref>Quinto Veneri, ''Vincenzo Monti'', Torino, Paravia, 1941, p.15</ref>
[[File:15 Via delle Scienze.jpg|thumb|verticale=0.7|Casa dove visse a Ferrara, in [[via delle Scienze]].]]
Ad otto anni fu condotto nella vicina [[Fusignano]], dove ebbe come maestro don [[Pietro Santoni]] (1736-1823), che era anche un rinomato poeta [[lingua romagnola|dialettale]]. Nel [[1766]] entrò nel [[seminario]] di [[Faenza]], studiando latino con il famoso [[Francesco Contoli]].<ref>[[Guido Bustico]], ''Vincenzo Monti. La vita'', Messina, Principato, [1920], p.10.</ref> Vi rimase dai dodici ai diciassette anni (a tredici prese la [[tonsura]]) e nel [[1771]] manifestò l'intenzione di entrare nell'[[Ordine Francescano]]. Privo però di una vera vocazione, accantonò presto l'idea, trasferendosi con il fratello Francesc'Antonio a [[Ferrara]], dove studiò [[diritto]] e [[medicina]] presso l'[[Università degli Studi di Ferrara|Università degli Studi]]. Dovette lottare per abbandonare definitivamente il borgo natìo, dove la famiglia, totalmente insensibile alla letteratura, voleva trattenerlo. Molto interessante al proposito appare la lettera che il giovane Monti scrisse, nel [[1773]], all'abate [[Longiano|longianese]] Girolamo Ferri, suo professore nel seminario faentino:
 
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Si intravedono subito alcuni elementi chiave della sua personalità, fra cui la tendenza ad accomodarsi a diversi fini a seconda delle esigenze personali. Soprattutto per questo approfondì gli [[studi biblici]], emergenti nella prima parte della sua produzione.
 
Dimostrò comunque un talento sorprendente e precoce per le lettere, e già nel luglio [[1775]] venne ammesso all'[[Accademia dell'Arcadia]] con il soprannome di ''Antonide Saturniano'', ingraziandosi, bello d'aspetto,<ref>Cfr il ritratto che ne dà [[Paride Zajotti]] nell'introduzione alle ''Opere inedite e rare'' (Milano, Società degli Editori, 1832)</ref> le prime protettrici, l'anziana marchesa Trotti Bevilacqua<ref>Fu anche in Arcadia come ''Climene Teutonica''</ref> e la contessa Cicognini. Cominciò a scrivere versi latini di argomento sacro per farsi notare dagli ambienti ecclesiastici (non si dimentichi poi che a Ferrara spopolavano gli apprezzatissimi e pii poeti [[Alfonso Varano]] e [[Onofrio Minzoni]]), ma sin d'ora vi si mescolò il profano, come si evince dal ''Nuovo amore'', canzonetta in quartine dello stesso 1775, in cui con un finto pathos unito a distacco si fa riferimento all'amore per una "bella toscanella" conosciuta nel collegio di Santa Trinita di Firenze, dov'era compagna della sorella.<ref>Carlo Muscetta, ''Introduzione'' in Vincenzo Monti, ''Iliade di Omero'', Milano, Oscar Mondadori, 1995, p.X</ref> Questa infatuazione giovanile evidentemente non fu gran cosa, e, quando arriveranno le pene vere d'amore, più avanti, si noterà la differenza.<ref>Cfr il paragrafo sui ''Pensieri d'amore'' più sotto</ref>
 
Esordì con componimenti di vario tipo, tra cui si possono ricordare i sonetti ''Il matrimonio alla moda'' e ''Il ratto di Orizia'', debitori di [[Giuseppe Parini|Parini]] il primo, di [[Giuliano Cassiani]] (e del suo ''Ratto di Proserpina'') il secondo, in conformità ai fermenti arcadici del periodo. Copiosa fu ai primordi anche la produzione latina, che delizierà [[Niccolò Tommaseo]].
 
Poté pubblicare l'anno successivo il suo primo libro, ''La visione di Ezechiello'' (in onore di don [[Francesco Filippo Giannotti]], [[arcivescovo]] di [[Minerbio]], che aveva visto predicare a Ferrara), impostato sul modello [[Alfonso Varano|varaniano]] delle ''[[Visioni sacre e morali]]'', che godeva di molta fortuna all'epoca, specialmente nell'''entourage'' arcadico.<ref>Enrico Bevilacqua, ''Vincenzo Monti'', Firenze, Le Monnier, 1928, p.15</ref> Di stesso stampo sono altre due ''Visioni'' coeve, dedicate ancora ad alti prelati.
 
Sin dall'inizio si manifesta una tendenza spesso ricorrente nel Monti: la rielaborazione di modelli precedenti. Il poeta non inventa nulla di nuovo, ma nuovo è il modo in cui fonde assieme le fonti, creando così uno stile affatto peculiare. Qui ovviamente è l'Arcadia a dominare (e il suo stile non abbandonerà mai l'ala dell'Accademia), e non si può tacere l'ammirazione nutrita in questo momento per [[Carlo Innocenzo Frugoni|Frugoni]], ma evidenti, come si può intuire già dal titolo, sono anche le citazioni bibliche, come fin dall'inizio [[Dante Alighieri|Dante]] (soprattutto) e [[Francesco Petrarca|Petrarca]] sono nomi imprescindibili del suo repertorio.
 
Nel [[1777]] entrò anche nell'[[Accademia degli Agiati]] di [[Rovereto]] con il nome di ''Archia''.<ref>Bustico, cit. supra, p.11.</ref>
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Il 26 maggio [[1778]], al seguito del legato pontificio a Ferrara - il cardinale [[Scipione Borghese (1734-1782)|Scipione Borghese]] - si recò a [[Roma]], per cercare gloria e fuggire l'angustia di un mondo divenutogli troppo stretto, e vi ottenne l'appoggio del celebre [[archeologo]] [[Ennio Quirino Visconti]], cui dedicò l'anno seguente un saggio di poesie dall'influsso [[Metastasio|metastasiano]] (si consideri solo il titolo dell'ultimo componimento, ''Giunone placata'', che ricorda la ''[[Didone abbandonata]]''). Vide la luce, nello stesso anno del ''Saggio'', anche la ''Prosopopea di Pericle'', poema d'occasione suggerito a Monti da Visconti, in seguito al ritrovamento in marzo, in una villa di [[Tivoli]], di un'erma del [[Pericle|condottiero ateniese]]. Tutto ciò funse da pretesto per glorificare l'età presente, considerata superiore a quella classica.
 
Le opere di questo periodo sono fortemente influenzate dalla necessità di emanciparsi economicamente dalla famiglia, ed è quindi naturale che in esse prevalga il tono adulatorio, all'interno, tuttavia, di una cornice stilistica armoniosa e cristallina, in cui gli stilemi [[neoclassicismo|neoclassici]] predominano, anche se non mancano contaminazioni provenienti dalla letteratura sepolcrale e dall'incipiente gusto [[romanticismo|romantico]]. In ogni caso, come già a Ferrara, l'intento è quello di sfruttare le occasioni contingenti per accattivarsi la protezione dei potenti.
 
Per qualche mese, tuttavia, la produzione poetica fu trascurabile, e Monti si diede alla lettura di alcuni filosofi, tra i quali [[John Locke|Locke]], [[Leibniz]], [[Étienne Bonnot de Condillac|Condillac]] ed [[Helvetius]].<ref>Veneri, p. 24</ref>
 
==== L'ingresso nella corte papale ====
[[File:Pompeo Batoni - Ritratto di Papa Pio VI (National Gallery of Ireland).jpg|thumb|left|upright=0.7|Pio VI ritratto da [[Pompeo Batoni]]]]
 
Nel 1781 il Papapapa romagnolo [[Pio VI]], al secolo Giannangelo Braschi, mecenate e poeta dilettante, aveva chiamato a Roma il nipote [[Luigi Onesti Braschi|Luigi Onesti]], unendolo in matrimonio con la quindicenne [[Costanza Falconieri]], che possedeva una ricca dote. L'evento suscitò un profluvio di componimenti arcadici, tra i quali quello del Monti, il poemetto in terzine ''La bellezza dell'universo'', che incantò la platea del [[Accademia dell'Arcadia|Bosco Parrasio]] e meritò la stima del pontefice, che lo nominò segretario del nipote principe Luigi Onesti (cui era ora stato associato il cognome Braschi), facendolo entrare nelle grazie dell'ambiente papalino.
 
Un cardinale francese, nel frattempo, gli commissionò, dietro lauta ricompensa, l'ennesima prestazione d'occasione; si tratta di due [[Cantata|cantate]] in onore del [[Delfino di Francia]] (una delle quali musicata dal [[Cimarosa|Cimarosa]]) che era appena venuto alla luce, [[Luigi Giuseppe di Borbone-Francia|Luigi Giuseppe]].
 
Infausto nelle intenzioni e nell'esito fu ''Il Pellegrino Apostolico'' (1782), in cui con tono enfatico, in due canti, celebrò il successo della visita papale a [[Vienna]], dove Pio VI incontrò l'ostile [[Giuseppe II d'Asburgo-Lorena|Giuseppe II]], nella speranza di giungere ad una conciliazione. Il poema celebra il successo della spedizione, ma in realtà ben presto la visita si rivelò un fallimento e valse anche molte critiche al vescovo di Roma.
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==== I ''Pensieri d'amore'', un'apertura romantica? ====
 
Il suo stile abbandonò la fredda adulazione con gli endecasillabi sciolti ''Al principe Sigismondo Chigi'', e ancor più con i celebri ''Pensieri d'Amore'', dove freme di passione disperata per una giovinetta che la critica ha identificato nell'educanda [[Carlotta Stewart]], che Monti aveva conosciuto tra settembre e ottobre a Firenze nella casa della livornese [[Fortunata Sulgher|Fortunata Sulgher Fantastici]]<ref>''Temira Parraside'' in Arcadia</ref> e che aveva pensato di sposare, salvo incontrare il diniego dei parenti di lei, ricchi assai più del poeta, che a Roma viveva ancora miseramente. Fortunata e il principe [[Sigismondo Chigi (principe)|Sigismondo Chigi]] furono confidenti delle pene amorose del poeta. Il Chigi (Roma 1736 - Padova 1793), Custode del Conclave, ebbe fama di liberale e molto amava la poesia, che praticò con successo, ricevendo anche i complimenti del Visconti. Spirito libero e aperto, si sposò due volte e dovette subire l'accusa, falsa, di aver avvelenato un cardinale per gelosia.<ref>Alfonso Bertoldi (a cura di) in Vincenzo Monti, ''Poesie'', Firenze, Sansoni, 1957, pp.28 e segg., cfr. anche E.Q.Visconti, ''Due discorsi inediti'', Milano, Resnati, 1841</ref>
 
Il modello delle due opere è da ricercare senz'altro nel ''[[Werther (opera)|Werther]]'', che Monti lesse nell'anonima traduzione francese, e con cui condivideva il nome della protagonista femminile. I ''Pensieri d'amore'' adottano uno stile più malinconico e sincero, e costituiscono le prime avvisaglie di un avvicinamento, forse non emotivo ma certamente formale, alla [[Romanticismo|poetica romantica]], tanto che lo stesso [[Giacomo Leopardi|Leopardi]] ne trarrà ispirazione per alcuni dei suoi componimenti più famosi,<ref>Bevilacqua, p. 24</ref> come si evince da questi versi:
 
{{Citazione|Alta è la notte, ed in profonda calma<br />dorme il mondo sepolto,<br />...Io balzo fuori dalle piume, e guardo;<br />e traverso alle nubi, che del vento<br />squarcia e sospinge l'iracondo soffio,<br />veggo del ciel per gl'interrotti campi<br />qua e là deserte scintillar le stelle.<br />Oh vaghe stelle!...|''Pensieri d'amore'', VIII, 124-132}}
 
==== Ritorno al Neoclassicismoneoclassicismo ====
[[File:Testa di Feronia - museo civico Pio Capponi di Terracina.jpg|thumb|upright=0.7|Testa di Feronia. Reperto datato ultimo quarto del II secolo a.C. e originario di Punta di Leano, [[Terracina]]]]
Tuttavia è ancora presto, la sua poesia rimane nel solco della tradizione arcadica e in sintonia con la lezione degli [[Illuminismo|illuministi]]. Monti continua a frequentare l'[[Accademia dell'Arcadia|Accademia]], e qui recita le due opere successive, il sonetto ''Sopra la morte'' (alla fine saranno quattro, e vedranno la luce nel 1788), molto popolare all'epoca, e l'ode ''Al signor di Montgolfier'', scritta in quartine. Essa trasse spunto dal secondo volo aerostatico della storia, avvenuto a [[Parigi]] il 1º dicembre [[1783]]. In una comunione stupita col popolo, Monti ne trae un'opera sincera, non commissionata, imbastita sul paragone tra le imprese della nave [[Argonauti|Argo]] e quelle della mongolfiera, in un parallelo volto ad esaltare, come nella ''Prosopopea'', la modernità, e, in un afflato del tutto [[illuminista]], il progresso umano.
[[File:Early flight 02562u (2).jpg|thumb|left|upright=0.7|Prima dimostrazione pubblica del volo ad [[Annonay]], 4 giugno [[1783]], ad opera dei [[fratelli Montgolfier]]]]
Nel 1784 cominciò a metter mano a un testo sul quale sarebbe ritornato per tutta la vita, senza mai riuscire a completarlo. Si tratta de ladella ''[[Feroniade]]'', il cui titolo rimanda alla [[Feronia|ninfa]] amata da [[Zeus]] e perseguitata da [[Giunone]]. Anche qui non manca il pretesto: questa volta si vuole glorificare l'intenzione di Pio VI di bonificare le paludi dell'[[Agro Pontino]], opera che non ebbe lieto esito ma suscitò grande risonanza, e anticipò la famosa bonifica [[mussoliniBenito Mussolini|mussoliniana]]ana. L'opera che ci è stata tramandata conta ben 2000 versi sciolti. L'idea per il tema venne al Monti nel corso delle battute di caccia che conduceva assieme al principe Braschi Onesti nella zona di [[Terracina]], dove vide la fontana Feronia citata da [[Orazio]], e si lavò anch'egli ''ora manusque''<ref>Orazio, ''Sat''. I, V, 24</ref> (''le mani e il volto'', perché qui ''ora'' è naturalmente da intendersi come [[sineddoche]]). La critica ha ravvisato gli innumerevoli rimandi stilistici e tematici a [[Virgilio]], mentre [[Giosuè Carducci|Carducci]] ha parlato di influenza [[Omero|omerica]].<ref>Bertoldi p.397-8</ref> In ogni caso, sono testimonianze che ben rilevano il gusto neoclassico dell'opera.
 
====La parentesi tragica====
[[File:VAlfieriFabre.jpg|thumb|left|upright=0.7|Vittorio Alfieri in un ritratto di [[François-Xavier Fabre|Fabre]]]]
 
Tra il maggio del [[1781]] e quello del [[1783]] [[Vittorio Alfieri]] trascorse il suo secondo soggiorno romano, e nell'Urbe fece conoscere alcune delle sue tragedie (sono in particolare gli anni della composizione del ''[[Saul (Alfieri)|Saul]]'', recitato in Arcadia il 3 giugno 1783 alla presenza delanche di NostroMonti). Monti, che per Alfieri nutriva un'ammirazione mista a invidia,<ref>Bevilacqua, p. 30</ref> pensò di virare verso il genere tragico, cercando di soddisfare il pubblico che per opere di questo tipo chiedeva, come ebbe a rilevare [[Francesco De Sanctis]], uno stile che fosse una via di mezzo tra la durezza alfieriana e l'espressività metastasiana.
 
In questo modo nacque l'''[[Aristodemo (Monti)|Aristodemo]]'', storia dei tormenti di un padre che ha ucciso la figlia per ambizione. La fonte è classica: ci narra la storia in poche righe il greco [[Pausania il Periegeta|Pausania]], e l'argomento era già stato messo in tragedia nel secolo precedente da [[Carlo de' Dottori]], in un'opera che offre alcuni spunti ravvisabili nel testo montiano.<ref>Bevilacqua, p. 31</ref>
L'opera, rappresentata il 16 gennaio [[1787]] al [[teatroTeatro Valle]] (la prima assoluta risale all'anno precedente, a [[Parma]]), riscosse un ampio successo, per quanto non siano poi mancate, in un secondo momento, delle voci critiche. In ogni caso Monti era sempre più protagonista indiscusso della vita letteraria romana. A Parma, inoltre, l'opera fu pubblicata per i tipi di [[Giambattista Bodoni]], editore di prestigio nella città che veniva definita "Atene d'Italia".
 
Nell'''Aristodemo'' il rimorso è il vero protagonista del testo, in un'atmosfera a metà strada tra il ''[[Il racconto d'inverno|Racconto d'inverno]]'' e ''[[Delitto e castigo]]'' (seppur non allo stesso livello di ''pathos'' e di introspezione psicologica, perché Monti è sempre più leggero, anche quando è solenne), e nella compresenza di varie fonti ispiratrici; oltre a [[Dante Alighieri|Dante]], [[Francesco Petrarca|Petrarca]] o lo stesso Alfieri, sono ravvisabili le sirene del Nord, tali da giustificare la definizione, per l'opera, di "tragedia sepolcrale".<ref>Emilio Bertana, ''La tragedia'', Milano, Vallardi, 1905</ref>
 
Fu durante una rappresentazione privata dell'opera, nel 1786, che il poeta si invaghì della sedicenne [[Teresa Pichler]], che aveva recitato assieme a lui. Questo fu il preludio alle nozze di cinque anni più tardi.<ref>Bevilacqua, p.168</ref>
 
Sull'onda del successo scrisse ancora due tragedie, una modesta, ''Galeotto Manfredi'' (1787), e una di maggior spessore, ''Caio Gracco'', che ebbe una gestazione più lunga (1788-1800). La commissione del ''Galeotto'' fu assegnata al poeta da Costanza Falconieri, che desiderava una vicenda "domestica". La trama è tratta dalle ''Istorie Fiorentine'' del [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]], dove si narra di come la moglie di Galeotto, signore di [[Faenza]], e figlia di Bentivoglio, signore di Bologna - corrispondente nella realtà a [[Francesca Bentivoglio]] e portata sulla scena con il nome di Matilde -, avesse ordito e portato a compimento nel [[1488]] un complotto per uccidere il consorte, «o per gelosia, o per essere male dal marito trattata, o per sua cattiva natura».<ref>''Le Istorie Fiorentine di Niccolò Machiavelli'', Firenze, Felice Le Monnier, 1843, p. 396 (VIII, 1488).</ref> Monti, nell<nowiki>'</nowiki>''Avvertimento'' anteposto al testo, dichiara di aver scelto la prima ipotesi, vista la libertà in cui lo lasciavano le varie teorie di Machiavelli.<ref>Lo si legga, ad esempio, in ''Tragedie di Vincenzo Monti'', Milano, Guigoni, 1870, p. 134.</ref>
 
In una tessitura che richiama un po' troppo da vicino l'''[[Otello]]'' [[William Shakespeare|shakespeariano]], Monti non manca di fare polemica, nascondendosi nel personaggio del fido Ubaldo, cui fa da contraltare il traditore Zambrino, sotto le cui spoglie si cela Lattanzi, rivale del poeta. Nonostante ci siano quindi accenti veritieri, l'opera non riscosse successo e il poeta stesso la definì mediocre.<ref>Veneri, p. 45</ref>
 
Il ''Caio Gracco'', di cui [[Plutarco]] è la fonte principale, riscosse grandi apprezzamenti nella prima milanese del [[1802]], ma già nel 1788 mostrò i primi fermenti giacobini del poeta, poi temporaneamente rinnegati, mentre la [[Rivoluzione francese]] era nell'aria. Si notano però anche tendenze patriottiche, nel riconoscimento della comune origine italica, in un anticipo risorgimentale.
 
==== L'ode introduttiva all'''Aminta''====
Nell'aprile 1788 ci fu una nuova collaborazione con Bodoni, che voleva ristampare l'[[Aminta (Tasso)|''Aminta'']] di [[Torquato Tasso]] in occasione delle nozze della figlia ultimogenita della marchesa [[Anna Malaspina della Bastia]], Giuseppa Amalia, con il conte Artaserse Bajardi di [[Parma]] (av. 1765-1812). Bodoni chiese al Monti alcuni versi di dedica dell'opera. Nacque così l'ode ''Alla marchesa Anna Malaspina della Bastia'', dove, oltre alle virtù di bellezza e ingegno della nobildonna, si celebrano i meriti della famiglia [[Malaspina]], che ospitò l'esule [[Dante]] nel 1306 e che come tale è rimasta protettrice della poesia, tanto che la marchesa prese sotto la sua ala [[Carlo Innocenzo Frugoni]]. Questi è qui paragonato a [[Pindaro]] e [[Orazio]], nei consueti toni spropositati che in questo caso, nella denuncia degli imitatori del Frugoni, pare volessero colpire in particolare il poeta [[Angelo Mazza]], che aveva stroncato l'''Aristodemo''.<ref>Bertoldi, p.64;Bevilacqua, p.160</ref> L'ode, composta in endecasillabi sciolti e pubblicata anonima nel 1789, sovrabbonda di riferimenti mitologici ed eleva l'opera tassesca a emblema dell'amore stesso.
 
==== Monti reazionario, la ''Bassvilliana'' ====