De Luna d'Aragona: differenze tra le versioni

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== Il ramo siciliano ==
 
La famiglia de Luna fu portata in [[Sicilia]] da un Artale di Luna, consanguineo di re [[Martino d'Aragona]] nel [[1386]].
Artale si innamorò di una damigella di nome Margherita Peralta, parente dello stesso re, promessa ad un Giovanni [[Perollo]], e la prese in moglie.
 
Il figlio Antonio de Luna conte di [[Caltabellotta]] raccolse una vastissima eredità, insieme all'odio dei Perollo. In breve tempo le due famiglie vennero ad aperte e sanguinose contese, dando luogo al primo "Casocaso di Sciacca", nel [[1450]], sotto il regime di re [[Alfonso d'Aragona|Alfonso]], e per questo furono prima esiliati e poi graziati.
Antonio de Luna fu consigliere e [[camerlengo]] del regno, {{citazione necessaria|come ricorda lo storico Villabianca.}}, Fue il secondo e ultimo conte di [[Reggio Calabria]] .
 
TraAltri ipersonaggi moltidella altri personaggifamiglia degni di menzione si ricordanofurono:
* Gianvincenzo de Luna conte di [[Sclafani]], [[straticoto]] a [[Messina]] nel [[1514]], presidente e viceré del regno dal 1516 al 1517
* Sigismondo de Luna conte di [[Caltabellotta]], che riacceso l'odio dei Perollo venne assassinato. Il delittodiededelitto diede luogo ad una seconda più sanguinosa faida, detta il famosonuovamente "Casocaso di Sciacca", del [[1529]].
* Pietro de Luna conte di [[Caltabellotta]] e di Sclafani, primo duca di [[Bivona]] per concessione di [[Carlo V imperatoredel Sacro Romano Impero|Carlo V]] nel [[1554]], fu straticoto di Messina e vicario generale del regno percontro difenderlo dallele invasioni turchesche[[Ottomani|ottomane]] nel [[1573]]. Con suo figlio Giovanni de Luna si estinse questo ramo
 
===Il "primo Caso"caso di Sciacca"===
[[Immagine:20070414_-_Estatua_de_don_%C3%81lvaro_de_Luna.jpg|thumb|left|150px|Monumento a don Alvaro de Luna a Cañete, Cuenca, Spagna]]
La lite scoppiò furibonda tra Pietro Perollo, figlio di Giovanni, barone di Pandolfina, e Antonio di Luna, figlio di Artale. Quest'ultimo, con cavilli legali, ottenne la restituzione del feudo di San Bartolomeo, ma il Perollo non poteva sopportare un simile affronto:, insieme con i propri fratelli, tese un agguato ad Antonio de Luna, e lo trafisse a pugnalate. Questi tuttavia sopravvisse e una volta guarito, per vendicarsi, con una schiera di armati piombò su [[Sciacca]], dove uccise circa trenta membri della famiglia.
 
===Il "primo Caso di Sciacca"===
La lite scoppiò furibonda tra Pietro Perollo, figlio di Giovanni, barone di Pandolfina, e Antonio di Luna, figlio di Artale. Quest'ultimo, con cavilli legali, ottenne la restituzione del feudo di San Bartolomeo, ma il Perollo non poteva sopportare un simile affronto: insieme con i propri fratelli tese un agguato ad Antonio de Luna, e lo trafisse a pugnalate.
Ma il rivale, dalla pelle dura, sopravvisse con lo spasmodico desiderio di vendicarsi. Guarito, con una schiera di armati piombò su [[Sciacca]], dove risiedeva il Perollo. Purtroppo non lo trovò. Dovette accontentarsi di scannare una trentina di congiunti e familiari di lui. Fu questo il cosiddetto "primo caso di Sciacca".
 
La vendetta era solo rimandata.
 
===Il "secondo Caso di Sciacca"===
Ben sessantaquattro anni dopo, venne lL'occasioneodio pertra realizzarele ladue vendettafamiglie del cosiddetto "secondo caso Sciaccia". La pretesasi furiaccese assai futile, ma sufficiente per innescarecon il "secondo caso di SciaccaSciaccia". Siamo nelNel [[1529.]] Unauna squadra di galere barbaresche, al comando del corsaro [[Sinan Bassà]], detto "il giudeoGiudeo", si presentapresentò dinanzi a Sciacca innalzando il segnale "che prigioneroindicava dila riguardopresenza a bordo, di un prigionero di riguardo da riscattare", il barone di Solunto. Il Sigismondo de Luna, conte di Caltabellotta, offrì per il riscatto una forte somma d'oro, che venne rifiutata. Giacomo Perollo, portolano di Sciacca, si recò invece in visita sulla galea corsara, facendosi precedere da ricchi doni e comportandosi forse con maggiore diplomazia, e ottenne la liberazione senza riscatto del barone e di altri dieci schiavi, e la promessa del corsaro di non compiere altre incursioni contro la città.
 
Era il barone di Solunto. Sigismondo Luna, come si era soliti fare a quei tempi, nella sua veste comitale, offrì una grossa somma d'oro che, però, fu rifiutata da Sinan, forse indispettito dall'eccessiva alterigia con la quale il conte di [[Caltabellotta]] lo aveva trattato.
Si intromise, allora, [[Giacomo Perollo]], portolano di [[Sciacca]], il quale, con diplomazia, chiese a Sinan il permesso di visitarlo a bordo della sua galera corsara.
 
Ottenutolo di buon grado, si fece precedere da ricchi doni e da rinfreschi. Il corsaro, che doveva essere sensibile alla cortesia, forse per fare dispetto al Luna e per sfoggiare, a sua volta, grandiosità, liberò senza riscatto il barone, insieme con altri dieci schiavi; e per di più, promise al Perollo che non avrebbe compiuto altre incursioni sul litorale saccense. Di qui, l'enorme successo popolare del Perollo e frizzi ferocemente salaci per il Luna.
 
Fu la goccia che fece traboccare il vaso, che si veniva riempendo di veleno da quasi un secolo. Con un vero e proprio esercito, fornito anche di artiglieria, al quale era aggregato una specie di "legione straniera" costituita da mercenari albanesi di Piana, di Contessa, di Palazzo Adriano e di Mezzoiuso, Sigismondo Luna attaccò Sciacca ove il Perollo si barricò nel vecchio castello normanno.
 
Dopo essersi sfogato ad ammazzare amici e congiunti del suo rivale, il conte di Caltabellotta, nonostante l'arrivo delle truppe regie inviate dal Viceré Ettore Pignatelli, grande amico di Giacomo Perollo, attaccò la rocca intorno alla quale pose un vero e proprio assedio, con trincee, fossati, camminamenti e otto bombarde che, insieme all'artiglieria più leggera, battevano in breccia l 'obiettivo.
 
L'assediato, che si era difeso strenuamente, resosi conto di non potere più a lungo resistere, uscì da un passaggio segreto e si rifugiò nella casa di un suo fedele, Luca Parisi. Aveva tentato di venire a patti con il Luna, il quale aveva posto come condizione preliminare che Giacomo Perollo gli chiedesse perdono in ginocchio, dopo avergli baciato i piedi. Condizione, ovviamente, inaccettabile per il Perollo!
 
Sotto l'ultima pressione, le porte del castello saltarono in pezzi; le orde di Sigismondo Luna si riversarono all 'interno uccidendo tutti i difensori. "Soltanto fu notabile", scrisse Villabianca, "il riguardo con cui furono trattate le donne, senza veruno oltraggio condotte al monastero". In modo particolare, la baronessa Perollo (donna Brigida Bianco di Mazara): non appena entrò da conquistatore nella sala grande del castello, ove la dama si trovava con i figlioletti, il conte di Caltabellotta non solo ricordò le regole della cavalleria, ma come scrive Isidoro La Lumia, lo storico del secolo scorso - sentì spetrarsi e intenerirsi ", quasi pentito del massacro che aveva provocato; offerto, infatti, il braccio alla baronessa, la scortò personalmente al monastero delle Giummare.
 
Un Antonello da Palermo tradì il Perollo, rivelandone il nascondiglio. Questi, appena scoperto, fu subito ucciso, pare da un Giovanni Lipari di Trapani e da un Calogero Calandrini. Il de Luna - novello Achille - incrudelì sul cadavere, trascinandolo a coda di cavallo per le vie di Sciacca. Fu, questo, il secondo episodio del "caso di Sciacca , che sarà argomento preferito dei cantastorie siciliani sino all'inizio del nostro secolo.
 
In seguito allo smacco subito e alla popolarità del rivale, il conte mise insieme un vero e proprio esercito e attaccò nuovamente Sciacca, dove Giacomo Perollo si barricò nel castello normanno. Dopo aver trucidato altri membri della famiglia rivale, il conte assediò la rocca, nonostante le truppe inviate in aiuto del Perollo dal vicerè Ettore Pignatelli. Il castello fu conquistato e le donne della famiglia Perollo che vi si erano rifugiate furono risparmiate da ogni oltraggio e scortate in un monastero, ma i difensori furono tutti uccisi. Giacomo Perollo, fuggito per un passaggio segreto, si era nascosto nella casa di un suo fedele, ma il suo nascondiglio fu rivelato da un traditore e venne ucciso dagli uomini del conte e il suo cadavere venne trascinato per le vie della città.
Ma anche nella Sicilia del Cinquecento, un fatto così enorme non poteva passare inosservato. Il governo viceregio dovette pur intervenire. Dichiarato fellone e reo di lesa maestà Sigismondo de Luna, il suo castello fu assalito dalle truppe regie che impiccarono e decapitarono i suoi seguaci senza parsimonia. Egli, però, riuscì a fuggire a Roma. Come marito di [[Aloisia Salviati Medici]], egli era, infatti, parente di papa [[Clemente VII]].
 
In seguito all'attacco del castello, Sigismondo de Luna fu dichiarato fellone e reo di lesa maestà e il suo castello fu assalito dalle truppe regie che ne trucidarono i difensori. Il conte tuttavia riuscì a fuggire a [[Roma]], ponendosi sotto la protezione di [[papa Clemente VII]], parente della moglie Aloisia Salviati Medici. In seguito al protrarsi dell'esilio il conte si suicidò nel Tevere.
Ma poiché il perdono del re di Spagna tardava a venire, angosciato, {{quote|"corse a finir la vita nelle acque del Tevere"}}.
 
== Ximenez de Luna==