Jacques Derrida: differenze tra le versioni
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Nella riflessione ontologica, Derrida fonda la maggior parte dei suoi concetti più importanti. Riprendendo e, in un certo senso, estremizzando le istanze mosse da Heidegger sulla difficoltà dell'Essere, Derrida riconosce l'indefinibilità dell'identità dell'Essere giacché esso conserva in sé medesimo una differenza. Tale differenza, ("''différance''" nel linguaggio derridiano) sarebbe il tratto costitutivo di ogni spazio dell'esistenza: tutto ciò che è, è sempre decentrato rispetto a sé stesso e, pertanto, in larga misura indicibile dal linguaggio.
L'impotenza del linguaggio di fronte all'essere deve però confrontarsi con l'esistenza stessa di un linguaggio. Tale linguaggio, che si muove sulle tracce ("''trace''") dell'Essere, rimanda dunque a qualcosa di originario, decentra in qualche modo l'originarietà fondativa della domanda sull'Essere. Non poggiando su una datità della parola, del Verbo, né
La "différance", tradotta solitamente in italiano con "dif-ferenza", non è propriamente né un concetto, né una parola, bensì un "fascio", un viluppo di sensi o di linee di forza. Nell'edizione de ''[[Della grammatologia]]'', pubblicata in Francia nel [[1967]] e in Italia edita da [[Jaca Book]] nel [[1969]], i traduttori<ref>Rodolfo Balzarotti, Francesca Bonicalzi, [[Giacomo Contri]], [[Gianfranco Dalmasso]], Angela Claudia Loaldi.</ref> avvertono che:
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Le principali critiche rivolte al pensiero di Derrida riguardano, innanzi tutto, come si è già detto, l'accusa di oscurità con cui egli espone i suoi concetti; oscurità che i critici considerano sinonimo di arbitrarietà, ovvero di mancanza di rigore filosofico; inoltre, la centralità del tema della decostruzione nella filosofia di Derrida ha spinto alcuni a ritenere il suo un pensiero [[nichilismo|nichilista]], che esita nello [[scetticismo filosofico|scetticismo]] e nel [[solipsismo]] più assoluti, giacché la decostruzione mostrerebbe l'infondatezza e la precarietà di tutta la tradizione del pensiero occidentale. A queste critiche Derrida replica che il suo decostruzionismo è affermativo, produttivo, e non mira a togliere fondamento ai concetti, ma solo a esibire le modalità del loro sviluppo e funzionamento.
[[Nikos Salingaros]] critica aspramente il decostruttivismo in architettura e la sua applicazione a-critica della filosofia del post-strutturalismo. Nel suo saggio ''The Derrida Virus''<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Nikos A.|cognome=Salingaros|data=2003-12-21|titolo=The Derrida Virus|rivista=Telos|volume=2003|numero=126|pp=66–82|lingua=en|accesso=2021-08-28|url=http://journal.telospress.com/content/2003/126/66}}</ref> egli sostiene che le idee di
Da parte loro, I maggiori esponenti della [[filosofia continentale]] (in particolare [[Jürgen Habermas|J. Habermas]] e [[Karl-Otto Apel|K.O. Apel]]) si sono apertamente schierati contro i principi della decostruzione e del decostruzionismo e hanno proposto, al contrario, l'idea di una dialettica progressiva tra la comunità storica e ideale degli interpreti che miri alla progressiva risoluzione dei conflitti economico e sociali attraverso i principi di un'etica della comunicazione, ovvero di una strategia discorsiva pienamente democratica.<ref>F. Dal Bo, ''Società e discorso. L'etica della comunicazione'' in Karl Otto Apel e Jacques Derrida, con un inedito di Jacques Derrida: ''I limiti del consenso'', Mimesis, Milano, 2002. ISBN 88-8483-057-5.</ref>
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