Giuseppe Garibaldi: differenze tra le versioni
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La [[battaglia di Calatafimi]] vide la ritirata delle truppe borboniche, anche se lo scontro terminò con pari perdite<ref>{{Cita|Mino|pp. 301-302}}.</ref>, fra le quali quella del camoglino [[Simone Schiaffino]] che i borbonici confusero con lo stesso Garibaldi<ref>{{Cita|Scirocco|p. 250}}.</ref>. Durante lo scontro sono diverse le frasi che si attribuiscono pronunciate dall'eroe: «''I Mille non hanno bandiera''» (quando venne perso il tricolore) e «''Qui si fa l'Italia o si muore''», la celebre risposta data a Bixio che chiedeva di ritirarsi; alcuni sostengono che abbia proferito invece «''Ritirarci, ma dove?''»<ref>{{Cita|Mino|p. 300}} e {{Cita|Scirocco|p. 249}}</ref>. A Calatafimi, Garibaldi rischiò di essere ucciso da un cacciatore borbonico che era sopraggiunto alle sue spalle, ma [[Augusto Elia]] gli salvò la vita, frapponendo il suo corpo alla pallottola destinata al generale<ref>''Dizionario del Risorgimento Nazionale'' – Volume IV – Pagg. 5-6 - Vallardi - Milano</ref>.
Garibaldi quindi finse di recarsi a [[Corleone]] dove inviò il colonnello [[Vincenzo Giordano Orsini]] con i vari carri<ref name="cita-Possieri-p168"/> mentre si diresse verso [[Palermo]], ingannando in tal modo il colonnello svizzero [[
Il 26 Garibaldi con i suoi uomini, ora circa 750, giunse vicino a Palermo e ricevette i rinforzi di [[Giuseppe La Masa]]; la sera stessa attaccò la città entrando da [[Porta Termini]], raggiungendo alle sei del mattino del 27 maggio piazza della Fieravecchia. Si combatté per diversi giorni, e in aiuto avvenne l'[[insurrezione di Palermo (1860)|insurrezione popolare]]; poi, iniziati gli incontri fra Garibaldi e il generale [[Giuseppe Letizia (generale)|Giuseppe Letizia]],<ref>Fra i due il 6 giugno venne stabilita una convenzione che prevedeva fra l'altro la consegna dei malati e feriti e la liberazione di sette detenuti a Castellamare, si veda: {{cita libro|Giuseppe |Da Forio |Vita di Giuseppe Garibaldi, Volume 2 p. 66|1862 |Perrotti|}}</ref> che rappresentava Landi, dopo vari [[Armistizio|armistizi]] il 6 giugno 1860 Landi si arrese lasciando la città ai rivoltosi. Nei giorni trascorsi vari episodi di violenza nella città da parte dei fedeli al nizzardo portarono Garibaldi a decretare la [[pena di morte]] per determinati reati.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 256}}.</ref>
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Il 4 giugno chiamò ''esercito meridionale'' i suoi uomini, mentre il 13 sciolse i gruppi dei picciotti. Era rimasto senza adeguate risorse, ma giunsero vari rinforzi a partire da [[Carmelo Agnetta]] giunto il 1º giugno con i suoi 89 uomini, Salvatore Castiglia, [[Enrico Cosenz]] e [[Clemente Corte]].<ref>Alla fine furono più di 20 le spedizioni. {{Cita|Possieri|p. 173}}. Per un resoconto dettagliato dei rinforzi si veda: {{cita libro|G.|Maculay Trevelyan|Garibaldi e la formazione dell'Italia (appendice B), pp 376-380|1913|Zanichelli|Bologna}}</ref> Le donne palermitane tesserono la nuova bandiera dell'esercito: un drappo nero ornato di rosso con l'effigie di un vulcano al centro.<ref>{{Cita|Scirocco|p. 266}}.</ref>
Giunse il generale [[Tommaso Clary]] e inviò il colonnello [[Ferdinando Beneventano del Bosco]], vice in passato di Von Mechel, a [[Battaglia di Milazzo (1860)|Milazzo]]: il 20 luglio ci fu lo scontro. Inizialmente Garibaldi dava ordini dal tetto di una casa, poi scese nella mischia e infine salì sull'unica loro nave a disposizione, la ''Tükory''<ref>Si trattava in origine della corvetta dei napoletani, chiamata ''Veloce'' con 10 cannoni, si veda anche {{Cita|Possieri|p. 174}}</ref> e cannoneggiando la città ottenne il ritiro delle truppe nemiche. La vittoria costò ai soldati di Garibaldi 800 fra morti e feriti.<ref>Le perdite dei borbonici furono molto sostenute, 4 0 5 volte inferiori rispetto a quelle sostenute dall'esercito di Garibaldi, si veda: {{cita libro|Augusto|Vittorio Vecchj |La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi, p. 170 e sg.|1882| N. Zanichelli|}}, {{cita libro|Piero|Pieri|Storia militare del Risorgimento (Seconda edizione), p. 682|1962|Einaudi|}}, {{Cita|Scirocco|p. 281}}</ref>
Il 22 giugno giunse a [[Castellammare del Golfo]] cittadina che in seguito organizzerà la prima ribellione contro il nuovo Regno d’Italia. Tale evento venne denominato [[rivolta contro i cutrara]].
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Garibaldi tentò i primi attacchi alla penisola senza successo: l'8 agosto [[Benedetto Musolino]] attraversò lo [[Stretto di Messina|Stretto]] a capo di una spedizione di 250 uomini,<ref>{{cita libro|Nicola |Fano |Castrogiovanni, pag 134|2010|Baldini Castoldi Dalai||isbn = 978-88-6073-536-2}}</ref> ma l'assalto al [[forte di Altafiumara]] venne respinto e i garibaldini costretti a rifugiarsi sull'[[Aspromonte]], mentre la Tükory fallì l'arrembaggio al ''Monarca'' che si trovava ancorato al [[porto di Castellammare di Stabia]] il 13 agosto 1860. A bordo dei due piroscafi, giunti dalla Sardegna, il ''Torino'' e il ''Franklin'' Garibaldi e i suoi uomini sbarcarono a [[Melito di Porto Salvo|Mèlito Porto Salvo]] (vedi: [[Sbarco a Melito]]), vicino a Reggio ([[Calabria]]), il 19 agosto 1860.<ref>{{Cita|Possieri|p. 177}}, 1200 salirono sulla Franklin con Garibaldi, 3000 sul Torino con Bixio che però si arenò, per i particolari anche del soccorso al Torino si veda {{Cita|Montanelli|p. 393}}</ref>
Aggirarono e sconfissero i borbonici, comandati dal generale [[Carlo Gallotti]], nella [[battaglia di Piazza Duomo]] a [[Reggio Calabria]] il 21 agosto.<ref>Le condizioni della resa si leggono in: {{cita libro|Indro|Giuseppe | La Masa e Giuseppe Garibaldi |Alcuni fatti e documenti della rivoluzione dell'Italia meridionale del 1860 riguardanti i Siciliani e La Masa pp. 229-230|1861|S. Franco e figli|}}</ref> I due generali borbonici [[Fileno Briganti]] e [[Nicola Melendez]] forti di quasi {{formatnum:4000}} uomini, senza l'appoggio di [[Giuseppe Ruiz de Ballesteros
La capitale era stata abbandonata dal re [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] il 5 settembre, mentre quasi tutta la sua flotta si era arresa.<ref>Partito sulla nave da guerra il ''Messaggero'', di tutta la sua flotta soltanto la ''Partenope'' restò fedele al re. Si veda: {{Cita|Possieri|p. 178}}, per approfondimenti {{cita libro|Raffaele|De Cesare|La fine di un regno, pag 928|1969|Longanesi|}}</ref> Garibaldi aveva scelto [[Caserta]] per dispiegare le sue forze; nel frattempo, in una sua breve assenza, il 19 settembre 1860 Turr inviò trecento uomini a [[Caiazzo]]; il dittatore, tornando, decise di rinforzare il presidio con altri 600 uomini,<ref>{{cita libro|Piero|Pieri|Storia militare del Risorgimento, seconda edizione, pp 702|1962|Einaudi|Torino}}</ref> contro i {{formatnum:7000}} soldati borbonici che attaccarono il 21 settembre; non saranno sufficienti: le perdite ammonteranno fra morti, feriti e prigionieri a circa 250. Il generale [[Giosuè Ritucci]] prese il comando delle truppe borboniche. Utilizzerà circa {{formatnum:28000}} soldati nell'attacco sferrato il 1º ottobre<ref>Ritardò la data che era fissata in precedenza il 28 settembre, come da {{Cita|Scirocco|p. 295}}</ref>. Il nizzardo nella battaglia utilizzò strategicamente la ferrovia: viaggiava in carrozza e quando il veicolo venne attaccato lui continuò a piedi per dare ordini alle truppe. [[
Dopo le votazioni per il [[Plebisciti risorgimentali|plebiscito]] che si tennero il 21 ottobre,<ref>I sì furono {{formatnum:1302064}} e i no {{formatnum:10312}}, nella Sicilia {{formatnum:432053}} i sì contro 677. Si veda {{cita libro|Romeo|Rosario |Vita di Cavour, pag 483|1984 |Laterza||isbn = 978-88-420-2523-8}}</ref> Garibaldi approfittò della vittoria di [[Enrico Cialdini]] sul generale borbonico [[Luigi Scotti Douglas|Scotti Douglas]] per superare il [[Volturno]] il 25 ottobre; incontrò Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860, lungo la strada che portava a [[Teano]],<ref>Al quadrivio di Taverna della Catena presso [[Vairano Patenora|Vairano]], dove si incrociano le strade di Cassino-Calvi e Venfaro-Teano, si veda: {{Cita|Possieri|p. 182}}. Venne definito come l'incontro fra i due re, si veda Punch, Volume 38, p. 199</ref> e gli consegnò la sovranità sul [[Regno delle Due Sicilie]]. Garibaldi accompagnò poi il re a Napoli il 7 novembre e, il 9 novembre si ritirò nell'isola di [[Caprera]], partendo con il piroscafo americano ''Washington'', dopo aver ringraziato l'ammiraglio [[George Mundy]].<ref>Rifiutò un castello e un piroscafo come ricompensa da parte del re. Si veda {{Cita|Mino|p. 362}}</ref>
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