Massimo d'Azeglio: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Pergzrv (discussione | contributi)
contestualizzazione nella storia della letteratura
fix link
Riga 61:
Massimo Taparelli d'Azeglio nacque a Torino, in via del [[teatro d'Angennes]], l'attuale via Principe Amedeo, dalla nobile famiglia Taparelli di [[Lagnasco]], nell'attuale [[provincia di Cuneo]] (la famiglia era imparentata con i Balbo, tra cui si ricordano [[Prospero Balbo|Prospero]] e [[Cesare Balbo|Cesare]]), già discendente dei più antichi marchesi di [[Ponzone]], feudatari del vercellese e [[viverone]]se.
[[File:Viaggiando da Varenna a Lierna, by Massimo d'Azeglio.jpg|thumb|"Viaggiando da Varenna a Lierna", opera di Massimo d'Azeglio]]
Figlio del marchese [[Cesare Taparelli d'Azeglio]], noto esponente della [[Restaurazione]] sabauda e del cattolicesimo subalpino, e di Cristina Morozzo della Rocca dei Marchesi di [[Bianzè]] (5 novembre 1770 - 22 febbraio 1838), fu tenuto a battesimo da monsignor [[Giuseppe Morozzo Della Rocca]], che sarebbe poi diventato cardinale.<ref>M. d'Azeglio, ''I miei ricordi'' (a cura di Francesco Zublena), Torino, Società Editrice Internazionale, 1923, p. 37</ref> I genitori vissero dapprima nel Castello di [[Azeglio (Italia)|Azeglio]] (da cui il nome del marchesato), vicino al [[Lago di Viverone]], ma tutti i loro figli nacquero a [[Torino]].
 
Dei suoi fratelli più noti si ricordano [[Luigi Taparelli d'Azeglio|Luigi]], che sarà presbitero [[Compagnia di Gesù|gesuita]] e cofondatore de ''[[La Civiltà Cattolica]]'', e [[Roberto Taparelli d'Azeglio|Roberto]], che diventerà politico liberale come Massimo, promotore della campagna di emancipazione delle minoranze religiose del [[Piemonte]] ([[ebrei|giudei]] e [[Valdismo|valdesi]]). Si chiamava Roberto anche il fratello maggiore, che però nacque morto, nel 1789. Gli altri fratelli di Massimo morirono prematuramente: Giuseppe Luigi, subito dopo la nascita, nel 1796, Melania a soli 10 anni di [[tubercolosi|etisia]] (10 luglio 1797 - 15 agosto 1807), Metilde ventiduenne (24 novembre 1791 - 12 agosto 1813) ed Enrico a 30 anni (24 novembre 1794 - 2 settembre 1824).
Riga 81:
D'Azeglio continuò la propria attività di pittore e letterato, alternandosi tra i salotti intellettuali di Roma, [[Firenze]] e [[Milano]], dove conobbe Giulia, la figlia primogenita di [[Alessandro Manzoni]], sposandola nel maggio del 1831 ma rimanendone presto vedovo, nel 1834, l'anno successivo alla nascita di Alessandra,<ref>Alessandra nacque il 10 gennaio 1833 a Milano. Veniva sempre chiamata Alessandrina (o anche Rina): anche nell'atto di matrimonio che la legò al marchese Matteo Ricci, del 1852, si legge ''Alessandrina Taparelli d'Azeglio''</ref> la loro unica figlia.
 
Nel [[1828]]-[[1829]] soggiornò per un certo periodo a [[Sant'Ambrogio di Torino]] per dipingere le tavole del libro ''La [[Sacra di San Michele]] illustrata e descritta'' che pubblicò a Torino nel 1829. A Milano giunse due anni più tardi, dopo la morte del padre. Nella città meneghina riscosse grande successo come pittore. Spiegò nei ''Miei ricordi'' come Milano fosse allora culturalmente e artisticamente molto più vivace di Torino. Il clima ambrosiano si confaceva assai meglio al suo spirito libero: vi trovava «un non so che di abbondante, di ricco, di vivace, di attivo, che metteva buon umore a vederlo».<ref>M. d'Azeglio, ''I miei Ricordi'' (a cura di A. M. Ghisalberti), Torino 1971, p. 392</ref> In questo contesto di fioritura delle arti presentò quindi tre dipinti all'Esposizione di [[Pinacoteca di Brera|Brera]], un paesaggio e due soggetti storico-patriottici (''La disfida di Barletta'' e ''La battaglia di Legnano''). Il primo fu acquistato dall'arciduca [[Ranieri Giuseppe d'Asburgo-Lorena|Ranieri]], viceré austriaco, mentre le altre due tele finirono nella prestigiosa collezione del patrizio [[Alfonso Porro Schiavinati]].
[[File:D'Azeglio Combattimento di Rinaldo e Gradasso.JPG|thumb|M. d'Azeglio, ''[[Combattimento di Rinaldo e Gradasso]]'', 1839]]
[[File:D'AZEGLIO-Vita di lago con barca.jpg|thumb|left|M. d'Azeglio, ''Vita di lago con barca''<ref>Piergiorgio Dragone, ''Pittori dell'Ottocento in Piemonte 1830-1865'', ed. Banca CRT 2001, p. 84</ref>]]
Riga 92:
=== Gli anni della maturità: le operazioni militari e l'ingresso in politica ===
 
Al settembre [[1838]] risale il primo soggiorno fiorentino, dove si recò per raccogliere il materiale necessario alla stesura del secondo romanzo storico, ''Niccolò de' Lapi''. Nella città toscana, che d'Azeglio amò fin dall'inizio, entrò in contatto con gli intellettuali liberali del [[Gabinetto Vieusseux]], in particolare con il suo fondatore, [[GianGiovan Pietro Vieusseux]], e con [[Gino Capponi]]. Lasciò quindi [[Firenze]] per [[Milano]], ma vi tornò nel [[1840]] per un secondo breve soggiorno.<ref>M. de Rubris, ''Confidenze di Massimo d'Azeglio. Dal carteggio con Teresa Targioni Tozzetti'', Milano 1930, Arnoldo Mondadori, pp. 9-14</ref> Durante tale soggiorno si recò prima a [[Gavinana (San Marcello PistoiesePiteglio)|Gavinana]], paese ove era stato ucciso [[Francesco Ferrucci]] nella [[Battaglia di Gavinana|battaglia del 1530]], e poi a [[San Marcello Pistoiese]], ove amò ascoltare la dizione di una certa Rosa, contadina nel podere Partitoio (peraltro analfabeta), dizione che definì «la parlata più pura e raffinata d'Italia», per dimostrare come, allora, nella montagna pistoiese si parlasse la vera lingua italiana, senza alcuna influenza dialettale. A San Marcello d'Azeglio soggiornò alla Locanda La Posta situata sulla strada granducale, adesso via Roma.<ref>Rif. "I miei ricordi" 1863 di M. D'Azeglio</ref>
 
Nel 1838, a Firenze, conobbe il marchese [[Carlo Luigi Torrigiani]], cui sarà legato da fraterna amicizia e da ideali patriottici. Torrigiani lo introdusse alla frequentazione di casa Targioni, composta dal naturalista [[Antonio Targioni Tozzetti|Antonio]], dalla moglie [[Fanny Targioni Tozzetti|Fanny]], di [[Giacomo Leopardi|leopardiana]] memoria, e dalle loro tre figlie. Strinse un'amicizia particolarmente intensa con la più giovane, [[Teresa Targioni Tozzetti]], come testimonia il ricco carteggio che ci è pervenuto.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 13-24</ref>
 
Nell'estate del 1840 d'Azeglio soggiornò a [[Seravezza]] per ultimare in tranquillità gli ultimi capitoli della sua opera ''Niccolò de' Lapi, ovvero i Palleschi e i Piagnoni,'' e per raccogliere testimonianze sulla tradizione popolare secondo cui molte famiglie di nobili si erano trasferite in Versilia dopo la caduta di Siena del 1555. In ricordo della sua permanenza a Seravezza, nel Novecento la città gli dedicò una via ed una lapide presso la casa dove visse.<ref>{{Cita libro|autore=Danilo Orlandi|titolo=La Versilia nel Risorgimento|anno=1976|città=Roma|capitolo=La stirpe dei Bichi di Retignano}}</ref>
 
Sincero patriota italiano, cosciente delle grandi differenze tra i vari regni italiani, deciso a rispettare i sovrani legittimi, fu contrario ad un'unificazione a sola guida piemontese ed auspicava la creazione di una confederazione di stati sul modello dell'[[Confederazione germanica|unità tedesca]]. Fu duramente attaccato per questo dai [[mazziniani]] (in quanto essi ritenevano l'assetto federalistico estremamente dannoso, sia perché esponeva l'Italia al fuoco della politica straniera sia a causa del particolarismo che sarebbe perdurato) e definito da [[Camillo Benso, conte di Cavour|Cavour]] suo "empio rivale" (in seguito, quest'ultimo lo costrinse a dimettersi).
Dopo un viaggio in Romagna, avvenuto nel settembre 1845 con l'intento di raccogliere il consenso dei liberali sulla figura di Carlo Alberto per ottenere l'indipendenza italiana, scrisse ''Degli ultimi casi di Romagna'', in cui critica un'insurrezione che era stata tentata a Rimini.
 
Nel [[1848]], il colonnello d'Azeglio fu in prima linea nelle operazioni militari che coinvolsero il settentrione orientale della penisola. Si distinse come capo della difesa di [[Vicenza]], in una missione militare condotta con grande coraggio. Il 10 giugno, ripiegando da [[Monte Berico]], ridotto con una manciata di uomini e munizioni a fronte di un esercito austriaco molto più equipaggiato, fu ferito al ginocchio destro.<ref>N. Bianchi, ''Lettere inedite di Massimo d'Azeglio al marchese Emanuele d'Azeglio'', Torino 1883, p. 122</ref> Si diresse in seguito verso [[Ferrara]], sofferente e col timore di essere arrestato e quindi confinato, con ogni probabilità, in [[Moravia]]. Assistito dal Cardinal Legato [[Luigi Ciacchi]], rimase a Ferrara due settimane, prima di recarsi a [[Bologna]], dove soggiornò per tutto il mese di luglio.
 
Il 26 giugno, intanto, era stato eletto a deputato del [[Parlamento Subalpino]], per il collegio di [[Strambino]]. Ad agosto era a [[Firenze]], presso villa La Scalère. Nonostante fosse ancora convalescente, si impegnò attivamente alla diffusione delle proprie idee scrivendo articoli per ''[[La Patria (1847)|La Patria]]''. Verso la fine di novembre partì per rientrare a Torino, con l'intenzione di partecipare ai lavori del Parlamento. Durante il tragitto fu costretto a fermarsi diversi giorni a [[Genova]], colpito da un attacco di febbre. Il 10 dicembre ricevette una chiamata ufficiale del [[Carlo Alberto di Savoia|Re]], che voleva affidargli la [[Presidenza del Consiglio]] del [[Regno di Sardegna]], ma d'Azeglio declinò l'incarico durante l'udienza regale del 14.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 27-32</ref> Al suo posto fu [[Vincenzo Gioberti]] ad assumere l'incarico.
 
A Torino diede alle stampe ''Timori e Speranze'', ''pamphlet'' antirepubblicano composto durante la permanenza a villa La Scalère. L'opera, rifiutata dall'editore [[Felice Le Monnier|Le Monnier]], fu pubblicata dai librai locali Gianini e Fiore, a cui d'Azeglio affidò anche l'opuscolo ''Ai suoi elettori'', scritto dopo aver considerato la necessità di candidarsi per la nuova legislatura. ''Ai suoi elettori'' colpì per la sincerità e la purezza d'intenti, ed aveva tutti i crismi per essere considerato un capolavoro di letteratura politica, se è vero che fu definito «ciò che di più perfetto è uscito dalla piuma di d'Azeglio».<ref>«Ce qui est sorti de plus parfait de la plume de M. d'Azeglio»; L. Chiala, ''Une page d'histoire du gouvernement représentatif en Piémont'', Turin, Botta, 1858, p. 264</ref> Il risultato, però, fu diverso, perché venne rieletto Vincenzo Gioberti.
Riga 111:
=== Presidente del Consiglio ===
 
Raggiunse quindi [[La Spezia]], in uno stato di profondo rammarico per l'evolversi della situazione italiana e ancora sofferente al ginocchio destro. Il 23 marzo ci fu la [[Battaglia di Novara (1849)|disfatta di Novara]], che gettò il d'Azeglio in uno sconforto ancora maggiore, addolorato inoltre dalla morte del diciottenne [[Ferdinando Balbo]] – il fratello di [[Prospero Balbo|Prospero]] – a cui era legato da sincera amicizia. Inviperito contro gli esponenti della [[Giovine Italia]], contro la Camera e contro lo stesso [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], pensò di ritirarsi a vita privata e ritornò a Sarzana, ma il 25 aprile ricevette la chiamata del nuovo re, [[Vittorio Emanuele II]], e gli fu nuovamente proposta la presidenza del Consiglio.<ref>G. Carcano (a cura di), ''Lettere di Massimo d'Azeglio a sua moglie Luisa Blondel'', Milano 1871, p. 326</ref> Fece di tutto per rifiutare, conscio di dover assumere le redini in un momento estremamente difficile, ma dovette piegarsi alla volontà del sovrano quando questi, il 6 maggio, firmò il decreto di nomina del nuovo Primo Ministro.<ref>M. de Rubris, cit., p. 51</ref>
 
Divenne Primo Ministro del Regno di Sardegna dal [[1849]] al [[1852]], costituendo quindi il cosiddetto [[Governo d'Azeglio I]], in uno dei momenti più drammatici della storia del Paese, al termine della [[Prima guerra d'Indipendenza]]. Nei primi mesi si adoperò per concludere la pace con l'Austria, lavorando assieme al Re ai celebri [[Proclama di Moncalieri|proclami di Moncalieri]], la cui ratifica definitiva avvenne con quello del 20 novembre. [[Vittorio Emanuele Taparelli d'Azeglio|Emanuele d'Azeglio]], nipote dello statista, ricordò in seguito che «[D'Azeglio aveva] consigliato al Re d'atterrare i Titani; egli lo considerava come il fatto più importante» della sua vita politica, «ed il più segnalato servizio che aveva reso alla Dinastia ed al Paese».<ref>N. Bianchi, cit., p. 71</ref>
Riga 125:
Non vedendo via d'uscita, d'Azeglio si dimise il 12 maggio [[1852]], ma [[Vittorio Emanuele II d'Italia|Vittorio Emanuele II]] volle rinnovargli la fiducia e 4 giorni dopo destituì il Consiglio, rimettendo in carica d'Azeglio, che ricompose il Gabinetto in cinque giorni, estromettendo Cavour, [[Luigi Carlo Farini|Farini]] e [[Giovanni Filippo Galvagno|Galvagno]], e facendoli sostituire da [[Luigi Cibrario|Cibrario]], [[Carlo Bon Compagni di Mombello|Boncompagni]] e [[Alfonso La Marmora|La Marmora]].<ref>M. de Rubris, cit., p. 84</ref> Rieletto quindi Primo Ministro, visse per pochi mesi l'avventura del [[Governo d'Azeglio II]], dal 21 maggio fino al 4 novembre [[1852]]. Così, colui che sperava di ritornare a dipingere e di abbandonare il guazzabuglio politico, si ritrovava pienamente impelagato in una nuova e difficile temperie governativa. «Per quanto la salute e la testa non mi reggano, ho però ubbidito onde non aver mai a rimproverami d'essermi rifiutato quando il paese era in pericolo».<ref>Lettera a Teresa Targioni Tozzetti inviata da Torino il 26 maggio 1852, in M. de Rubris, cit., p. 84</ref>
 
La seconda legislatura cominciò con le inaspettate manifestazioni di calore e vicinanza giunte dall'[[Inghilterra]], dove il conte di Malmesbury, Ministro degli Esteri, elogiò d'Azeglio durante una seduta della [[Camera dei Lordlord]], mentre [[Henry John Temple, III visconte Palmerston|Lord Palmerston]] e [[Benjamin Disraeli|Disraeli]] parlarono in favore del primo ministro piemontese alla [[Camera dei Comunicomuni (Regno Unito)|Camera dei Comunicomuni]]. Palmerston arrivò addirittura a definire la Costituzione sarda come un modello che tutte le nazioni d'Europa avrebbero dovuto imitare.<ref>N. Bianchi, cit., pp. 191 e ss.</ref>
 
Tornata l'estate, d'Azeglio scelse ancora la costa ligure, soggiornando a [[Cornigliano]]. In questa stessa località, il 16 settembre Alessandrina, la sua unica figlia, si unì in matrimonio con il marchese [[Matteo Ricci (politico 1826-1896)|Matteo Ricci]], in una cerimonia a cui fecero da testimoni [[Alessandro Manzoni]] (nonno materno della sposa) e Emanuele d'Azeglio. L'autore dei ''Promessi Sposi'' conservò una viva emozione di quella giornata, felicitandosi con [[Teresa Borri]], sua seconda moglie, per il partito della nipote, che «non poteva essere più fortunata».<ref>G. Gallavresi, ''Manzoni intimo'', vol. III, Milano, Hoepli, 1923, p. 12</ref> Anche Massimo approvava con gioia l'unione, una sorta di toccasana capace di alleviare in parte il peso della carica pubblica, nonostante la separazione dolorosa dalla figlia: «questo matrimonio di Rina, così conveniente per tutt'i versi, mi fa proprio l'effetto di un compenso o di un riposo, che ha voluto accordarmi la Provvidenza [...] Anche a Rina, poverina, rincresce separarsi da me (perdoni la fatuità). Ma la vita è prosa e non romanzo, e bisogna spesso, anzi sempre, sagrificare l'amor che vi contenta all'amor che vi affligge, che è il solo vero e il solo utile»<ref>M. Ricci, ''Scritti postumi di Massimo d'Azeglio'', Firenze, 1871, p. 408</ref>, scrisse il 18 settembre alla marchesa [[Marianna Trivulzio Rinuccini]], con il consueto fiducioso abbandono nella fede cristiana.
[[File:Perrin F. - Vittorio Emanuele II - litografia - 1851.jpg|thumb|left|upright=0.7|[[Vittorio Emanuele II]] in una litografia del 1851]]
Era solo un lampo, la crisi governativa andava nuovamente acuendosi e il Re protestava vivacemente contro le decisioni della Camera, che aveva approvato in una seduta di fine luglio la legge sul [[matrimonio civile]], creando una nuova rottura nei rapporti con lo [[Stato Pontificio]]. D'altra parte, lo stesso d'Azeglio, sempre sofferente per la ferita alla gamba rimediata nella ritirata di Monte Berico ed esausto per il prolungarsi di un ruolo vissuto sin dall'inizio come puro sacrificio, non vedeva «l'ora di mutar mestiere».<ref>G. Carcano, cit., p. 395</ref> Il 22 ottobre prese la decisione definitiva: recatosi a [[ReggiaPalazzina di caccia di Stupinigi|Stupinigi]], rimise il proprio mandato nelle mani del Re, proponendo Cavour come successore.<ref>M. de Rubris, cit., p. 90</ref>
 
=== Dopo la Presidenza: un rinnovato impegno politico ===
Riga 147:
In settembre Cavour volle che d'Azeglio si unisse a lui e al sovrano per il viaggio diplomatico in Francia, dove la delegazione doveva incontrare [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]]. La trasferta fu rinviata di due mesi a causa di un infortunio di caccia che aveva fatto temere per la vita di Vittorio Emanuele. Scampato il pericolo, a fine novembre i tre partirono alla volta di [[Parigi]]. Incontratisi a [[Lione]], raggiunsero la grande città il 23, accolti calorosamente dall'imperatore e dalla consorte [[Eugenia de Montijo|Eugenia]]. Napoleone riferì di avere a cuore la causa italiana. Il viaggio, estremamente faticoso, proseguì per l'Inghilterra, salutato da entusiasmi ancora maggiori, e ripassò da Parigi, finché a dicembre d'Azeglio ritrovò Torino, distrutto e reduce da un forte mal di denti che l'aveva trattenuto più del previsto in Francia, sottoposto alle cure del dottor Evans, il dentista americano dell'imperatore.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 139-142</ref>
 
Massimo era stato l'ultimo a lasciare le terre di Napoleone, e prima di partire Cavour gli aveva affidato una commissione che gli era stata espressamente richiesta dall'imperatore. Questi, infatti, aveva incaricato il conte di scrivere confidenzialmente a [[Alexandre Florian Joseph Colonna Walewski|Walewski]]<ref>Ministro degli Esteri francese</ref> «ce que vous croyez que je puisse faire pour le Piémont et l'Italie» (''ciò che credete io possa fare per il Piemonte e per l'Italia''), e il capo del governo aveva girato l'onere a d'Azeglio - il cui discorso regale di Londra aveva avuto grande successo -, molto abile in questo tipo di compiti e ottimo conoscitore della realtà piemontese.<ref>L. Chiala, ''Il Conte di Cavour'', Torino 1886, vol. II, p. 376</ref>
 
D'Azeglio attese alla stesura (in francese) del documento con la massima cura e il massimo impegno, lavorandovi a dicembre e gennaio. Per quanto Cavour ne seguisse l'articolarsi con ammirazione e prodigalità di complimenti, si rese presto conto che lo scritto era eccessivamente curato e manifestamente troppo lungo. In più, mancavano conclusioni precise e pratiche.<ref>Così scriveva Cavour ad Alfonso la Marmora: «Azeglio a achevé son mémoire, c'est un magnifique travail, mais il est d'une longueur démesurée et de plus il a l'inconvénient de ne pas arriver à des conclusions nettes et précises» (''Azeglio ha concluso il proprio scritto: è un lavoro splendido, ma d'una smisurata lunghezza. Inoltre, ha il difetto di non giungere a conclusioni nette e precise''); riportato in L. Chiala, cit., II, p. 389</ref> Pertanto il Presidente del Consiglio preferì sostituirlo con uno proprio.<ref>M. de Rubris, cit., p. 145; lo scritto azegliano fu pubblicato postumo da Nicomede Bianchi nel 1870 all'interno della sua ''Storia documentata della Diplomazia europea in Italia dal '14 al '61'' con il titolo di ''Mémoire de M. le comte de Cavour sur les moyens propres à préparer la reconstitution del l'Italie'' ed è leggibile alle pp. 568-98 del vol. VII, Torino, Dalla Società l'Unione Tipografico - Editrice. Matteo Ricci, il genero di d'Azeglio, gli rese giustizia l'anno successivo, attribuendogli, nell'edizione degli scritti postumi dello statista, la paternità del documento. Il testo è riportato alle pp. 245-86 dell'ed. cit.</ref>
Riga 167:
Venne il capodanno del [[1859]], e gli eventi che portarono nel giro di due anni all'unità nazionale cominciarono a prendere una direzione precisa. Napoleone III ruppe con l'Austria, suscitando una vasta eco in Italia. D'Azeglio era a Firenze, sempre intenzionato a restare ormai in disparte, ma le novità lo indussero a tornare in azione. Il 13 gennaio [[Francesco Arese Lucini (senatore)|Francesco Arese]] lo avvisò della possibile invasione austriaca del Piemonte.<ref>G. Carcano, cit., p. 457</ref> Il 18 lasciò Firenze, dopo aver scritto a Cavour manifestandogli la propria adesione. Quel giorno, a Torino, la Francia firmava il trattato con cui si impegnava a intervenire in difesa dei piemontesi qualora fossero stati invasi dalle forze austriache. Il Presidente del Consiglio accolse naturalmente con favore le parole di d'Azeglio, e non tardò a fargli sapere in una missiva del 21 come Vittorio Emanuele fosse altrettanto lieto di una sua nuova discesa in campo.<ref>L. Chiala, cit., III, p. 17</ref>
 
Il pretesto per andare a Roma e sondare segretamente la situazione fu offerto dal conferimento del [[Collarecollare dell'[[Ordine Supremosupremo della SS.Santissima Annunziata]] a [[Edoardo VII del Regno Unito|Edoardo]], figlio della regina [[Vittoria d'Inghilterra]] e principe ereditario. Azeglio, che aveva trascorso un mese a Genova, partì alla fine di febbraio. Il 24 giunse a [[Livorno]], poi fece tappa a [[Siena]], quindi arrivò a Roma, ospite dell<nowiki>'</nowiki>''Hôtel d'Angleterre''. Il 5 marzo, si legge nei diari privati del principe inglese, «il Marchese d'Azeglio, celebre uomo di Stato e soldato del Regno di Sardegna venne a darmi l'investitura del Collarecollare dell'Annunziata in nome del Re di Sardegna, che mi aveva fatto l'onore di conferirmelo».<ref>Il passo è riportato nella biografia di Sidney Lee, ''King Edward VII, Biography'', London, Macmillan, 1925, vol. I, p. 60</ref>
 
A Roma fu ricevuto anche dal pontefice [[Papa Pio IX|Pio IX]], a cui portò i saluti di Vittorio Emanuele, e chiuse così gli impegni ufficiali che lo avevano portato nell'Urbe. Ora, «in visite di società [[...]] andava mascherando la parte del cospiratore». Nel frattempo Napoleone stava perdendo interesse per la causa italiana, e il colloquio che Cavour riuscì a ottenere il 29 marzo con l'imperatore e il ministro degli Esteri [[Alexandre Florian Joseph Colonna Walewski|Walewski]] non produsse l'effetto sperato. Cavour, allora, decise di seguire il consiglio del nipote, Emanuele d'Azeglio, allora ambasciatore sardo a Londra, che gli suggerì di inviare lo zio in missione diplomatica a Parigi e Londra.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 188-189</ref> Il 1º aprile d'Azeglio viene raggiunto a Roma da un dispaccio di [[Alfonso La Marmora|La Marmora]] che «all'una dopo mezzanotte» lo richiamava urgentemente a Torino, dove il sovrano voleva incontrarlo al più presto per comunicargli l'importante incarico.<ref>L. C. Bollea, ''Una silloge di lettere del Risorgimento'', Torino, Bocca, 1919, p. 54</ref>
 
Di nuovo nella città natale, d'Azeglio si affrettò a scoprire il motivo dell'urgente chiamata, ricevendo da Vittorio Emanuele l'ordine di partire per Parigi – e poi per Londra – in qualità di Inviato Speciale e Ministro Plenipotenziario. Nel frattempo, Cavour manifestava ad Emanuela d'Azeglio le ragioni che lo avevano spinto a designare lo zio per la missione. Nel succitato colloquio con l'imperatore francese, infatti, Napoleone III «ha citato brani di libri di Azeglio» e lo stesso Walewski «ha invocato alcune volte l'autorità di lui per sostenere la sua opinione». Il Primo Ministro arrivò ad affermare che la scelta era caduta sull'«autore ed il padre della questione italiana».<ref>L. Chiala, cit., III., p. 57</ref>
Riga 181:
L'11 luglio [[1859]] ebbe l'incarico di costituire un governo provvisorio a [[Bologna]], dopo la cacciata delle truppe pontificie. Il 25 gennaio [[1860]] venne nominato Governatore della [[Provincia di Milano]], carica che tenne fino al 17 marzo [[1861]], allorquando fu nominato prefetto [[Giulio Pasolini]].
 
Durante la sua vita politica continuò comunque a dedicarsi alle sue passioni, la pittura e la letteratura, quest'ultima sia in veste di scrittore politico sia di romanziere. Da gaudente, il nobile Massimo si guadagnò, fra le dame di corte, una certa reputazione, mentre [[Francesco Dede Sanctis]] descrisse la sua attitudine come «un certo amabile folleggiare... pieno di buon umore».
 
Queste connotazioni non posero tuttavia in secondo piano le sue doti di politico con la capacità di intravedere sia i limiti della riunificazione («Pur troppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gl'Italiani»), sia della dirigenza sabauda (lasciò la scuola di cavalleria per i contrasti con l'aristocrazia) e che propose una sua soluzione personale sia dal punto di vista costituzionale (stato federale), sia da quello economico (liberale).<ref>{{cita web |url=http://www.laterza.it/leggi_brano.asp?id=1160 |titolo=Copia archiviata |accesso=14 aprile 2010 |urlmorto=sì |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20100105204539/http://www.laterza.it/leggi_brano.asp?id=1160 |dataarchivio=5 gennaio 2010 }}</ref>
Riga 187:
=== Gli ultimi anni ===
 
[[Massoneria in Italia|Massone]], durante le elezioni massoniche del 23 maggio [[1864]], che ebbero luogo a Firenze nel tempio della [[Loggia massonica|loggia]] ''Concordia'' e che videro [[Giuseppe Garibaldi]] eletto come [[Gran maestro]] del [[Grande Oriente d'Italia]], con 45 voti su 50 delegati votanti, un voto andò a Massimo D'Azeglio<ref>Vittorio Gnocchini, ''L'Italia dei Liberi Muratori'', Erasmo ed., Roma, 2005, pp. 263-264.</ref>. Nonostante la sua appartenenza alla Massoneria, d'Azeglio rimase sempre convintamente [[cristianesimoChiesa cattolicocattolica|cattolico]]<ref>Fatto comunque non incredibile all'epoca: lo stesso reazionario [[Joseph de Maistre|de Maistre]] fu affiliato ad una loggia massonica conservatrice</ref>.
 
Durante gli ultimi anni di vita, trascorsi sul [[lago Maggiore]], si dedicò alla stesura delle sue memorie, pubblicate postume con il titolo ''I miei ricordi'' nel [[1867]]. Massimo D'Azeglio morì in via Accademia Albertina<ref>{{cita libro|capitolo=Nota biografica|nome=Matteo|cognome=Ricci|titolo=I miei ricordi|url=https://archive.org/details/imieiricordi01riccgoog|anno=1899|editore=G. Barbèra|città=Firenze|p=[https://archive.org/details/imieiricordi01riccgoog/page/n119 104]}} Abitava infatti in via Accademia Albertina 2, come rivelato da una lettera alla moglie del 12 ottobre 1865</ref> a Torino nel 1866, e le sue spoglie sono conservate nella parte storica (porticato) del [[Cimitero monumentale di Torino]].
Riga 199:
* ''[[Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta]]'', [[1833]], ottenne un grandissimo successo;
* ''[[Niccolò de' Lapi, ovvero i Palleschi e i Piagnoni]]'', 1841, edizione del centenario, Torino, Società Subalpina Editrice, 1941;
* ''[[Degli ultimi casi di Romagna]]'', [[1846]], scritto politico ispirato ai moti di [[Rimini]] del [[1845]], nel quale ha anche modo di elogiare i "temperati modi" del [[Legazione apostolica di Forlì|legato pontificio]] di [[Forlì]], [[Tommaso Pasquale Gizzi]], da cui Rimini dipendeva; nel testo espone le riforme necessarie alla formazione del nuovo [[Regno d'Italia (1861-1946)|stato italiano]];
* ''Proposta di un programma per l'opinione nazionale italiana'', [[1847]];
* ''I lutti di Lombardia'', [[1848]];
Riga 208:
Molti dei suoi quadri, soprattutto paesaggi d'ispirazione romantica, sono conservati nella [[Galleria d'arte moderna di Torino]].
 
I cimeli di D'Azeglio della scuola media a lui intitolata a Roma sono traslati nel ''Museo nazionale della Campagna Risorgimentale del 1867'' a [[Mentana (Italia)|Mentana]] (Roma) quando l'Istituto nel [[2000]] prese il nome di "Giuseppe Sinopoli" grazie all'accettazione della richiesta da parte del Direttore scientifico del Museo, il prof. Francesco Guidotti.
 
Presso la [[Galleria d'Arte Moderna (Milano)|Galleria d'Arte Moderna di Milano]] è esposta la sua opera ''Una vendetta'' (1835).
Riga 236:
{{Onorificenze
|immagine=Ordine Civile di Savoia BAR.svg
|nome_onorificenza=Cavaliere dell'Ordine Civilecivile di Savoia
|collegamento_onorificenza=Ordine Civilecivile di Savoia
|motivazione=
}}
Riga 263:
|immagine=Legion Honneur GC ribbon.svg
|nome_onorificenza=Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Legion d'onore (Francia)
|collegamento_onorificenza=Legion d'Onoreonore
|motivazione=
}}
Riga 312:
== Voci correlate ==
* [[Presidenti del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna]]
* [[Governo Dd'Azeglio I]]
* [[Governo Dd'Azeglio II]]
* [[Connubio Rattazzi-Cavour]]
 
Riga 394:
|periodo2 = maggio [[1852]] - novembre [[1852]]
|precedente2 = Massimo d'Azeglio
|successivo2 = [[Camillo Benso, conte di Cavour]]
}}
{{Box successione