Barlaam e Iosafat: differenze tra le versioni

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La prima redazione del testo, risalente presumibilmente al [[VI secolo]], fu scritta nell'iranica [[lingua pahlavi]], quindi venne tradotto in [[lingua siriaca|siriaco]] e in [[lingua araba|arabo]] e da queste derivarono molte altre traduzioni, a partire dal [[lingua greca|greco]]. La successiva traduzione in [[lingua latina|latino]], aprì le porte alla diffusione in tutta l'[[Europa]] del testo, convertito a sua volta anche in lingue volgari.<ref>"Le muse", De Agostini, Novara, 1964, Vol.II, pag.55-56</ref> Il più antico [[manoscritto]] che ce la tramanda è del [[1021]] ed è conservato a [[Kiev]]; il suo parente più stretto è al [[Monte Athos]]; l'altro del [[1064]] è ad [[Oxford]].<ref>Alberto Melloni, ''Il Corriere della Sera'', 7 febbraio 2013, [[elzeviro]] di pag.41</ref>
 
Il racconto, giunto in Occidente nell'[[XI secolo]] ed attribuito a [[Giovanni Damasceno]], conobbe una rapida diffusione e venne ritenuto storico, tanto che i nomi di Barlaam e di Iosafat vennero inseriti nel [[Martirologio Romano]] al [[27 novembre]].<ref>Silvia Ronchey: '' La Cattedrale sommersa. Alla ricerca del sacro perduto'', Collana Saggi italiani, Rizzoli, Milano, 2017, pag. 244; isbn=978-88-17-09465-8</ref>
 
== Contenuto ==
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Parte II
 
Allora i soldati del re catturano un gruppo di eremiti. E poiché essi non mostrano di aver paura né di lui né delle torture che il re gli promette, né della morte, alla fine, dopo averli tagliato le lingue, cavato gli occhi, amputati mani e piedi, il sovrano li fa giustiziare. Successivamente, il re si rivolge a un suo consigliere per trovare una soluzione. Il consigliere progetta di convocare a corte un asceta che apparteneva però alla religione politeistica del sovrano; a questo asceta si farà fare la parte di Barlaam; egli verrà messo a confronto con innumerevoli dotti, maghi, astrologhi non cristiani, e fingerà di abiurare il cristianesimo. Nel frattempo il sovrano decide di parlare al figlio e quest’ultimo conferma la propria piena adesione alla nuova religione. Il sovrano è preso dall’ira, dalla collera, dalla rabbia anche perché il figlio mostra un pieno disprezzo per quella vita così vana e fatua, volta all’inseguimento dei piaceri, che il proprio padre e sovrano conduce. D’altra parte il re stesso è costretto dalle parole del figlio, a comprendere quanto sia effettiva la conversione del proprio unico erede. Arriva il giorno del confronto tra il finto Barlaam e gli esponenti della religione politeistiche. Ma la divina provvidenza ispira una visione al figlio del re svelando l’inganno architettato; d’altra parte, nel corso del confronto, l’asceta finto Barlaam, ispirato dalla provvidenza, fa un discorso di difesa della religione cristiana così convincente che tutti gli esponenti del paganesimo ammutoliscono e non sono in grado di replicare. Il re rimane interdetto, il suo inganno non ha funzionato. Il figlio può così trascorrere il proprio tempo, nel palazzo, in preghiere e digiuni invocando Dio affinché gli consenta di unirsi a Barlaam. Il re non demorde. Nella città si doveva tenere una grande festa, con molti sacrifici, in onore degli dei. Ad essa partecipa anche un convinto assertore del paganesimo, difensore dell’idolatria, dedito a pratiche magiche: Theudas. Richiesto di un consiglio dal re, gli propone di far vivere accanto al giovane cristiano un gruppo di giovani e bellissime donne che accendano in lui il fuoco del desiderio e lo riportino alla “ragione”. Così accade. Il mago idolatra convoca gli spiriti maligni perché fiacchino il giovane , ma tutto è inutile. Theudas escogita un altro inganno: una di queste giovani donne dichiara il suo amore per Iosafat, fa mostra di conoscenza delle dottrine cristiane, gli chiede di unirsi a lui solo per una notte; solo così la fanciulla si sarebbe convertita al cristianesimo. E il giovane sta quasi per cedere, ma nella notte viene trasportato in luoghi meravigliosi, dove vivono pieni di letizia coloro che sono stati fedeli a Cristo; successivamente viene portato in luoghi desolati, tenebrosi, dove si consumano nel fuoco e pagano le proprie colpe i peccatori. Questa esperienza fortifica Iosafat, che respinge ogni tentazione. Il sovrano è preso da grande scoramento, comincia a tentennare; allora Theudas chiede un confronto diretto con il giovane, dal quale uscirà sconfitto in quanto adoratore degli idoli, e convertito al cristianesimo. Ora il re è completamente disorientato; un suo consigliere gli propone di fare di necessità virtù: suddividerà il regno, assegnerà una parte al figlio che di essa verrà nominato sovrano. Così accade. Iosafat, nonostante il desiderio di condurre vita monastica nel deserto, obbedisce al padre. Distrugge, nella capitale della sua parte di regno, tutti i templi e gli altari degli idoli, erigendo al posto loro delle chiese. Distribuisce inoltre le ricchezze regali ai poveri tanto che la sua fama si sparge ovunque. Il re Abenner , suo padre, si convince della bontà della fede del figlio, va a colloquio con lui, ed infine viene da lui convertito così che il giovane Iosafat si trova ad essere spiritualmente il “genitore di suo padre”. Il re gli lascia ogni potere, vive il resto della sua vita pentendosi dei propri peccati, dell’uccisione dei cristiani, e muore in stato di grazia. Il giovane re decide però di portare a compimento il voto fatto a Dio di aderire alla vita monastica. Informa dunque la corte e il popolo che egli si ritirerà dal governo. Tutto questo getta la gente nella più grande confusione e sconcerto. Egli individua comunque come proprio successore il migliore dei suoi consiglieri. E una notte se ne va dal palazzo. Ma ben presto viene riconosciuto, tutta la gente lo segue, ma lui ingiunge al popolo di tornare indietro affinché egli possa portare a compimento il proprio voto. Così finalmente Iosafat può inoltrarsi nel deserto per trovare Barlaam. Egli vive, come gli anacoreti, una vita di stenti: si nutre di erbe, soffre la mancanza di acqua, è esposto alle intemperie. Il diavolo lo tenta con i ricordi della vita passata, cercando inoltre di suscitare visioni di belve, mostri e draghi che lo minacciano, ma il giovane non cede. Dopo due anni di vita eremitica , incontra un monaco che gli indica qual è il rifugio di Barlaam. Così egli può finalmente ricongiungersi con il suo maestro. Essi proseguono assieme, nel cammino spirituale, nel quale il giovane sembra oramai essere così impegnato da suscitare la meraviglia di Barlaam stesso.Il vecchio eremita giunge al compimento dei suoi giorni, e parla a Iosafat annunciandogli la propria fine, e sollecitandolo a proseguire e a portare a compimento il cammino spirituale. Barlaam muore, e viene seppellito da Iosafat in una tomba vicino alla spelonca dove essi vivevano. La storia volge al termine: dopo molti anni anche Iosafat muore. Un eremita che dimorava non lontano lo seppellisce assieme a Barlaam. Inoltre informa il re della morte del sant’uomo. Il popolo tutto, udita la notizia, si reca in pellegrinaggio alla tomba dei due anacoreti, e si decide di traslarli in una delle chiese che Iosafat aveva fatto costruire. I loro corpi sono intatti. Durante questo trasferimento e dopo, accadono molti miracoli e molte guarigioni, e così i due santi continuano a proteggere dal loro nuovo sepolcro il popolo dei fedeli.
 
La storia venne in realtà ricalcata sul modello della vicenda della conversione del Buddha (il nome [[sanscrito]] ''[[Bodhisattva]]'' si trasformò in ''Budasaf'' e poi in ''Iosafat''; dal nome dell'eremita ''Balahuar'', sdoppiamento del Buddha stesso, si arrivò al nome di ''Barlaam''): venne tradotta in [[lingua greca|greco]] e poi in [[Lingua latina|latino]], quindi in numerose lingue volgari. Divenne tanto popolare da essere inclusa da [[Jacopo da Varagine]] nella sua ''[[Legenda Aurea]]'' e da ispirare alcune opere di [[Bernardo Pulci]] e di [[Lope de Vega]], oltre a numerose opere scultoree, come quella nel [[Battistero di Parma]] di [[Benedetto Antelami]], miniature e vetrate, nonché alcune immagini sul [[mosaico di Otranto]] (precisamente i due elefanti indiani alla base dell'[[albero della vita]]).<ref>Silvia Ronchey, ''Il Buddha bizantino'', in ''Storia di Barlaam e Iosafat. La vita bizantina del Buddha'', a cura di S. Ronchey e P. Cesaretti, Einaudi, Torino 2012, pp. vii-cvii.</ref>
 
==Culto==