Crisi della replicazione: differenze tra le versioni

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Come riportato dagli scienziati sociali Sebastian Wallot e Damian Kelty-Stephen, il paradigma dominante per ciò che riguarda la rappresentazione delle relazioni causali è ciò che viene definito "A Dinamiche di Componenti Dominanti" (DCD). In questo paradigma, le misurazioni comportamentali e neuropsicologiche sono "dominate" da un insieme finito di componenti che non variano nel tempo, che servono poi a spiegare la varianza di una variabile osservabile. L'esempio offerto dagli autori è quello per cui nell'azione di leggere il loro studio, quest'azione è spiegata causalmente sempre dallo stesso insieme di componenti (e.g. [[memoria di lavoro]], [[memoria a lungo termine]], memoria percettiva, et cetera). L'implicazione principale di questo modello è che un input dato ad una persona, verrà sempre mediato alla stessa maniera dagli stessi componenti, e verrà poi tradotto in un certo output. A livello teorico e statistico, Il paradigma causale DCD suppone che le misurazioni dei vari componenti di un processo psicologico o neuropsicologico siano indipendenti l'una dall'altra e ugualmente distribuite. Ciò permette di attribuire porzioni di varianza di una variabile osservabile a componenti distinti del processo causale. All'interno di questo paradigma, le relazioni causali sono quindi studiate attraverso modelli lineari.<ref name=":29">{{Cita pubblicazione|autore=Wallot|nome=Sebastian|autore2=Kelty-Stephen|nome2=Damian G.|data=1º giugno 2018|titolo=Interaction-Dominant Causation in Mind and Brain, and Its Implication for Questions of Generalization and Replication|rivista=Minds and Machines|volume=28|numero=2|pp=353–374|lingua=en|doi=10.1007/s11023-017-9455-0|issn=1572-8641}}</ref>
 
Gli autori sostengono invece la superiorità di un paradigma alternativo, il modello "A Dinamiche d'Interazione tra Componenti" (DIC). Quest'ultimo prevede che determinate strutture causali che stanno alla base del comportamento, ''emergano'' necessariamente e in maniera specifica rispetto al contesto in cui la persona agisce, e sono quindi totalmente dipendenti rispetto ad un'attività specifica. A differenza del precedente, questo modello non presuppone l'indipendenza delle misurazioni dei diversi componenti, ma ne assumepresume invece l'''interdipendenza''. Secondo gli autori, una conseguenza di questo modello è che non vi è l'aspettativa di osservare strutture causali stabili e generalizzabili, in quanto le stesse sono altamente specifiche rispetto al contesto sperimentale. Ciò comporta a sua volta un cambiamento di aspettative per ciò che riguarda la replicazione degli esperimenti. Secondo Wallot e Kelty-Stephen, la replicazione sperimentale richiede necessariamente la stabilità di una certa architettura cognitiva che sta alla base di un effeto, come previsto dal DCD. Se, invece, si segue un modello diverso come il DIC, è invece pronosticabile che il funzionamento di una certa architettura cognitiva sia necessariamente influenzato da diversi dettagli del contesto sperimentale, da dettagli minimi sulla presentazione di certi stimoli, a dettagli macroscopici come il contesto culturale. Alla luce di questa sensibilità al contesto dei processi cogntivi e psicologici, l'aspettativa di poter replicare con facilità un esperimento è quindi malriposta. Gli autori propongono quindi un passaggio ad un paradigma di sistemi complessi che non prevede severi criteri di replicazione, a differenza di un paradigma basato su modelli lineari e componenti di una sistema causale totalmente indipendenti l'uno dall'altro.<ref name=":29" />
 
In via generale, diversi autori hanno criticato le presupposizioni dei metodi statistici in uso, che vedono le relazioni causali come appropriatamente spiegate da modelli lineari.<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Alexander F.|cognome=Siegenfeld|nome2=Yaneer|cognome2=Bar-Yam|data=2020-07-27|titolo=An Introduction to Complex Systems Science and Its Applications|rivista=Complexity|volume=2020|pp=e6105872|lingua=en|accesso=2023-07-18|doi=10.1155/2020/6105872|url=https://www.hindawi.com/journals/complexity/2020/6105872/}}</ref><ref>{{Cita pubblicazione|nome=Peter C.M.|cognome=Molenaar|data=2008-01|titolo=On the implications of the classical ergodic theorems: Analysis of developmental processes has to focus on intra-individual variation|rivista=Developmental Psychobiology|volume=50|numero=1|pp=60–69|lingua=en|accesso=2023-07-18|doi=10.1002/dev.20262|url=https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/dev.20262}}</ref><ref>{{Cita pubblicazione|nome=Wander M.|cognome=Lowie|nome2=Marjolijn H.|cognome2=Verspoor|data=2019-03|titolo=Individual Differences and the Ergodicity Problem: Individual Differences and Ergodicity|rivista=Language Learning|volume=69|pp=184–206|lingua=en|accesso=2023-07-18|doi=10.1111/lang.12324|url=https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/lang.12324}}</ref>