Controne: differenze tra le versioni

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storia di controne
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La cittadinanza aderì nel 1799 alla Repubblica Napoletana: venne piantato in piazza l’albero della libertà con il berretto frigio (''pileus'' per i romani: simbolo della libertà donato dal padrone) e fu dato sostegno armato alla colonna del Generale giacobino Giuseppe Schipani, che, attraverso il territorio salernitano, puntava a raggiungere la Calabria per bloccare i sanfedisti del Cardinale Ruffo. Durante la marcia, i ribelli repubblicani incontrarono la forte resistenza degli abitanti di Castelcivita, rimasti fedeli ai Borboni, che consentì alle truppe sanfediste di muovere liberamente alla volta di Napoli. La caduta della Repubblica comportò per Controne la condanna dei suoi cittadini come ''ribelli della Corona'' e l'imposizione da parte dei sanfedisti castelcivitesi di quattromila ducati di risarcimento per le ''spese sofferte''. Un atto del Notaio Vincenzo Miele di Castelcivita, datato 24 aprile 1799, sancisce una dichiarazione di pace solenne tra i due paesi.<ref>Il documento, relativo al Notaio Vincenzo Miele; Archivio di Stato Salerno: Busta 1178, è stato ritrovato grazie alle ricerche della dott.ssa Anna Gammaldi. </ref> La figura più rappresentativa dell'insurrezione giacobina contronese fu Don Nicola Diodati, che subì per questo la confisca di tutti i beni, il cui ricavato servì a finanziare la festa solenne di [[Antonio di Padova|Sant'Antonio da Padova]], il santo che, nell'immaginario popolare, aveva protetto miracolosamente Castelcivita dall'oltraggio rivoluzionario.
 
Il Cilento tradizionalmente fu un territorio particolarmente temuto dai sovrani borbonici (nel 1820 lo definivano “focolaio di tutte le rivolte”). Le ribellioni, infatti, coinvolgevano fasce della popolazione non esigue e, per la loro insistenza, minacciavano la stabilità degli istituti monarchici territoriali.
 
La situazione peggiorò nel 1861, dopo l’Unità d’Italia: bande spesso guidate da ex militari dell’esercito borbonico si coalizzarono e intensificarono i loro crimini, sperando di sovvertire l’ordine costituito e/o di indurre un sostanziale cambiamento sociale. Si sviluppò, così,  il fenomeno del cosiddetto  ''[[Brigantaggio postunitario italiano|Brigantaggio.]]''<ref>{{Cita libro|titolo=D'Ambrosio G., Il brigantaggio nella provincia di Salerno dopo l’Unità, Vol. I (Circondario di Campagna), Palladio editrice, Salerno 1991, pp. 720}}</ref>
 
Gli Alburni non furono immuni da queste scorrerie, se consideriamo l'attività criminale di personaggi come '''Gaetano Tranchella''', di Serre, che era stato sottufficiale dell’esercito borbonico, la cui banda raggiunse la trentina di componenti; inben seguitonoti anche i suoi luogotenenti, '''D’Errico Vitantonio''', detto '''Scarapecchia''', e '''Raffaele D’Ambrosio''', i quali, assoldarono un cospicuo numero di briganti.
 
Alcuni contronesi furono coinvolti nelle azioni criminali di queste bande (in particolare quella di Scarapecchia), macchiandosi di soprusi, furti, omicidi, stupri e misfatti di ogni genere, documentati dai verbali della '''Gran Corte Criminale'''.<ref>Archivio di Stato di Salerno, Gran Corte Criminale; (processi politici) busta 280 fascicolo B. ed altri.</ref>