Controne: differenze tra le versioni

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Le monete raffiguranti il [[Nettuno (divinità)|dio Nettuno]] rinvenute sul sito archeologico e i resti ancora visibili di un tempio con pavimenti mosaicati nella località "Pezza", testimoniano una presenza nel periodo ellenico.
 
Il suo nome, secondo un'interpretazione strettamente filologica, viene fatto derivare dal germanico (longobardo) ''Gundro-one'' (già attestato a [[Farfa]] nel 785)<ref>C. Marcato, s.v. "Controne", in "Dizionario di Toponomastica UTET, Torino, 1990, pp.226-227</ref>; secondo l' interpretazione tradizionale, invece, il nome deriva dalla sua posizione e dalla esposizione al sole: ''Contra – Eljone'' (dal greco ''helios'' che significa sole), ovvero "Di faccia al sole".
 
In realtà, l'etimo tradizionale del toponimo può avere un'altra interpretazione. Lucido Di Stefano di [[Aquara]], nella sua trattazione del 1781 intitolata [[Della Valle di Fasanella nella Lucania|"''Della valle di Fasanella nella Lucania",'']] per spiegare la toponomastica del luogo, fa riferimento ad una bolla del 1168 di [[papa Alessandro III]], nella quale Controne viene menzionata come: ''Monistero di San Nicolai Genestrosola'', indizio chiaro, per l'autore, che il paese allora non era ancora sorto.
 
L'erudito spiega che ''Genestrosola'' significa ''Gens extra solem,'' con riferimento al fatto che il monte (gli Alburni), ostacolando la luce del mattino, ''rende l'aere meno sana''. Dalla ''corruzione'' di ''Genestrosola'' deriverebbe il nome ''Controne,'' da intendersi etimologicamente nel senso di ''contra solem.'' <ref name=":1">{{Cita libro|autore=A. Capano| titolo=Controne. Note storiche | editore = Alburnia-3| città= Arci Postiglione| anno = 1993| p = 43}}</ref>
 
Il "''contra solem*,'' tradizionalmente considerato, su calco greco o latino, l'etimo del toponimo ''Controne'', potrebbe, dunque, non indicare la piena esposizione del paese alla luce del sole, quanto il ritardo con cui esso ne riceve al mattino i primi raggi a causa della sua collocazione geografica. Resta aperto, rispetto a questa proposta interpretativa, il problema della difficile individuazione della collocazione del Monastero nel territorio attuale di Controne o della vicina [[Postiglione (Italia)|Postiglione]].<ref>{{Cita libro|autore=A. Capano| titolo=Controne. Note storiche | editore = Alburnia-3| città= Arci Postiglione| anno = 1993| p = 44}}</ref>
 
Il Monastero fu fondato dal normanno Guglielmo di Postiglione. Questi ebbe due figli: Tancredi e Guglielmo II. Il feudo andò in eredità al primogenito Tancredi e successivamente ad Alessandrina, figlia di Tancredi, la quale aveva sposato Pandolfo Fasanella, anch’egli di stirpe normanna e appartenente alla famiglia dei Sanseverino.
 
Pandolfo di Fasanella nel 1246 partecipa alla congiura dei ''Baroni'' contro [[Federico II di Svevia|Federico II]], i quali, in accordo con [[papa Innocenzo IV]], avevano progettato di assassinare l’imperatore e suo figlio Enzo, in modo da  eliminare  la presenza degli Svevi nel Sud Italia.
 
Scoperta la trama, Federico si mosse da Grosseto e accorse immediatamente nel Regno, mentre i suoi sostenitori avevano già iniziato ad assalire nel [[Cilento]] le rocche dei traditori: [[Sala Consilina]] fu occupata, [[Altavilla Silentina]] rasa al suolo. Le truppe passarono anche per Controne e, se ebbero rispetto dei monaci, non esitarono a razziare e ad appropriarsi di qualsiasi cosa potesse loro servire. I congiurati si rifugiarono così nel castello di [[Capaccio Paestum|Capaccio]], sperando nell'aiuto del Pontefice, ma nel torrido luglio, rimasti privi di acqua, furono alla fine costretti ad arrendersi. Federico fece ben centocinquanta prigionieri.<ref>Un agile resoconto della congiura e della conquista del Castello di Capaccio si può leggere in {{Cita pubblicazione|autore=S. Manzi | titolo=Trasferimento dei benedettini da Controne a Castelcivita nel XIII secolo|rivista= "Il Postiglione"| anno = VI| numero = 7 | data = giugno 1994 | pp = 7-8}}</ref>
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Le punizioni dei traditori furono esemplari e commisurate alla colpa. Mutilati del naso, delle mani e delle gambe, accecati con un ferro ardente perché non potessero più guardare in faccia il loro signore, gli antichi amici furono trascinati al cospetto dello spietato giudice: Federico li condannò, secondo la ''[[Lex Pompeia de Transpadanis|lex pompeia]]'', come violenti e li trattò da parricidi. Come tali, avendo operato ''contro natura'', furono giustiziati secondo i quattro elementi di essa: alcuni furono trascinati da cavalli sino a morte, altri bruciati vivi, impiccati, infilati in sacchi di cuoio e gettati in mare (secondo la legge romana dei parricidi: ''Federico fece per di più introdurre nei sacchi dei serpenti velenosi).''
 
Successivamente vennero confiscati i beni dei Fasanella, tra cui anche Controne, [[Postiglione (Italia)|Postiglione]], [[Aquara]], Castelluccia, Civita Alburno, Corneto,  Pantoliano, [[Serre (Italia)|Serre]] ed altri feudi esistenti in zona. Pandolfo di Fasanella si salvò fuggendo a Roma, ospite del papa.<ref name="Capano A 1993, p.22">{{Cita libro|autore=A. Capano| titolo=Controne. Note storiche | editore = Alburnia-3| città= Arci Postiglione| anno = 1993| p = 22}}</ref>
 
Dopo lo scempio, con l'allontanarsi delle truppe imperiali, immediatamente il Vescovo di Capaccio, Benvenuto, uomo ''“provvidus”'' si diede alla ricostruzione della sua diocesi.
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Gravemente danneggiata era stata anche la Badia di San Nicola, tanto da costringere i monaci a disperdersi in cerca di nuovi alloggi. Il Presule Capaccese, nel 1258, volle provvedere alla sistemazione di quel cenobio benedettino, risolvendo una vecchia questione feudale sorta con il Barone di Postiglione del tempo: il medico salernitano Giovanni da Procida, subentrato ai Fasanella.
 
Nel mese di settembre dello stesso anno, davanti ai pubblici notai Guglielmo di Capaccio e  Baldassarre di Agropoli,   il Vescovo e il Barone   raggiunsero un accordo.<ref name=":0">{{Cita libro|titolo=Manzi S., op. cit., p.13}}</ref>
 
Innanzitutto fu trovata una sistemazione decorosa per i monaci benedettini, che momentaneamente si trasferirono nel convento di San Filippo martire e confessore della ''Castelluccia'', nella cui chiesa si trovavano anche le reliquie del Santo.
 
Sulle proprietà del Monastero di San Filippo, infatti, vantava diritti la moglie di [[Giovanni da Procida]], per cui si rese necessario ottenere l’assenso del Barone per tutta l’operazione del trasferimento e lì stettero per qualche decennio. (…''provvidit transferre sedem et statum ab ecclesia Sancti Nicolai  de Controne ad ecclesiam Sancti Philippi de Castelluccia in qua est corpus Sancti Philippi martiris et confessoris in quo antiquitum monasterium fuisse fertur...)''<ref name=":0" />
 
Con la battaglia di Benevento nel 1266 [[Carlo I d'Angiò|Carlo I d’Angiò]] (guelfo) sconfigge le truppe (ghibelline) di [[Manfredi di Sicilia|Re Manfredi]]. Pandolfo di Fasanella, approfitta della situazione, scende in aiuto degli [[Angioini]] e con la vittoria rientra in possesso di tutti i suoi beni, tra cui anche la Terra di Controne.
 
Nel 1283   Pandolfo muore, privo di eredi diretti, la baronia di Fasanella fu prima avocata alla corona e successivamente   assegnata dal re a Tommaso Sanseverino, [[Contea di Marsico|Conte di Marsico.]]
 
Fra i beni assegnati al Conte, però, non vi rientra Controne. Infatti, tra il 1275 e il 1286 l'abbazia di San Nicola è sotto la giurisdizione del vescovo di Capaccio: Pietro, che è anche abate di Controne.<ref name="Capano A 1993, p.22"/>
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La definitiva conclusione di questo movimento si ebbe nel 1487 nel [[Maschio Angioino|Castel Nuovo]] di [[Napoli]], precisamente nella sala dei Baroni, dove furono invitati tutti i più importanti signori del Regno con la scusa di celebrare le nozze della nipote del Re. In realtà questa era una trappola: i Baroni furono arrestati e condannati a morte.
 
Successivamente divenne signore di Controne e di Castelcivita Francesco D’Alitto, il quale appoggiò la politica francese di [[Francesco I di Francia|Francesco I]] e di [[papa Clemente VII]],  in contrasto con gli interessi e le mire espansionistiche dell’imperatore [[Carlo V d'Asburgo|Carlo V d’Asburgo]].<ref>{{Cita libro|autore=A. Capano| titolo=Controne. Note storiche | editore = Alburnia-3| città= Arci Postiglione| anno = 1993| pp = 25-26}}</ref>
 
Papa Clemente VII, infatti, nel 1527, per sfuggire al [[Sacco di Roma (1527)|Sacco di Roma]] ad opera dei Lanzichenecchi si era rifugiato in [[Castel Sant'Angelo|Castel Sant’Angelo]]; il D’Alitto insieme ad altri si spese per liberare il Sommo Pontefice. A causa di ciò, però, perse il feudo di Controne, il quale il 20 giugno 1527 andò a Ferdinando Vitelli, capitano di leva della ''Castelluccia,  ''per ricompensarlo delle  spese di guerra effettuate a favore di Carlo V.<ref>{{Cita libro|autore=A. Capano| titolo=Controne. Note storiche | editore = Alburnia-3| città= Arci Postiglione| anno = 1993| p = 26}}</ref>
 
Per questo passaggio di potere molto si prodigò il [[principe di Orange]], viceré dell’Imperatore a Napoli: l’investitura comprendeva la concessione della ''bagliva'' (dazi e bolli per bilance, stadere) ''dogana'' (dazio di passaggio) ''fida'' (tassa di pascolo) ecc.
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Nel 1752 [[Carlo III di Spagna|Carlo di Borbone]] faceva realizzare a [[Persano (Serre)|Persano]] il Real Casino di Caccia. Il re negli anni successivi pensò di ampliare la tenuta, per avere più spazio per la sua attività venatoria. I feudi di Controne e Postiglione furono scelti per assolvere a questo scopo(1759).
 
Il 20 settembre 1759 l’l{{'}}''Università'' di Controne venne apprezzata, cioè stimata, da uomini illustri fedeli al Re e al Duca. Quest’ultimo cedeva i suddetti feudi e riceveva in cambio quelli di [[Bonito (Italia)|Bonito]], [[Teverola]] e Isola di Morrone, tutti facenti parte del [[Principato Ultra]].<ref>Apprezzo Controne nell'atto del notaio Giovanni Ranucci di Napoli, in A. Capano, ''Controne. Note storiche'', Alburnia-3, Arci Postiglione, 1993, p. 83</ref>
 
Il 20 gennaio 1760 Controne diventa Regia Terra. Intanto il Re nel 1759 lascia Napoli per il trono di Spagna, con il nome di Carlo III, e cede a suo figlio Ferdinando di 8 anni il sud Italia.
 
Nel 1763, il notaio Gerardo Farsetti di Controne riporta l’esistenza di due dispacci reali, datati uno 1761, l’altro 1762, in cui il Re [[Ferdinando IV di Borbone|Ferdinando IV]], per mezzo del segretario di Stato [[Bernardo Tanucci]], comunicava e stabiliva in via definitiva i diritti e i doveri spettanti all’[[abate commendatario]] e al signore dell{{'}}''’UniversitàUniversità.''
 
Veniva stabilito che dal 22 maggio del 1763 il popolo era esentato nei confronti della badia ''nullius'' dal pagamento ''delle decime di grani, di lino, dal pagamento di un barile di vino per ogni persona che faceva vendemmia''; la popolazione veniva esentata, inoltre, dal pagare ''la quarta parte del prezzo della casa in caso di vendita'' e dalla tassa ''per tutti coloro che usufruivano delle canne situate vicino al fiume Calore;'' veniva finalmente abolita l’usanza di dare una gallina ai monaci per chiunque volesse edificare una nuova casa; veniva infine abolito il diritto di sepoltura e di stola o di eventuali fabbriche”
 
L’Abate a sua volta si impegnava a somministrare a fine anno, la carne dei maiali ai poveri (i porci sacri, liberi al pascolo) e di dare una candela ad anima nel giorno della [[Candelora]]   (2 febbraio di ogni anno). Si stabiliva, in ultimo, che l’Abate ricevesse ogni anno ducati 80 da parte dell’Università  da recuperare fra la popolazione.<ref>Archivio di Stato di Salerno. Notaio Gerardo Garsetti; Busta: 2430</ref>
 
Gli accordi, stipulati tra il cardinale Scipione Borghese, abate commendatario e il [[barone]] di Controne, vennero suggellati a perenne ricordo, con iscrizione su pietra. La lapide è conservata nel palazzo comunale ed è datata 9 aprile 1763.  
 
La [[Rivoluzione Francese]], al grido di “liberté, égalité, fraternité” segna una svolta decisiva, per la Francia e non solo. Il 1789 è l’inizio della fine dell’[[Ancien Régime]] e dell’ascesa definitiva della borghesia. Al di là dei differenti ed opinabili punti di vista, la Rivoluzione, ha smosso qualcosa di secolare oltre ogni limite interpretativo.  Libertà ed uguaglianza sono le parole chiave del cambiamento, queste nuove idee fecero nascere anche in Italia numerose repubbliche filofrancesi e giacobine, quali, la [[Repubblica Ligure]] e la [[Repubblica Cisalpina]] nel [[1797]], la [[Repubblica Romana (1798-1799)|Repubblica Romana]] nel [[1798]] e successivamente nel 1799 [[Repubblica Napoletana (1799)|la Repubblica Napoletana]].
 
Il re [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando IV]] avvertiva tra il popolo questa voglia di innovazione; per questo motivo, cercò in tutti i modi di ostacolarne le idee e respingere eventuali attacchi da parte dell’esercito francese.
 
Testimone ne è un dispaccio del 24 maggio 1796 in cui il Sovrano invita la popolazione della Regia Terra di Controne ''ad essere pronti a correre contri li nemici per la difesa della religione, del Trono e delle proprie vite e sostanze.'' L’Università risponde al Dispaccio reale l’8 luglio 1796 con questa dichiarazione: ''essendosi convocato pubblico parlamento precedenti i debiti banni per i luoghi soliti e consueti, propriamente nella pubblica piazza [...] alla presenza del Regio Governatore, il Clero, Galantuomini e tutti i fedeli sudditi […] incoraggiati a prender l’armi, o arruolarsi volontariamente per la difesa della religione, Trono e Patria non vi è stata persona alcuna disposta a tale sevizio.'' <ref>Archivio comunale Controne: Testo Unico; p. 38</ref>
 
Controne, con cautela e forse ancora in modo celato, accoglieva un sogno di libertà, si dimostrava ricettivo al cambiamento, desideroso di un'innovazione non ben delineata, ma sicuramente pronto a ricevere qualcosa di nuovo e di diverso.
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Il Cilento tradizionalmente fu un territorio particolarmente temuto dai sovrani borbonici (nel 1820 lo definivano “focolaio di tutte le rivolte”). Le ribellioni, infatti, coinvolgevano fasce della popolazione non esigue e, per la loro insistenza, minacciavano la stabilità degli istituti monarchici territoriali.
 
La situazione peggiorò nel 1861, dopo l’Unità d’Italia: bande spesso guidate da ex militari dell’esercito borbonico si coalizzarono e intensificarono i loro crimini, sperando di sovvertire l’ordine costituito o di indurre un sostanziale cambiamento sociale. Si sviluppò, così,   il fenomeno del cosiddetto   ''[[Brigantaggio postunitario italiano|Brigantaggio.]]''<ref>{{Cita libro|autore = G. D'Ambrosio |titolo= Il brigantaggio nella provincia di Salerno dopo l’Unità, Vol. I (Circondario di Campagna) | editore = Palladio editrice |città = Salerno | anno = 1991 | pp = 720}}</ref>
 
Gli Alburni non furono immuni da queste scorrerie, se si considera l'attività criminale di personaggi come Gaetano Tranchella, di Serre, che era stato sottufficiale dell’esercito borbonico, la cui banda raggiunse la trentina di componenti; ben noti anche i suoi luogotenenti, Vitantonio D’Errico, detto Scarapecchia, e Raffaele D’Ambrosio', i quali, assoldarono un cospicuo numero di briganti.
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Il [[referendum istituzionale del 1946|''referendum'']] sulla forma istituzionale dello stato del 2-3 giugno 1946 vide prevalere a Controne la Repubblica con 486 voti, rispetto ai 241 della Monarchia.<ref>{{Cita web|url=https://elezionistorico.interno.gov.it/index.php?tpel=F&dtel=02/06/1946&tpa=I&tpe=C&lev0=0&levsut0=0&lev1=24&levsut1=1&lev2=72&levsut2=2&levsut3=3&ne1=24&ne2=72&es0=S&es1=S&es2=S&es3=N&ms=S&ne3=720450&lev3=450|titolo=Eligendo, Archivio, Referendum 2 giugno 1946, comune di Controne}}</ref> Il risultato di Controne risultò in assoluta controtendenza rispetto agli esiti referendari nell'intera provincia di Salerno, dove la Monarchia stravinse con il 75,17% dei consensi (264.721 voti) sulla Repubblica, che conquistò solo il 24,83% dei suffragi (87.453 voti).<ref>{{Cita web|url=https://elezionistorico.interno.gov.it/index.php?tpel=F&dtel=02/06/1946&tpa=I&tpe=P&lev0=0&levsut0=0&lev1=24&levsut1=1&lev2=72&levsut2=2&ne1=24&ne2=72&es0=S&es1=S&es2=S&es3=N&ms=S&ne3=0|titolo=Eligendo, Archivio, Referendum 2 giugno 1946, Provincia di Salerno}}</ref> L'orientamento repubblicano della popolazione contronese, documentato dall'adesione alla Repubblica Napoletana del 1799, risultò ancora una volta confermato alle origini della democrazia italiana.
 
Lo stemma del comune di Controne reca al centro dello scudo un'aquila bicipite, di colore grigio, con le ali spiegate. Secondo alcuni autori una testa rappresenta l'Occidente e l'altra l'Oriente, in particolare le due metà dell'Impero bizantino, una in Europa e una in Asia. Controne è uno dei quattro Comuni Italiani ad adottare un’aquila bicipite nel proprio stemma. Gli altri comuni sono: Velletri, Villafrati e Piana degli Albanesi. Al di sopra dello scudo è posta una corona. I comuni devono utilizzare una corona formata da un cerchio aperto da quattro pusterle (tre visibili), con due cordonate a muro sui margini, sostenente una cinta, aperta da sedici porte (nove visibili), ciascuna sormontata da una merlatura a coda di rondine, il tutto d'argento e murato di nero. Al di sotto dello scudo si intrecciano due ramoscelli, uno di ulivo ed uno di quercia richiamanti lo stemma della Repubblica Italiana ed aventi, come esso, questo significato: Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale. Il ramo di quercia che chiude a destra l'emblema, incarna la forza e la dignità del popolo italiano. Entrambi, poi, sono espressione delle specie più tipiche del patrimonio arboreo.
 
L’aquila doveva essere l'emblema del feudo già in tempi antichi, infatti, nella chiesa intitolata alla Vergine Santissima, patronato dell’Università, vi era collocata una pala d’altare ad opera di Giovanni Luca De Luca, originario di Eboli, datata 1577.