Luigi Calabresi: differenze tra le versioni
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Tra il 1969 e il 1972 fu accusato da una parte dell'opinione pubblica di aver assassinato l'anarchico [[Giuseppe Pinelli]], morto dopo essere caduto da una finestra del quarto piano della [[Questura]] di Milano. Pinelli si trovava in custodia per le indagini sulla [[Strage di piazza Fontana|Strage di Piazza Fontana]]. Le accuse vennero sostenute da un'estesa campagna stampa di giornali della sinistra politica, in particolare da ''[[L'Espresso]]'' e dal giornale del movimento [[militante]] di [[Extraparlamentare|estrema sinistra]] ''[[Lotta Continua]]''. Tuttavia, già allora era stato accertato che Calabresi non si trovava nella stanza da cui cadde Pinelli al momento dell'accaduto. Questo fu confermato da un'estesa indagine giudiziaria archiviata nel 1975.
Nel 1972 Luigi Calabresi fu assassinato a colpi di pistola mentre andava
I colpevoli dell'assassinio Calabresi furono individuati solo nel 1988: [[Ovidio Bompressi]] e [[Leonardo Marino]] come esecutori materiali, [[Giorgio Pietrostefani]] e [[Adriano Sofri]] come mandanti. Tutti erano ''leader'' o esponenti passati di [[Lotta Continua]]. Gli imputati furono condannati in via definitiva nel 1997. Successivamente i condannati ottennero una revisione del processo, ma nel 2000 la Corte d'Appello di [[Venezia]] e poi la [[Corte suprema di cassazione|Corte Suprema di Cassazione]] confermarono le condanne. Nel 2003 la [[Corte europea dei diritti dell'uomo|Corte Europea dei Diritti dell'Uomo]] sentenziò che avevano ricevuto un processo equo e rifiutò un'ulteriore revisione.<ref name=":0" /><ref>{{Cita news|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,11/articleid,1109_01_1975_0250_0011_21477257/|titolo=Né omicidio né suicidio: Pinelli cadde perché colto da malore|pubblicazione=La Stampa|data=29 ottobre 1975|citazione=Secondo la sentenza istruttoria, l'anarchico ebbe il fatale capogiro mentre era appoggiato al bassissimo davanzale della finestra della Questura perché "in stato ansioso e stressante" dopo tre giorni di interrogatori - Nessuna responsabilità tra i funzionari e i sottufficiali presenti (Nostro servizio particolare) Milano, 28 ottobre. (m.f. ) L'anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra del quarto piano della Questura milanese, dov'era interrogato sulla strage di piazza Fontana, il 15 dicembre 1969, non si è ucciso, ma nessuno dei funzionari e dei sottufficiali dell'ufficio politico della Questura è responsabile della sua caduta. Questa la conclusione cui è giunta, dopo quasi sei anni d'inchiesta, la magistratura. Il giudice istruttore, dottor Gerardo D'Ambrosio, lo stesso che ha condotto l'inchiesta sulle «piste nere», ha depositato oggi in cancelleria la sua sentenza, che assolve con formula piena tutti gli indiziati. Secondo la ricostruzione che al magistrato pare la più attendibile, Giuseppe Pinelli, stremato dai pressanti interrogatori cui era sottoposto, si avvicinò alla finestra per prendere una boccata d'aria, ebbe un capogiro e cadde nel vuoto (anche perché il davanzale era bassissimo), senza che nessuno dei presenti riuscisse a salvarlo. Il procedimento concluso oggi era stato aperto dalla vedova del ferroviere, Licia Rognini, con una denuncia per omicidio volontario contro il {{!}} commissario capo dott. Luigi {{!}} Calabresi (successivamente assassinato il 17 imaggio 1972), il capitano dei carabinieri Savino Lo Grano e i sottufficiali di p.s. Pietro IMucilli, Carlo Mainardi, Vito Panessa e Giuseppe Caracuta; (settimo implicato, il dottor Antonino Allegra, allora dirigente della squadra politica: assente dall'ufficio quando il Pinelli precipitò, doveva rispondere di abuso di potere per avere trattenuto l'anarchico nei locali della Questura, senza l'autorizzazione del {{!}} magistrato, dal 12 al 15 dicembre; il suo reato è estinto dall'amnistia). Nei confronti degli altri sei indiziati, il dottor D'Ambrosio ha dichiarato di non doversi procedere perché il fatto non sussiste. La sentenza assolve anche l'avvocato Carlo Smuraglia, già legale della famiglia Pinelli, che era stato indiziato di calunnia nei confronti dei rappresentanti della forza pubblica per averli accusati di omicidio volontario, violenza privata, sequestro dì persona, abuso d'ufficio e di autorità. A sostegno della tesi del malore che avrebbe causato la caduta di Pinelli dalla finestra, il dottor D'Ambrosio ricorda che il ferroviere «dalle 18,30 del 12 dicembre fino a pochi minuti prima delle 24 del 15 dicembre, fu sottoposto a una serie di ''stress'', non consumò pasti regolari e dormì solo poche ore, una sola volta steso su una branda. Il fatto che venissero man mano rilasciati tutti i compagni anarchici fermati dopo di lui, non dovette poi certo tranquillizzarlo». La sera del 15, quando fu chiamato per un altro interrogatorio, Pinelli si sentì dire che Valpreda aveva confessato di aver messo la bomba della strage di piazza Fontana: certo una manovra ad effetto della polizia per indurlo a parlare. Un dubbio sfiorò comunque Pinelli che, rivolto a un amico, disse: «Se è stato un compagno lo uccido con le mie stesse mani». «Ogni tanto palesava momenti di assenza», scrive ancora il magistrato, aggiungendo che sovente «lamentava amnesie». Nella sentenza si esclude come «assolutamente inconsistente» l'ipotesi del lancio dalla finestra del corpo inanimato, sia per la mancanza di qualsiasi movente, sia perché essa è stata smentita dagli accertamenti tecnici svolti. Da escludere, per il giudice, anche la possibilità che il corpo inanimato sia stato appoggiaIto alla ringhiera e fatto ruotare intorno ad essa. «In tal caso — dice la sentenza — l'apice del corpo avrebbe urtato con estrema violenza il corniciome quattro metri più sotto, sporgente di ben SO centimetri dal filo della ringhiera stessa. Avrebbero dovuto ri- scontrarsi, di conseguenza, da una parte una notevole deformazione del rivestimento in lamiera del cornicione (simile se non pari a quella lasciata dal manichino durante gli
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