Trout Mask Replica: differenze tra le versioni
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Canzone preferita dalla band durante i concerti, inizia con un ritmo in 7/8 in cui ognuno dei musicisti va per conto suo sperimentando timbri e tonalità diverse, fino a quando tutti gli strumenti si incontrano, e inizia allora il segmento successivo. Ogni suono è originale, nulla si ripete e quello che viene suonato, non ha alcun effetto sull'accordo successivo impiegato. Dopo circa 50 secondi, la musica diventa un torrente impetuoso, e i suoni degli strumenti si scontrano in complessi contrappunti armonici. Nonostante tutto si tratta comunque di un brano in stile [[blues]] in cui vengono riprese alcune parti di chitarra del brano ''Kandy Korn'' presente sull'album ''[[Strictly Personal]]'', dove entrambe le chitarre combattono tra di loro per suonare in maniera totalmente indipendente l'una dall'altra. Nonostante un tale impatto sonoro, quando irrompe la rauca voce di Beefheart ha l'effetto di uno schiaffo in volto mentre invita l'ascoltatore a viaggiare attraverso la terra della sua musica:
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Paradossalmente, questo paesaggio mitizzato non è quello della fine degli anni '60, l'invocata nazione hippy (che Beefheart odiava) o la follia psichedelica teorizzata da altri artisti dell'epoca. Questo è il personalissimo mondo di Don Van Vliet, costruito su una visione distorta dell'America e dei suoi ideali.
La linea vocale di Captain Beefheart venne registrata su cassetta nella casa di [[Woodland Hills (Los Angeles)|Woodland Hills]] (da qui il caratteristico click che si sente in sottofondo alla fine di ogni strofa). È una traccia esclusivamente vocale, recitata come una filastrocca, senza nessun accompagnamento musicale. Il testo tratta di alcuni ricordi di gioventù, di quando Van Vliet si recava a pescare da ragazzo. La canzone può essere intesa come una particolare ode alla natura incontaminata, selvaggia, dove le cose muoiono e rinascono in continuazione.
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{{Citazione|''Il blues di Dachau, quei poveri ebrei''<br />''Il blues di Dachau, quei poveri ebrei''|''Dachau Blues'' - Captain Beefheart|''Dachau blues those poor jews''<br />''Dachau blues those poor jews''|lingua=en}}
Canzone che tratta temi delicati come l'[[olocausto]], la [[seconda guerra mondiale]] e [[Adolf Hitler]]. Non fu mai eseguita in concerto. Si tratta di un brano molto intenso, nel quale Don soffia nel clarinetto basso, come se fosse un disperato, ultimo tentativo di fermare la guerra con tutti gli orrori che comporta... La musica è alquanto tetra, piuttosto convulsa, come a voler descrivere tali orrori. Alla fine della traccia la voce di Beefheart sovrasta quasi completamente gli altri musicisti impedendo di godere appieno del loro virtuosismo. La natura umana votata all'odio e alla violenza sembra preoccupare Beefheart, che sul finire del brano si augura che non scoppi una terza guerra mondiale.
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Si tratta di una delle canzoni "più accessibili" dell'album, anche se in maniera inconsueta, sembra a suo modo addirittura orecchiabile con i suoi coretti strampalati. L'ispirazione per questo pezzo proviene da una fan del gruppo, che aveva l'abitudine di venire ai loro concerti indossando abiti molto colorati ed eccentrici. Il ruvido cantato di Beefheart è completato dalla voce in falsetto e quasi isterica di Jeff Cotton. È una canzone d'amore, che in qualche modo fa riferimento al grande successo del 1968 degli [[O'Kaysions]] ''Girl Watcher''. Il termine "Fast 'n Bulbous" è una tipica storpiatura Beefheartiana del nome di una famosa marca di crema idratante, citata anche da Zappa in ''[[Uncle Meat]]'' e che compare ripetutamente su ''Trout Mask Replica''.
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Traccia registrata nella casa di Woodland Hills, con i tamburi rivestiti di cartone per attutirne il suono. Don e Victor Hayden andarono con i propri strumenti in mezzo alle erbacce a circa 50 metri dalla casa e iniziarono a soffiare nei loro strumenti producendo dissonanti suoni in stile [[free jazz]]. Sono ben udibili il fruscio delle foglie, un cane che abbaia in lontananza e due bambini che erano presenti durante la sessione di registrazione (e con i quali Beefheart inizia a parlare dopo aver concluso la canzone). Il termine "Hair Pie" ("torta di peli") in [[slang]] americano è un riferimento osceno al [[cunnilingus]]. Zappa fece registrare alla band anche una seconda versione di questo brano, ''Hair Pie: Bake 2'', fondamentalmente la stessa canzone ma registrata in studio e senza gli strumenti a fiato.
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Sicuramente una delle migliori canzoni dell'album e una delle migliori composizioni di Beefheart, ''Moonlight on [[Vermont]]'' venne registrata nell'agosto 1968, circa nove mesi prima rispetto alle altre tracce, dalla Magic Band in formazione diversa. La canzone sembra in qualche maniera correlata ai vecchi pezzi blues del [[Delta del Mississippi]], ma chiaramente stravolgendone la struttura. Si tratta di un brano apparentemente semplice, che inizia con uno stridente [[riff]] di chitarra elettrica distorta ad opera di [[Bill Harkleroad]], ma che in realtà nasconde una struttura complessa come le altre canzoni di ''Trout Mask Replica''. La tematica della canzone tratta dell'influenza della Luna sul comportamento delle persone. Nella parte finale del brano, Don canta uno stralcio della canzone [[gospel]] ''Old-Time Religion'', mischiandolo al ritornello di ''Come Out'', un brano di [[Steve Reich]] del 1966. Si può anche considerare questa canzone come l'antitesi dell'omonima ballata romantica composta da [[John Blackburn]] e [[Karl Suessdorf]] nel 1943, interpretata, tra gli altri, anche da [[Ray Charles]], [[Johnny Mathis (cantante 1935)|Johnny Mathis]], [[Sam Cooke]], [[Louis Armstrong]], e perfino [[Frank Sinatra]].
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È una delle rare canzoni sull'album in cui quasi ogni strumento suona a tempo e in toni simili, il risultato è una sorta di [[boogie (musica)|boogie]] veloce. La batteria e le chitarre sono in sincronia, ma non la parte di basso suonata da Don, completamente fuori tempo, che crea un effetto straniante in un contesto di normale esecuzione degli strumenti. Durante il coro alla fine del brano, Don torna al suo passato musicale più arcaico, citando la sua canzone per bambini preferita: ''Mammy's Little Baby Loves Shortnin' Bread''. "Pachuco" è uno dei termini più comuni utilizzati a Los Angeles negli anni '40 e '50 per indicare un ragazzo ispanico di origine messicana, vestito in abiti eleganti.
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Si tratta di un pezzo ispirato a [[Bill Harkleroad]], che allora era in uno stato d'animo molto cupo. Il titolo del brano, traducibile in italiano come ''Il cadavere di Bill'', forse è semplicemente una presa in giro da parte di Don Van Vliet del pessimismo di Harkleroad, ma bisogna anche ricordare che Beefheart una volta aveva un pesciolino dorato di nome Bill, che morì quando il suo proprietario, giovane ed entusiasta, si dimenticò di dargli da mangiare per diversi giorni. Il tema centrale è quindi la morte, ma una figura femminile che appare alla fine del brano può anche simboleggiare la rinascita insita nella natura stessa.
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Il brano fu uno dei più difficili da portare a termine e il gruppo spese un sacco di tempo in studio per prepararlo bene. Fondamentalmente è una canzone d'amore: Don incontra il suo vero amore nel suo giardino. Il ritmo è sostenuto, ma nonostante l'apparente facilità dell'insieme, la canzone è piuttosto complessa. La linea di basso è in forte evidenza. Tra le bellezze naturali del giardino di Don, si percepisce la sua passione per la meravigliosa donna decantata nella canzone che qui sembra essere una regina. L'espressione del desiderio si concretizza nel brano successivo, il più sessuale dell'album.
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Tipico esempio dell'immaginazione poetica di Beefheart dal punto di vista lirico, è però un lavoro molto difficile, e quindi eseguito molto raramente dal vivo in concerto. Molte delle parole del testo sono associabili con il sesso, anche il modo di cantare, molto onomatopeico, utilizza suoni per evocare associazioni con il sesso e la sessualità. Sono presenti tutta una serie di parole tipicamente associate con la mascolinità e la femminilità.
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Con questo pezzo si torna alle radici del blues, ma è facile notare come questa sia la più vecchia delle canzoni presenti sull'album, possedendo una struttura tipicamente blues in maniera tradizionale senza generare troppe sorprese. Beefheart la canta con un tono di voce alla [[Howlin' Wolf]]. La canzone venne registrata su cassetta in una stanza della casa di Woodland Hills con [[Doug Moon]], in visita al gruppo, che accompagnava il cantato di Don con la chitarra. La qualità della registrazione è molto [[lo-fi]], e il nastro si interrompe bruscamente verso la fine del brano.
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In questa traccia sono presenti molti elementi di jazz, come il ritmo sincopato che caratterizza il brano. In questo pezzo Beefheart gioca con la lingua inglese stravolgendo il suono e il significato di vocali e consonanti.
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Il brano venne ispirato dalla visione di una mostra di [[Salvador Dalí]], che il gruppo andò a visitare. È uno dei tre brani solo strumentali dell'album.
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È in realtà la versione in studio di ''Hair Pie: Bake 1'' senza però il suono degli strumenti a fiato di Beefheart e Hayden. Il critico [[Langdon Winner]] ha calcolato che in questo brano sono presenti almeno 14 ritmi e melodie differenti. Le chitarre hanno un sorprendente sound moderno per l'epoca, che influenzerà non poco le sonorità dei gruppi [[New wave (musica)|new wave]] degli anni ottanta.
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Dopo un'introduzione costituita da uno stralcio di dialogo tra i membri del gruppo, è ancora la voce di [[Jeff Cotton]] a farla da padrone recitando e urlando così forte, con in sottofondo un tappeto di urla sconnesse da parte di Captain Beefheart, da danneggiarsi quasi le corde vocali, per poi alla fine della canzone scoppiare a piangere istericamente. Si tratta di uno dei brani più "bizzarri" presenti sull'album.
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Altra traccia esclusivamente "recitata" da Beefheart con una voce in tono baritonale senza accompagnamento musicale alcuno. Ogni strofa, si conclude con l'esclamazione: ''«Well, well...»'' ("Bene, bene...") usata a mo' di ritornello. Il brano descrive il momento in cui la mente passa dalla veglia allo stato di sonno, la luce del giorno filtra nella notte nera, e la mente è sempre meno sotto controllo.
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Si tratta di un brano ritmicamente in qualche modo simile a ''My Human Gets Me Blues''. Venne spesso eseguito in concerto, perché piaceva molto al gruppo, che lo trovava divertente da suonare. È una delle tracce in cui l'influenza del [[free jazz]] è maggiormente riscontrabile. La "Big Joan" del titolo, il soggetto della canzone, è una donna obesa di notevoli dimensioni che quando esce di casa viene presa in giro dalla gente per la sua stazza.
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Questa è un'altra canzone che parla di morte. Dopo un'ennesima introduzione parlata, Beefheart inizia a "sputare" le parole del testo su un tappeto sonoro blues. Il pezzo si situa sulla scia di brani come ''Almost Dead Blues'' di [[Robert Pete Williams]] (che lo scrisse durante una grave malattia) e ''See That My Grave Is Kept Clean'' di [[Blind Lemon Jefferson]].
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Risale al periodo della composizione e registrazione di ''Moonlight on Vermont''. La canzone contiene una citazione dal ''[[Concierto de Aranjuez]]'' di [[Joaquín Rodrigo]] nella versione registrata in ''[[Sketches of Spain]]'' da [[Miles Davis]], su arrangiamento di [[Gil Evans]].
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La base di questo brano è un classico ritmo in 4/4, al quale Don era molto affezionato (lo chiamava il ritmo dei bambini). Il testo della canzone esprime chiaramente la preoccupazione dell'autore per l'ecosistema del nostro pianeta. Oltre a cantare, Van Vliet suona anche il sax solista: tenore e soprano, naturalmente in stile molto [[free jazz|"free"]].
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Si tratta di una poesia recitata da Beefheart, e registrata in solitudine su un registratore a cassette. Sebbene avesse testi preparati, in molte casi, Don preferiva improvvisare le parole sul momento. Beefheart interpreta un vecchio marinaio, il quale dopo 30 anni trascorsi in mare, ha una gamba di legno e le tasche vuote e cerca il modo di incrementare le sue scarse risorse finanziarie.
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La traccia contiene probabilmente la miglior esecuzione solista con uno strumento a fiato da parte di Don Van Vliet sull'intero album. Naturalmente, come al solito, Beefheart non sapeva cosa stava facendo, ma lo fece brillantemente. Le parole del testo raccontano una storia particolarmente drammatica, perché narrata in prima persona. Il protagonista fugge da una realtà dolorosa in cui è perseguitato da qualcuno. Quindi si sente come un animale braccato, la cui esistenza è minacciata da un nemico invisibile. Così decide di scappare sulle montagne insieme alla moglie per nascondersi in una grotta. La "vita selvaggia" è, secondo Beefheart, la migliore amica dell'uomo. L'insolito assolo di sassofono di Beefheart è stato rifatto nota per nota con la chitarra nel 1982 da [[Gary Lucas]] nel brano ''The Host the Ghost Most Holy-O'' sull'album ''[[Ice Cream for Crow]]''.
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La canzone si occupa di amanti mal assortiti tra di loro. La donna è così vanitosa che l'uomo non ha mai la possibilità di guardarsi allo specchio, perché è sempre occupato da lei.
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Traccia costruita elaborando uno dei più vecchi riff creati da Van Vliet. Il titolo del brano si riferisce allo stato d'animo in cui si identifica l'autore, quello del vagabondo, in questo caso specifico un immigrato cinese... Il termine "hobo", tipicamente statunitense, indica una sorta di "romantico giramondo", una figura differente da quella del semplice barbone, maggiormente associabile agli eroi della [[Beat Generation]] come il [[Jack Kerouac]] di ''[[Sulla strada]]'', che viaggiava per gli [[Stati Uniti]] nascosto su treni merci per non dover pagare il biglietto, o a cantautori folk come [[Woody Guthrie]]. Il termine veniva anche spesso utilizzato da [[Bob Dylan]] nelle sue prime canzoni.
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La particolarità del brano in questione sta nel metodo di registrazione impiegato per esso. Beefheart volle che [[Jeff Cotton]] ne recitasse il testo al telefono. Quindi Cotton chiamò a casa [[Frank Zappa]], che registrò il tutto su nastro in diretta nel suo studio. Finita la telefonata, Zappa elaborò il nastro sovrapponendogli un accompagnamento musicale in sottofondo eseguito da alcuni membri delle [[Mothers of Invention]]. Su questa base, Beefheart sovraincise poi degli assoli al sax soprano. Così nacque ''The Blimp''. Successivamente Zappa riutilizzerà la base strumentale per un suo brano intitolato ''Charles Ives''. Il testo della canzone, che parla di un [[dirigibile]] che precipita, è probabilmente ispirato al famoso disastro aereo che coinvolse il dirigibile [[LZ 129 Hindenburg|Hindenburg]] negli anni trenta.
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Nonostante si tratti di uno dei brani più complessi del disco (soprattutto per quanto riguarda la parte ritmica) è stato eseguito in quasi tutti i concerti della band. Ma Bill Harkleroad ricorda che suonare questo pezzo era per lui una vera e propria tortura. Il testo della canzone, che ancora una volta tratta di ecologia, è una sublimazione insolitamente romantica per gli standard di Captain Beefheart.
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Come risulta da un'intervista con Langdon Winner che Beefheart effettuò nel maggio 1970 per ''[[Rolling Stone]]'', la canzone è costituita da un breve frammento di un lungo romanzo con lo stesso nome e di cui finora non si sa nulla, che Beefheart si limita a leggere con in sottofondo un accompagnamento musicale da parte della band.
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Questa fu la prima canzone registrata dalla Magic Band con Bill Harkleroad in formazione. Proviene dalla stessa sessione che aveva prodotto ''Moonlight on Vermont'', da qui lo stile leggermente diverso. Il titolo del brano fa riferimento alla pratica tipicamente anglosassone della vendita dei papaveri per beneficenza da parte delle crocerossine nel giorno della memoria dei caduti o veterani di guerra che viene citata anche dai [[Beatles]] in ''[[Penny Lane (brano musicale)|Penny Lane]]''. La canzone è un inno antimilitarista, dal punto di vista di una madre che ha perso un figlio in guerra. La donna si rifiuta di compiere un gesto privo di significato come comprare dei papaveri, perché tanto non gli crescerà un altro figlio come invece ricresce un fiore reciso. Il brano è caratterizzato da una chitarra sincopata e da una lunga coda strumentale. Vale la pena notare che il [[riff]] principale suonato dalla chitarra slide è una citazione della popolare canzone degli anni '40 ''Rancho Grande''. Queste inclusioni di opere note in canzoni originali sono uno degli elementi essenziali dello stile compositivo di Van Vliet e se ne possono trovare esempi in tutti i suoi album. Tale pratica ricorda ciò che facevano i [[Cubismo|cubisti]], che nei loro dipinti rappresentavano per lo più cose semplici, oggetti in genere conosciuti e familiari, stravolgendone però completamente la forma.
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