Emilio Becuzzi: differenze tra le versioni

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Il 10 settembre ricevette presso il suo [[Quartier generale]] i rappresentanti del comando supremo partigiano, venuti appositamente da Jajce, tra cui l'[[avvocato]] [[Ivo Lola Ribar]], rappresentante personale di [[Josip Broz Tito|Tito]], il generale Costantino Popovic e tre ufficiali alleati facenti parte della missione, tra cui il futuro [[storico]] inglese [[Frederick William Deakin]].<ref name="as"/>
Raggiunto un accordo di massima egli volle avere l'autorizzazione del generale Spigo, suo superiore diretto, e quando poté avere il contatto radio con Zara scoprì che gli ordini erano completamente cambiati.<ref name="as"/> Il generale Spigo gli ordinava la consegna del materiale militare italiano ai tedeschi non appena fossero giunti in città.<ref name="as"/> Malgrado le insistenze degli esponenti partigiani, e degli ufficiali alleati ed anche di alcuni di quelli italiani, affinché si continuassero le trattative per raggiungere a una diretta e fattiva collaborazione italo-slava, tutto fu inutile.<ref name="as"/> Egli rispose che avrebbe obbedito all'ordine diretto del suo superiore, anche se quest'ultimo era stato impartito sotto palese costrizione.<ref name="as"/> Allora a Spalato successe il caos, e l'intera [[Divisione (unità militare)|Divisione]] "[[Bergamo]]", priva di ordini chiari anche a causa delle sue incertezze,<ref>{{cita web|url=http://www.anpi.it/storia/125/la-divisione-bergamo-spalato-croazia|titolo=La divisione Bergamo: Spalato, Croazia|accesso=24 febbraio 2019|dataarchivio=24 febbraio 2019|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20190224173908/http://www.anpi.it/storia/125/la-divisione-bergamo-spalato-croazia|urlmorto=sì}}</ref><ref name=d4p7>{{Cita|de Bernart 1974|p. 7}}.</ref> fu facilmente disarmata dai [[Partigiani jugoslavi|partigiani]].<ref name=A1p15>{{Cita|Aga--Rossi, Giusti 2011|p. 15}}.</ref>
 
Il generale Becuzzi in seguitò affermò che la maggioranza dei soldati e degli ufficiali non fosse intenzionata a proseguire la [[guerra]] e quindi non avrebbe aperto il fuoco né contro i tedeschi né contro i partigiani<ref name=A1p144>{{Cita|Aga--Rossi, Giusti 2011|p. 144}}.</ref>. Circostanza smentita però dalle testimonianze di numerosi superstiti che sottolinearono che i [[Soldato|soldati]] protestarono rumorosamente e che moltissimo armamento individuale fu reso inservibile o gettato in mare pur di non essere consegnato, e come molti automezzi furono ribaltati e quasi tutti i [[Cannone|cannoni]] resi inservibili<ref name=A1p144-145>{{Cita|Aga--Rossi, Giusti 2011|pp. 144-145}}.</ref>. Soltanto il giorno 16 egli si decise a sottoscrivere l'accordo con i partigiani e gli [[Alleati della seconda guerra mondiale|ufficiali alleati]],<ref group=N>L'accordo fu sottoscritto dall'avvocato Ribar, del generale Popovic, del maggiore inglere Deakin, dal capitano inglese Burke, del capitano statunitense Benson.</ref> in cui risultava che le armi e il materiale militare erano state cedute spontaneamente, in cambio della fornitura di viveri ai militari e civili italiani presenti.<ref name="as"/> Inoltre i partigiani si impegnavano a chiedere agli alleati, ormai presenti in [[Puglia]], i mezzi per il rimpatrio degli italiani, cui veniva assicurata l'incolumità personale, salvo qualche elemento da considerarsi un [[criminale di guerra]].<ref name="as"/> La reazione tedesca fu immediata, e dopo un lancio di [[Volantino|manifestini]] diretti ai soldati della "Bergamo" in cui si invitavano i militari ad arrendersi e, soprattutto, si imponeva di non consegnare nessuna arma ai partigiani, il giorno 19, verso mezzogiorno, si verificò un improvviso e violento bombardamento effettuato dai [[cacciabombardiere|cacciabombardieri]] [[Junkers Ju 87 Stuka]] sui campi italiani di Spinut e Cappuccini, posizionati a [[nord]] della [[città]], ai piedi del monte Mariano, che provocò la [[morte]] di quasi 300 soldati italiani, mentre altrettanti rimasero feriti.<ref name="as"/>