Papa Gregorio VII: differenze tra le versioni

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Si ritiene che nel 1075 Gregorio VII scrisse il celebre ''[[Dictatus Papae]]'' ("Affermazioni di principio del papa"), una raccolta di ventisette proposizioni numerate, forse un documento programmatico o un indice di un'opera più ampia mai completata, ciascuna delle quali enuncia uno specifico potere o diritto del pontefice romano.<ref>{{cita|Barbero e Frugoni, 2001|p. 99}}.</ref><ref>{{cita|Fink, 1987|pp. 41-42}}.</ref> In realtà la data esatta di questo lavoro non è certa: la tradizionale collocazione nel 1075 deriva dal fatto che fu inserita fra due missive datate a marzo di quell'anno ma, sebbene non vi siano certezze in tal proposito, non vi sono nemmeno motivi che possano far ritenere tale datazione errata. Questo controverso documento esprime la visione teocratica di Gregorio VII: la superiorità dell'istituto pontificio su tutti i sovrani laici, imperatore incluso, è indiscussa, contrastando così il [[cesaropapismo]], ossia l'interferenza del potere politico nel governo della Chiesa. Secondo tale dettato, l'autorità del pontefice deriva direttamente da Dio «per grazia del principe degli apostoli» ([[San Pietro]]), ed è in virtù di questa grazia che il papa esercita il potere assoluto di legare e di sciogliere.<ref>{{cita|Barbero e Frugoni, 2001|p. 100}}.</ref><ref>{{cita|Ascheri, 2007|pp. 84-85}}.</ref><ref name="ReferenceB">{{cita|Salvatorelli, 1940|p. 94}}.</ref>
 
Secondo quanto emerge dal ''Dictatus'', il rapporto tra Stato e Chiesa doveva essere completamente capovolto rispetto allo ''status quo'': non era più l'imperatore ad approvare la nomina del papa, ma era il papa che aveva il diritto di conferire all'imperatore il suo potere ed, eventualmente, a revocarlo.<ref name="Rendina">{{cita|Rendina, 1983|pp. 316-322}}.</ref><ref group=N>«Egli comprese ch'era giunto il momento di portare a fondo l'attacco. Nel 1075 vietò a tutti i laici, pena la scomunica, d'investire un qualunque ecclesiastico. Poi formulò, in 27 proposizioni stringate, il ''Dictatus papae'', la sua concezione secondo la quale il pontefice aveva in terra potere assoluto ed era in grado di deporre gli stessi sovrani laici». In {{cita|Cardini e Montesano, 2006|p. 195}}.</ref> Sempre secondo le dichiarazioni espresse, l'obbedienza alla Chiesa deve essere assoluta, chi non si attiene a ciò viene praticamente considerato un [[eresia|eretico]] e quindi passibile di [[scomunica]].<ref>{{cita|Cantarella, 2005|pp. 143-144}}.</ref> Alcuni storici hanno evidenziato come lo spirito di questa legislazione sia un tentativo di recupero della dottrina delle due potenze istituita da [[papa Gelasio I]] nel [[V secolo]], secondo la quale tutta la cristianità, ecclesiastica e laica, doveva essere soggetta alla magistratura morale del Romano Pontefice;<ref group=N>In una lettera all'imperatore, [[papa Gelasio I]], affermò che «due sono, o imperatore augusto, i princìpi dai quali il mondo è retto, la sacra ''auctoritatis'' dei pontefici e la pubblica ''potestas'' regale.» In {{cita|Cantarella, 2005|p. 11}}.</ref> per Gregorio «[[teoria del Sole e della Luna|la dignità apostolica era il sole, quella regia la luna]]».<ref>{{cita|Cantarella, 2005|p. 11}}.</ref><ref>{{cita|Azzara, 2006|p. 58}}.</ref> Il ''Dictatus papae'', qualunque fosse la sua natura (documento programmatico o indice di un'opera più ampia), ben riassumeva i caratteri del processo già in atto, accelerato dalla politica di Gregorio VII, che tendeva alla trasformazione della Chiesa in una [[monarchia]] [[teocrazia|teocratica]] di fatto, con un forte potere centralizzato, a scapito dell'indipendenza delle diocesi.<ref>{{cita|Barbero e Frugoni, 2001|pp. 212-213}}.</ref><ref>{{cita|Duffy, 2001|pp. 152-153}}.</ref>
 
Nel 1076, Gregorio VII, nella sentenza di sospensione dei poteri di Enrico IV come re dei Romani e re d'Italia, applicherà gli articoli XII e XXVII del documento.<ref name="ReferenceB"/>