Una precedente relazione storica di s. Savino con la diocesi e Marca di Ivrea potrebbe essere individuata se le spoglie del santo patrono diocesano portate in città da Corrado, forse al tempo del vescovo Warmondo, fossero appartenute, in realtà, a [[Savino di Piacenza|Savino vescovo di Piacenza]]; il culto del quale, la sepoltura e le reliquie furono sempre comuni a quelle di [[Antonino di Piacenza|s. Antonino di Piacenza]] - altro [[Legione tebana|martire tebeo]] come [[San Besso|Besso]] e [[San Tegulo|Tegolo]] -. Il martirio di s. Antonino poté essere ambientato nella [[Val di Susa]]. A S. Michele della Chiusa, nel territorio della marca eporediese sino all'anno 941, era venerato s. Antonino ed era sita una chiesa a lui dedicata, ricordata sin dal 1029, donata nel 1043 dai marchesi di Torino ai canonici regolari di [[Saint-Antonin-Noble-Val]] poi dipendente dalla [[Sacra di San Michele]]<ref>Panzetti, ''Il culto di Giustina, Antonino e Savino'', p. 70: "la stessa vicenda di Antonino risulta funzionale a quella di Savino, il cui credito personale sarebbe aumentato in modo determinante appunto per aver avuto il privilegio, mediante ispirazione divina, di ritrovare il corpo santo del martire". Il martirio di Antonino a [[Travo]], in territorio dell'Abbazia di Bobbio, risale ad un'aggiunta alla sua biografia del XV secolo: Massari, Riva, ''Traduttori per miracolo'', p. 19; Mackie, ''Warmundus of Ivrea'', p. 254: "Warmundus was successful in his search for martyrs, acquiring from other communities the remains of four saints — Bessus, Tegulus, Dalmaticus and Savinus — as protectors for Ivrea". Savino, se collegato al santo spoletino, risulterebbe l'unico martire estraneo ai tebani nel culto warmondiano, poiché anche s. Dalmazzo nel X secolo fu attribuito alla Legione tebea. Su s. Dalmazzo e s. Antonino - martiri tebei venerati nella Marca di Ivrea - vedi: Alessio, ''I martiri tebei'', pp. 21, 29, 31-33 (presunto martirio di Antonino in Susa), 42, 52; Gherner, ''Il borgo medievale'', pp. 6-26. Bolgiani, ''La leggenda della legione tebea'', p. 336: "Intorno a Pinerolo, Saluzzo e Cuneo, le valli piemontesi si popolano così di presunte presenze e relativi martirii (e ovviamente reliquie) di Tebei, dando luogo a una vivace toponomastica e a devozioni d’ogni genere legate ai nomi di altrettanti Tebei, quali i vari Magno, Dalmazio, Costantino, Chiaffredo, Antonino, Giorio, Marbodo, Quinto, Valeriano, Abbondio, Asterio, Longino, Besso, Attilio, Defendente".</ref>. Sulle intime relazioni familiari di Corrado con l'ambiente piacentino, dove furono scoperte le reliquie di s. Antonino dal vescovo Savino, rammentiamo la sorella Berta, badessa di S. Sisto, il cugino Bosone d'Arles, vescovo di Piacenza (940-951), e la cognata Alsinda, nuora di Lanfranco conte di Piacenza (988-1009)<ref>Bougard, ''Entre Gandolfingi et Obertenghi'', pp. 28-29.</ref>. Infine Sigifredo, vescovo di Piacenza dal 997 (ma già eletto nel 988 e subito sostituito da Giovanni Filagato), della potente famiglia milanese dei da Besate - vassalli di Caresana e benefattori sia di S. Savino di Piacenza sia di S. Benigno di Fruttuaria - era consanguineo della moglie di Corrado, partecipando alla consacrazione di Fruttuaria, dopo aver rifondato intorno al 1000 il monastero piacentino di S. Savino.
Una crepuscolare memoria della traslazione delle reliquie di s. Savino nella Marca d'Ivrea "al tempo dei Galli imperatori" (franchi?) si ha nell'opera manoscritta ''Dell’antichità e nobiltà della città di Vercelli e delli fatti occorsi in essa e sua provintia, raccolti da Gio. Batta Modena Bichieri Can.co di essa città l’anno 1617'' ([[Istituto Universitario Salesiano Torino|Biblioteca del Pontificio Ateneo Salesiano di Torino]]), in riferimento alla prevostura di S. Savino, dipendente dall'Abbazia di Fruttuaria - strettamente collegata al monastero piacentino di S. Savino - nella pieve di ''Calliniascum'', presso Vercelli. Pur se il riferimenoriferimento vercellese alle reliquie saviniane non fosse da relazionare direttamente ad Ivrea, denoterebbe la diffusione del culto del vescovo di Piacenza, Savino, nell'area della Marca in epoca alto-medievale. Il fondatore di Fruttuaria, [[Guglielmo da Volpiano]], fu sino al 987 presente a Vercelli e nella vercellese [[San Genuario|Abbazia di S. Michele Arcangelo di Lucedio]], dove appena ventenne svolse le funzioni di scolastico, cellerario e ostiario<ref>Hlawitschka, ''Franken, Alemannen, Bayern und Burgunder'', pp. 112, 166, 252-253, 254, 288, 308; su Alsinda e il marito Giselberto II, conte palatino e di [[Bergamo]] vedi Bedina, ''Giselberto'', sub voce. Una ampolla del sangue di s. Antonino si conservava con le reliquie di s. Savino: Campi, ''Historia universale'', p. 127. Sul castello di [[San Maurizio]] di Ivrea, sede marchionale dalla fine del IX secolo, e la centralità di Ivrea nel culto dei martiri tebani vedi Destefanis, Uggé, ''Il culto dei martiri tebei'', pp. 30-32. Vedi anche Violante, ''Anselmo da Besate'', sub voce. Sulle strette relazioni liturgiche e culturali tra il monastero piacentino di [[Basilica di San Savino|S. Savino]] e quello canavesano di [[Abbazia di Fruttuaria|Fruttuaria]] vedi Musajo Somma, ''Una Chiesa dell’impero salico'', pp.120-123. Sulle relazioni dirette tra Fruttuaria - fondata da Guglielmo da Volpiano, figlio di un vassallo e parente degli Anscarici - e il monastero piacentino di S. Savino, dove è inumato il corpo di Savino, vedi Neiske, ''Fruttuaria'', p. 325: "Importante per la nostra problematica sono i nomi di più monaci provenienti da Fruttuaria, tra i quali Nitardo, il fratello di Guglielmo da Volpiano, e Suppone, l'abate di Fruttuaria. I nomi sono anche registrati nei necrologi di S. Savino di Piacenza e di [[Cattedrale di Digione|S. Benigno di Digione]]". Sulla dipendenza della prevostura vercellese di S. Savino da Fruttuaria vedi Olivieri, ''La signoria dell'ospedale di Sant'Andrea'', p. 118; sulle reliquie di Savino nella prevostura vercellese - a quaranta Km da Ivrea - vedi Dionisotti, ''Memorie storiche della città di Vercelli'', p. 181; sulla presenza nel Vercellese di Guglielmo da Volpiano - responsabile delle reliquie di Lucedio - e la sua parentela con gli Anscarici vedi Bulst, ''Ricerche sulle riforme monastiche'', pp. 12-14. Sulla distinzione delle reliquie di Savino di Spoleto (defunto i primi anni del IV secolo) - presenti anche a [[Fermo]] nel 598-602 e a [[Pavia]] intorno al 750 - da quelle di Savino, diacono milanese originario di Roma e vescovo di Piacenza - defunto nel 420 - vedi Picard, ''Le souvenir des évêques.'' pp. 650-651. Sul cranio di s. Savino di Spoleto conservato dalla fine del X secolo nel monastero cluniacense di [[Chiesa di Santa Maria del Priorato (Roma)|S. Maria in Aventino]] vedi Riccioni, ''L'autel-reliquaire de Sainte-Marie de l'Aventin à Rome'', pp. 216-219.</ref>. Il monastero di S. Savino di Piacenza - e le relative reliquie del santo - non furono un corpo estraneo alla Marca di Ivrea ma costituirono un "punto chiave dello sviluppo del monachesimo riformatore in alta Italia", in relazione a Guglielmo da Volpiano e Fruttuaria, "un progetto dunque, si potrebbe dire, per una società monastica, un progetto che, però, non giunse a compimento [...] nelle forme della vita monastica che avrebbero potuto preparare una costruzione federativa secondo il modello di Cluny"<ref>Cantarella, ''Recensione a: F. Neiske, Das ältere Necrolog des Klosters S. Savino in Piacenza'', pp. 347-348. Il primo ritorno nella Marca di Ivrea di Guglielmo si pone nel 995, Bulst, ''Ricerche sulle riforme monastiche'', pp. 97-99: "Sulla via del ritorno si ammalò per ben due volte: prima nel monastero di [[Santa Cristina e Bissone|S. Cristina Olona]], dove vi era come abate un discepolo di Maiolo, e successivamente a Vercelli. Lì arrivarono i suoi tre fratelli, Goffredo, Nitardo e Roberto, per assisterlo e portarlo nei loro possedimenti situati nelle vicinanze, a Volpiano. Quando Guglielmo guarì, essi gli proposero di costruire un monastero sul suolo natio, finanziato grazie alle donazioni di parenti e di alcuni signori dei dintorni [...]. Alle richieste dei fratelli si era aggiunta quella di un loro parente, il conte Ottone Guglielmo, il quale voleva donare un possedimento che aveva ereditato dal padre, il re Adalberto, proprio in quella zona". L’abbazia di S. Benigno e Tiburzio di Fruttuaria fu fondata nel 997 (e consacrata nel 1003) nel territorio di Volpiano: Provero, ''San Benigno Canavese''. In verità il testo del documento di conferma di Enrico II del 1014 riporta ''ex hereditate parentum et propinquorum suorum'' circa l'origine dei beni donati a Fruttuaria; quindi non si può escludere che tra gli stretti parenti o propinqui di Ottone si possa considerare il precedente proprietario Corrado Cono.</ref>.
Di certo, tra i beni donati a Fruttuaria da Anselmo da Volpiano, nipote di Guglielmo, quando entra nel monastero canavesano, si registra la presenza della villa e chiesa di San Savino, che costituirà la futura cella abbaziale, come ricordato dal privilegio del 18 aprile 1055 dell'imperatore [[Enrico III il Nero]]<ref name="ref_A" />.
|