Ultimo tango a Parigi: differenze tra le versioni

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Il film causò in Italia un forte scandalo per le numerose scene di sesso, in particolare per una scena di [[sesso anale]] nella quale il personaggio di Brando sodomizza la Schneider dopo averle lubrificato il retto con del burro. La sequenza in cui Brando e la Schneider consumano il loro primo rapporto include otto secondi, che vennero censurati, nei quali la Schneider "sembra abbia un orgasmo".<ref>{{Cita web | url=https://bibliotecastense.it/ultimo-tango-a-parigi/ | titolo=Ultimo tango a Parigi - Biblioteca Astense Asti | accesso=4 aprile 2022}}</ref>
 
Il 30 dicembre 1972 il film fu sequestrato per "esasperato pansessualismo fine a se stesso", e successivamente cominciò un iter giudiziario che portò il 2 febbraio 1973 a una sentenza d'assoluzione in primo grado; a seguito di ciò il film venne dissequestrato e proiettato nelle sale italiane e internazionali. Una prima condanna s'ebbe nel secondo processo d'appello (il primo, sempre con sentenza di condanna nel giugno del 1973, era stato annullato per un vizio di forma) il 20 novembre 1974, ma la definitiva sentenza arrivò il 29 gennaio 1976 da parte della [[Corte Suprema di Cassazione|Cassazione]], che condannò la pellicola alla distruzione; nella sentenza il produttore [[Alberto Grimaldi]], il regista Bernardo Bertolucci – entrambi difesi dall'avvocato [[Francesco Gianniti]] – lo sceneggiatore [[Franco Arcalli]] e Marlon Brando vennero condannati a due mesi di prigione con la [[sospensione condizionale della pena]]. Furono salvate fortunosamente alcune copie che oggi sono conservate presso la [[Cineteca Nazionale]], da conservare come corpo del reato. Per il regista ci fu una sentenza definitiva per offesa al comune senso del pudore, reato per il quale fu privato dei diritti politici per cinque anni e fu condannato a quattro mesi di reclusione con la sospesione[[sospensione condizionale della pena]].
 
Nell'ottobre 1982 la pellicola fu proiettata a Roma durante la rassegna cinematografica ''Ladri di cinema:'' il fatto costò agli organizzatori una denuncia. Questi, però, furono assolti nel processo penale che li vide imputati, e l'opera non fu più considerata proibita. Con il trascorrere del tempo e l'evolversi dei criteri di giudizio, le scene considerate inaccettabili persero peso nelle valutazioni della critica e del pubblico, mentre emerse e assunse importanza la sostanziale drammaticità dell'opera. Nel 1987, a distanza di undici anni dalla condanna della Cassazione, la censura riabilitò il film, permettendone la distribuzione nelle sale (Bertolucci stesso ne aveva conservato clandestinamente una copia) e in seguito anche il passaggio in TV.