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La parola deriverebbe dal verbo "To hack", che non indicava più l'attività di saldare circuiti dalle strane sembianze, bensì quella di comporre insieme vari programmi, con poco rispetto per quei metodi o procedure usate nella scrittura del software "ufficiale". Significava inoltre migliorare l'efficienza e la velocità del software già esistente che tendeva a ingolfare le risorse della macchina. È qui che successivamente si colloca una diversa radice del termine hacker, la forma sostantiva del verbo inglese "to hack" che significa "tagliare", "sfrondare", "infrangere", "ridurre", "aprirsi un varco", appunto fra le righe di codice che istruiscono i programmi software.<ref>[[Arturo Di Corinto]], Tommaso Tozzi, ''Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete'', 2002, Manifestolibri, ISBN 88-7285-249-8</ref>
Le origini del termine risalirebbero alla seconda metà del [[XX secolo]] e col tempo è diventato rappresentativo di una cultura e un'[[etica]] legata all'idea del [[software libero]]. Successivamente è stato utilizzato in senso generale anche per indicare individui che studiano e sperimentano la materia, per conoscerne i segreti e analizzarla in profondità. Dal punto di vista informatico, non è da confondere con i [[Cracker (informatica)|''cracker'']], o pirati informatici, il cui scopo è prettamente violare e danneggiare un sistema.<ref name=":0" />, cui si riferisce impropriamente il mondo giornalistico con il termine ''hacker''. Sebbene strettamente collegato al concetto vi sia il fenomeno dell{{'}}''[[hacking]]'', la maggioranza degli hacker preferisce utilizzare il termine [[Cracker (informatica)|cracker]] - qualcuno che volontariamente decide di violare un [[sistema informatico]] per rubarne o manomettere dei dati - per indicare quegli hacker che abusino delle proprie capacità.<ref>{{Cita libro|autore=Arturo Di Corinto|titolo=Un dizionario hacker|anno=2014|editore=[[Manni Editori]]|città=S. Cesario di Lecce|isbn=978-88-6266-516-2}}</ref>
== Storia ==
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