Francesco Guicciardini: differenze tra le versioni

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Alla morte di Leone X, avvenuta nel 1521, Guicciardini si trovò a contrastare l'[[assedio di Parma]], argomento trattato nella ''Relazione della difesa di Parma''. Dopo l'assunzione al papato di Giulio de' Medici, col nome di [[Clemente VII]], venne inviato a governare la [[Romagna]], una terra agitata dalle lotte tra le famiglie più potenti; qui Guicciardini diede ampio sfoggio delle sue notevoli abilità diplomatiche.
 
Per contrastare lo strapotere di [[Carlo V]], propagandò un'alleanza fra gli stati regionali allora presenti in Italia e la Francia, in modo da salvaguardare in un certo qual modo l'indipendenza della penisola. L'[[Lega di Cognac|accordo]] fu sottoscritto a [[Cognac (Charente)|Cognac]] nel [[1526]], ma si rivelò ben presto fallimentare; di questo periodo è il ''Dialogo del reggimento di Firenze'', in due libri, scritti fra il 1521 e il 1526, in cui si ripropone il modello della repubblica aristocratica; nel [[1527]] la Lega subì una cocente disfatta e [[Roma]] fu messa al [[sacco di Roma (1527)|sacco]] dai [[Lanzichenecchi]], mentre a Firenze veniva instaurata (per la terza ed ultima volta) la [[Repubblica fiorentina|repubblica]]. Coinvolto in queste vicissitudini, e visto con diffidenza dai repubblicani per i suoi trascorsi medicei, si ritirò in un volontario esilio nella sua [[villa di Finocchieto]], nei pressi di Firenze. Qui compose due orazioni, l{{'}}''Oratio accusatoria'' e la ''defensoria'', ed una ''Lettera Consolatoria'', che segue il modello dell{{'}}''oratio ficta'', nella quale espose le accuse imputabili alla sua condotta con le adeguate confutazioni, e finse di ricevere consolazioni da un amico. Nel 1529 scrisse le ''[[Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli|Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la prima deca di Tito Livio"]]'', in cui accese una polemica nei confronti della mentalità pessimistica dell'illustre concittadino. In questi mesi completa anche la redazione definitiva dei ''Ricordi''.
 
Dopo la confisca dei beni, nel [[1529]] lasciò Firenze e ritornò a Roma, per rimettersi di nuovo al servizio di Clemente VII, che gli offrì l'incarico di diplomatico a [[Bologna]]. Dopo il rientro dei Medici a Firenze ([[1531]]), fu accolto alla corte medicea come consigliere del [[Granducato di Toscana|duca]] [[Alessandro de' Medici, duca di Firenze|Alessandro]] e scrisse i ''Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro''; non fu tenuto tuttavia in altrettanta considerazione dal successore di Alessandro, [[Cosimo I de' Medici|Cosimo I]], che lo lasciò in disparte. Guicciardini allora si ritirò nella sua villa di Santa Margherita in Montici ad [[Arcetri]], dove trascorse i suoi ultimi anni dedicandosi alla letteratura: riordinò i ''Ricordi'' politici e civili, raccolse i suoi ''Discorsi politici'' e soprattutto scrisse la ''Storia d'Italia''. Morì ad [[Arcetri]] nel [[1540]], quando da circa due anni si era ormai ritirato a vita privata.
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L'opera districa la rete attorcigliata della politica degli [[Antichi stati italiani#XV secolo|stati italiani]] del [[Rinascimento]] con pazienza ed intuito. L'autore volutamente si pone come spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati eccellenti come analista e pensatore (anche se più debole è la comprensione delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo).
 
Guicciardini è l'uomo dei programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui al saggio è richiesta la ''discrezione'' (''Ricordi'', 6), ovvero la capacità di percepire "con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si determina la varietà delle circostanze.<ref>"È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente, e assolutamente e , per dire così, per regola, perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle ''circunstanze'', le quali non si possono fermare con una medesima misura: e queste distinzione e eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la ''discrezione''. ("Ricordi", 6).</ref> La realtà non è quindi costituita da leggi universali immutabili come per [[Machiavelli]]. Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è il ''particulare'' (''Ricordi'', 28) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e dello stato.<ref>[[Natalino Sapegno]], ''Compendio di storia della letteratura italiana'', La Nuova Italia, Firenze, 1963, pp. 94-97.</ref> In altre parole il ''particulare'' non va inteso egoisticamente, come un invito a prendere in considerazione solamente l'interesse personale, ma come un invito a considerare pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica situazione in cui si trova (pensiero che collima con quello di [[Nicolò Machiavelli|Machiavelli]]).<ref>"Nondimeno el grado che ho avuto con più pontefici, m'ha necessitato a amare per el ''particulare'' mio la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto, arei amato Martino Luther quanto me medesimo: non per liberarmi dalle legge indòtte dalla religione cristiana nel modo che è interpretata e intesa communemente, ma per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o sanza vizi o sanza autorità".("Ricordi", 28).</ref>
 
In netta polemica con Francesco Guicciardini, per alcuni passi della ''Storia d'Italia'', Jacopo Pitti scrisse l'opuscolo ''Apologia dei Cappucci'' (1570-1575), a difesa della fazione dei democratici, soprannominati i ''Cappucci''.