Massimo d'Azeglio: differenze tra le versioni

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Si cimentò anche come scrittore; in linea con la temperie romantica, a cui si era mostrato fedele già nei quadri, scrisse il romanzo storico ''[[Ettore Fieramosca (romanzo)|Ettore Fieramosca]]'' (1833) ispirandosi quindi anche in letteratura al [[Ettore Fieramosca|famoso protagonista]] della [[Disfida di Barletta|disfida barlettana]]. Nel [[1834]] fu tra i primi frequentatori della casa di [[Clara Maffei|Clara]] e [[Andrea Maffei (poeta)|Andrea Maffei]] in via Tre Monasteri, nel primo embrione del [[Salotto Maffei|salotto]] che avrebbe animato i successivi decenni della vita artistica e politica milanese.<ref>D. Pizzagalli, ''L'amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento'', Milano 2004, pp. 16-17</ref> Il 24 agosto [[1835]] sposò in seconde nozze Luisa Maumary, vedova del proprio zio Enrico Blondel, che era fratello di [[Enrichetta Blondel|Enrichetta]], prima moglie di Manzoni.
 
Già pittore fin da giovanissimo, «scrittore di poemi cavallereschi e tragedie senza importanza»<ref>{{cita pubblicazione |nome= Elda Di Benedetto (a cura di) |titolo=Massimo D'Azeglio, Ettore Fieramosca |rivista=Narrativa per la scuola media |editore=Giunti Marzocco |città=Firenze |anno= 1986|numero= seconda di copertina |id= |pmid= |url= |lingua= |accesso= |abstract= }}</ref> dopo avere acquistato risonanza notevole con romanzi storici quali ''Ettore Fieramosca'' e ''[[Niccolò de' Lapi, ovvero i Palleschi e i Piagnoni]]'' troviamo, postumo, ''I miei ricordi''. L'ideale politico di D'Azeglio si intravede nelle sue opere e a volte il suo credo riguardo all'Italia nascente come nazione appare ben dichiarato: «abbatter la forza senza la forza, la violenza senza violenza, la frode senza frode», fare un tipo di guerra «senza sparger goccia di sangue».<ref>{{cita pubblicazione |nome=Massimo |cognome=D'Azeglio |titolo= Siamo "nazione" da "Lutti di Lombardia", 1848|rivista=[[Achille Pellizzari]], ''Dai secoli''. Pagine di arte e di vita |editore=F.Perrella |città= Napoli|anno= 1911|mese=Giugno|pp= 774 - 777|lingua= it }}</ref> Dei suoi romanzi, è stato scritto, riportando una critica di [[Attilio Momigliano]], che «sembrano una ancora torbida preparazione dei ''Ricordi''»<ref name="romanzo">[[Vittore Branca]], Umanità del realismo romantico, sta in ''Il Ponte'', II, 1946, pp 317 e sgg., integrato col testo di una conferenza tenuta all'Università di Zagabria nel 1960. Sta in Vittore Branca e Cesare Galimberti, ''Civiltà letteraria d'Italia'', vol.III, Sansoni 1964,, pp. 449 - 457</ref> e, a proposito del romanzo storico dell'epoca «([[Tommaso Grossi|Grossi]], [[Ignazio Cantù|Cantù]], [[Giuseppe Rovani|Rovani]], e un po' appartati [[Francesco Domenico Guerrazzi| Guerrazzi]] e D'Azeglio...) più contenutisticamente aperto ai ricalchi dei ''Promessi Sposi'' (...), che fu in realtà il più lontano, il più insensibile all'umanissima ispirazione manzoniana. (...) Si ha quasi l'impressione di essere in una fase precedente e non seguente ai ''Promessi Sposi''».<ref name="romanzo" />
 
Tornò poi a Torino, dove cominciò a interessarsi di politica attraverso il re [[Carlo Alberto]], con approccio [[liberalismo|liberale]] moderato.
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Dopo un viaggio in Romagna, avvenuto nel settembre 1845 con l'intento di raccogliere il consenso dei liberali sulla figura di Carlo Alberto per ottenere l'indipendenza italiana, scrisse ''Degli ultimi casi di Romagna'', in cui critica un'insurrezione che era stata tentata a Rimini.
 
Nel [[1848]], il colonnello d'Azeglio fu in prima linea nelle operazioni militari che coinvolsero il settentrione orientale della penisola. Si distinse come capo della difesa di [[Vicenza]], in una missione militare condotta con grande coraggio. Il 10 giugno, ripiegando da [[Monte Berico]], ridotto con una manciata di uomini e munizioni a fronte di un esercito austriaco molto più equipaggiato, fu ferito al ginocchio destro.<ref>N. Bianchi, ''Lettere inedite di Massimo d'Azeglio al marchese Emanuele d'Azeglio'', Torino 1883, p. 122</ref> Si diresse in seguito verso [[Ferrara]], sofferente e col timore di essere arrestato e quindi confinato, con ogni probabilità, in [[Moravia]]. Assistito dal Cardinal Legato [[Luigi Ciacchi]], rimase a Ferrara due settimane, prima di recarsi a [[Bologna]], dove soggiornò per tutto il mese di luglio.
 
Il 26 giugno, intanto, era stato eletto a deputato del [[Parlamento Subalpino]], per il collegio di [[Strambino]]. Ad agosto era a [[Firenze]], presso villa La Scalère. Nonostante fosse ancora convalescente, si impegnò attivamente alla diffusione delle proprie idee scrivendo articoli per ''[[La Patria (1847)|La Patria]]''. Verso la fine di novembre partì per rientrare a Torino, con l'intenzione di partecipare ai lavori del Parlamento. Durante il tragitto fu costretto a fermarsi diversi giorni a [[Genova]], colpito da un attacco di febbre. Il 10 dicembre ricevette una chiamata ufficiale del [[Carlo Alberto di Savoia|Re]], che voleva affidargli la [[Presidenza del Consiglio]] del [[Regno di Sardegna]], ma d'Azeglio declinò l'incarico durante l'udienza regale del 14.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 27-32</ref> Al suo posto fu [[Vincenzo Gioberti]] ad assumere l'incarico.
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Venne il Capodanno del [[1859]], e gli eventi che portarono nel giro di due anni all'unità nazionale cominciarono a prendere una direzione precisa. Napoleone III ruppe con l'Austria, suscitando una vasta eco in Italia. D'Azeglio era a Firenze, sempre intenzionato a restare ormai in disparte, ma le novità lo indussero a tornare in azione. Il 13 gennaio [[Francesco Arese Lucini (senatore)|Francesco Arese]] lo avvisò della possibile invasione austriaca del Piemonte.<ref>G. Carcano, cit., p. 457</ref> Il 18 lasciò Firenze, dopo aver scritto a Cavour manifestandogli la propria adesione. Quel giorno, a Torino, la Francia firmava il trattato con cui si impegnava a intervenire in difesa dei piemontesi qualora fossero stati invasi dalle forze austriache. Il Presidente del Consiglio accolse naturalmente con favore le parole di d'Azeglio, e non tardò a fargli sapere in una missiva del 21 come Vittorio Emanuele fosse altrettanto lieto di una sua nuova discesa in campo.<ref>L. Chiala, cit., III, p. 17</ref>
 
Il pretesto per andare a Roma e sondare segretamente la situazione fu offerto dal conferimento del collare dell'[[Ordine supremo della Santissima Annunziata]] a [[Edoardo VII del Regno Unito|Edoardo]], figlio della regina [[Vittoria d'Inghilterra]] e principe ereditario. Azeglio, che aveva trascorso un mese a Genova, partì alla fine di febbraio. Il 24 giunse a [[Livorno]], poi fece tappa a [[Siena]], quindi arrivò a Roma, ospite dell<nowiki>{{'</nowiki>}}''Hôtel d'Angleterre''. Il 5 marzo, si legge nei diari privati del principe inglese, «il Marchese d'Azeglio, celebre uomo di Stato e soldato del Regno di Sardegna venne a darmi l'investitura del collare dell'Annunziata in nome del Re di Sardegna, che mi aveva fatto l'onore di conferirmelo».<ref>Il passo è riportato nella biografia di Sidney Lee, ''King Edward VII, Biography'', London, Macmillan, 1925, vol. I, p. 60</ref>
 
A Roma fu ricevuto anche dal pontefice [[Papa Pio IX|Pio IX]], a cui portò i saluti di Vittorio Emanuele, e chiuse così gli impegni ufficiali che lo avevano portato nell'Urbe. Ora, «in visite di società [[...]] andava mascherando la parte del cospiratore». Nel frattempo Napoleone stava perdendo interesse per la causa italiana, e il colloquio che Cavour riuscì a ottenere il 29 marzo con l'imperatore e il ministro degli Esteri [[Alexandre Colonna Walewski|Walewski]] non produsse l'effetto sperato. Cavour, allora, decise di seguire il consiglio del nipote, Emanuele d'Azeglio, allora ambasciatore sardo a Londra, che gli suggerì di inviare lo zio in missione diplomatica a Parigi e Londra.<ref>M. de Rubris, cit., pp. 188-189</ref> Il 1º aprile d'Azeglio viene raggiunto a Roma da un dispaccio di [[Alfonso La Marmora|La Marmora]] che «all'una dopo mezzanotte» lo richiamava urgentemente a Torino, dove il sovrano voleva incontrarlo al più presto per comunicargli l'importante incarico.<ref>L. C. Bollea, ''Una silloge di lettere del Risorgimento'', Torino, Bocca, 1919, p. 54</ref>
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=== Gli ultimi anni ===
 
[[Massoneria in Italia|Massone]], durante le elezioni massoniche del 23 maggio [[1864]], che ebbero luogo a Firenze nel tempio della [[Loggia massonica|loggia]] ''Concordia'' e che videro [[Giuseppe Garibaldi]] eletto come [[Gran maestro]] del [[Grande Oriente d'Italia]], con 45 voti su 50 delegati votanti, un voto andò a Massimo D'Azeglio<ref>Vittorio Gnocchini, ''L'Italia dei Liberi Muratori'', Erasmo ed., Roma, 2005, pp. 263-264.</ref>. Nonostante la sua appartenenza alla Massoneria, d'Azeglio rimase sempre convintamente [[Chiesa cattolica|cattolico]]<ref>Fatto comunque non incredibile all'epoca: lo stesso reazionario [[Joseph de Maistre|de Maistre]] fu affiliato ad una loggia massonica conservatrice</ref>.
 
Durante gli ultimi anni di vita, trascorsi sul [[lago Maggiore]], si dedicò alla stesura delle sue memorie, pubblicate postume con il titolo ''I miei ricordi'' nel [[1867]]. Massimo D'Azeglio morì in via Accademia Albertina<ref>{{cita libro|capitolo=Nota biografica|nome=Matteo|cognome=Ricci|titolo=I miei ricordi|url=https://archive.org/details/imieiricordi01riccgoog|anno=1899|editore=G. Barbèra|città=Firenze|p=[https://archive.org/details/imieiricordi01riccgoog/page/n119 104]}} Abitava infatti in via Accademia Albertina 2, come rivelato da una lettera alla moglie del 12 ottobre 1865</ref> a Torino nel 1866, e le sue spoglie sono conservate nella parte storica (porticato) del [[Cimitero monumentale di Torino]].