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Da queste considerazioni deriva una difficoltà. Resta infatti dubbio che tali "condizioni soggettive del pensiero" abbiano una validità oggettiva. Il fatto, ad esempio, che l'essere umano sintetizzi la conoscenza nei termini del [[principio di causalità]] in nulla prova che tale rappresentazione debba essere anche un contenuto delle apparenze stesse, né a tale scopo è possibile addurre prove dedotte dall'esperienza; "è quindi ''a priori'' incerto, se un tale concetto non sia forse del tutto vuoto e non ritrovi da nessuna parte un oggetto tra le apparenze. [...] In effetti, le apparenze potrebbero forse essere costituite in modo tale, che l'intelletto non le trovasse affatto conformi alle condizioni della sua unità. [...] Le apparenze offrirebbero ciò nondimeno oggetti alla nostra intuizione, poiché l'intuizione non ha in alcun modo bisogno delle funzioni del pensiero"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 146|Colli}}.</ref>. Per contro, l'evidenza offerta dalla sola esperienza, fatta di regolarità in certe apparenze, può fondare una regola, ma non la sua necessità e universalità. L'[[induzione]] offre un genere di "universalità [puramente] comparativa, cioè una diffusa applicabilità"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 147|Colli}}.</ref>.
Nel §14, Kant ribadisce l'istanza deldell'[[idealismo trascendentale]] ("è la rappresentazione soltanto che rende possibile l'oggetto"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 148|Colli}}.</ref>) e torna ad estendere ai concetti puri l'ipotesi che anch'essi facciano parte di quel complesso di condizioni formali dell'esperienza. A questi fini, Kant rimarca: "La validità oggettiva delle categorie come concetti ''a priori'' si fonderà [...] sul fatto che l'esperienza (secondo la forma del pensiero) è possibile soltanto attraverso di esse"<ref name=colli149>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 149|Colli}}.</ref>. In tal senso, l'indagine condotta nel segno della deduzione trascendentale dovrà dimostrare le categorie come "condizioni ''a priori'' della possibilità dell'esperienza"<ref name=colli149/>. Resta fermo che questo rendere possibile l'oggetto va inteso in questi termini: solo la natura degli oggetti per come ci sono dati e per come li pensiamo, e non la loro esistenza, dipende dalla rappresentazione che ce ne facciamo. Kant, insomma, rifiuta ogni [[fenomenismo]].<ref name=buroker105/> D'altro canto, Kant riconosce in [[Locke (filosofo)|Locke]] e [[Hume]] due precursori nel tentativo di operare una deduzione trascendentale, osservando però che l'assenza di un'adeguata riflessione critica ha impedito a "questi due uomini rinomati" di avere successo. Infatti, "il primo spalancò le porte alla stravaganza della fantasia (''Schwärmerei''), poiché la ragione, una volta che abbia dei diritti dalla sua parte, non si lascia più tenere imprigionata da vaghe raccomandazioni di moderatezza; il secondo si arrese totalmente allo scetticismo, credendo di aver una buona volta scoperto un'illusione così generale – che era stata considerata come ragione – della nostra facoltà di conoscenza"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 149-151|Colli}}.</ref>.<ref>{{cita|Marcucci|p. 88}}.</ref> E nello stesso passaggio Kant, contro Hume, chiama emblematicamente l'intelletto "autore dell'esperienza"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 150|Colli}}.</ref>.
Per una riuscita deduzione trascendentale, Kant dovrà dunque dimostrare che, come spazio e tempo sono condizioni trascendentali perché un oggetto possa essere intuito, le categorie sono condizioni trascendentali perché un oggetto possa essere pensato. Le categorie, come "concetti di un oggetto in generale", sono differenziazioni di un più generale concetto dell'oggetto. Scrive Kant al proposito:
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