Logica trascendentale: differenze tra le versioni

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====La deduzione trascendentale nella seconda edizione====
Gli studiosi generalmente dividono la deduzione trascendentale della seconda edizione in una prima parte (§§15-20) e in una seconda (§§21-26). Il primo passaggio punta a dimostrare che l'intelletto umano applica necessariamente le categorie ad ogni oggetto (''Objekt'') di giudizio, per ogni oggetto dato in una intuizione in generale (questa è la validità oggettiva delle categorie, cioè il fatto che esse siano richieste per pensare). Il secondo passaggio punta a dimostrare invece che le categorie sono applicate necessariamente ad ogni oggetto d'esperienza (''Gegenstand''; è questa invece la realtà oggettiva delle categorie).<ref>{{cita|Buroker|pp. 116-117}}.</ref>
{{...|filosofia}}
 
Nel §15 (''Sulla possibilità di una congiunzione in generale''), Kant assesta un punto fondamentale della sua teoria della conoscenza: il molteplice dell'intuizione è dato senza essere unificato. È piuttosto la produzione intellettuale di rappresentazioni complesse che offre questa unificazione (o sintesi).<ref name=buroker117>{{cita|Buroker|p. 117}}.</ref>
{{citazione|[...] la congiunzione (''conjunctio'') di un molteplice in generale non può mai entrare in noi attraverso i sensi, e quindi non può neppure essere già contenuta nella forma pura dell'intuizione sensibile. In effetti, tale congiunzione è un atto della spontaneità della capacità di rappresentazione, e poiché tale spontaneità, per distinguerla dalla sensibilità, occorre chiamarla intelletto, allora ogni congiunzione [...] è un atto dell'intelletto, che designeremo con la denominazione generale di sintesi, per fare così osservare, in pari tempo, che noi non possiamo rappresentarci alcunché come congiunto nell'oggetto, senza averlo noi stessi congiunto in precedenza, e che la congiunzione, fra tutte le rappresentazioni, è l'unica che non può essere data da oggetti, ma può essere costituita soltanto dal soggetto stesso [...].<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 152-153|Colli}}.</ref>}}
Peraltro, questi atti di sintesi sono sempre presupposti dall'analisi. Non si dà analisi che di ciò che è stato precedentemente sintetizzato.<ref name=buroker117/> Kant poi rimarca che l'unità concettuale va distinta dalla categoria dell'unità, in quanto l'unità del pensiero è presupposta dall'uso delle categorie nei giudizi. Infatti, la nozione stessa di funzione logica del giudizio presuppone l'unità.<ref name=burnham88>{{cita|Burnham e Young|p. 88}}.</ref> Il fondamento di questa unità va dunque cercato "più in alto":
{{citazione|[...] tutte le categorie si fondano su funzioni logiche nei giudizi: in queste peraltro è già pensata la congiunzione, e quindi l'unità di concetti dati. La categoria dunque presuppone già la congiunzione. Noi dobbiamo perciò cercare quest'unità più in alto [...], ossia [nel] fondamento della possibilità dell'intelletto.<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 155|Colli}}.</ref>}}
Con il §16 (''Sull'unità originariamente sintetica dell'appercezione'') inizia la deduzione vera e propria, con l'indicazione che quella ricerca "più in alto" deve sfociare nell'[[io penso]].
{{citazione|L'io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni, poiché altrimenti in me verrebbe rappresentato un qualcosa, che non potrebbe affatto venir pensato; o con espressione equivalente: poiché altrimenti o la rappresentazione risulterebbe impossibile, oppure, almeno per me, essa non sarebbe niente. [...] La rappresentazione: io penso [...] è un atto della spontaneità [...].<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 155-156|Colli}}.</ref>}}
L'espressione "io penso" non va scambiata per una sequenza di parole o una mera proposizione linguistica. Essa rappresenta piuttosto l'atto con cui mi rappresento come mia (e quindi come autocosciente) una rappresentazione.<ref name=burnham88/>
 
L'atto, di per sé non necessario, di accompagnare tutte le rappresentazioni corrisponde all'autocoscienza. Come scrive Buroker: "Nella misura in cui riconosco una rappresentazione come mia, me la ascrivo, e quindi devo essere cosciente di me stesso in quanto soggetto dello stato"<ref>{{cita|Buroker|pp. 118-119}}.</ref>. Anche nella seconda edizione, questa autocoscienza è chiamata da Kant "unità trascendentale dell'appercezione" (o "io penso"). L'io penso non è una rappresentazione derivata. Inoltre, non ha un contenuto distinto, non contiene un molteplice. L'io penso esprime la mera identità numerica del soggetto che pensa.<ref>{{cita|Buroker|p. 119}}.</ref> Scrive Kant:
{{citazione|[...] questa proposizione fondamentale dell'unità necessaria dell'appercezione [...] è essa stessa identica, ed è quindi una proposizione analitica, ma rivela tuttavia come necessaria una sintesi del molteplice dato in un'intuizione: senza tale sintesi non può venir pensata quell'ininterrotta identità dell'autocoscienza. In effetti, mediante l'io, in quanto rappresentazione semplice, non viene dato alcun molteplice; nell'intuizione, che è differente dall'io, il molteplice può essere soltanto dato, e attraverso la congiunzione in una sola coscienza esso può venir pensato. Un intelletto, in cui tutto il molteplice fosse dato simultaneamente dall'autocoscienza, intuirebbe: il nostro intelletto può soltanto pensare, e deve cercare l'intuizione nei sensi.<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 160-161|Colli}}.</ref>}}
Condizione per il riconoscimento dell'identità dell'io davanti alle rappresentazioni è l'effettuazione di sintesi di rappresentazioni complesse. È in questo senso che Kant dice che l'io penso "contiene una sintesi":<ref name=buroker120>{{cita|Buroker|p. 120}}.</ref>
{{citazione|[...] questa ininterrotta identità dell'appercezione di un molteplice dato nell'intuizione contiene una sintesi delle rappresentazioni, ed è possibile soltanto mediante la coscienza di questa sintesi.<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 157-158|Colli}}.</ref>}}
Il §16 si conclude con l'affermazione che l'appercezione, al pari dei concetti, ha un'unità analitica e un'unità sintetica. L'unità analitica di un concetto è l'unità che il concetto offre alle rappresentazioni in quanto ''nota communis''. Le rappresentazioni così unite mantengono però pur sempre qualcosa di differente. Ad esempio, il concetto di gatto unisce diverse rappresentazioni di diversi gatti, ma astrae da ciò che distingue questi gatti. Per rappresentarmi però l'oggetto complesso (completo cioè della ''nota communis'' e di altre rappresentazioni), devo prima rappresentarmi l'unità dell'oggetto complesso.<ref name=buroker120/> Scrive Kant:
{{citazione|[...] se io penso il rosso in generale, mi rappresento in tal modo una proprietà, la quale (come segno distintivo) può essere ritrovata in qualcosa, o può essere congiunta con altre rappresentazioni: quindi, solo in base ad una possibile unità sintetica, pensata prima, io posso rappresentarmi quella analitica. Una rappresentazione, che debba venir pensata come comune a differenti rappresentazioni, è considerata come appartenente a rappresentazioni tali che possiedano in sé, oltre ad essa, anche qualcosa di differente: di conseguenza, essa deve venir pensata anteriormente in unità sintetica con altre rappresentazioni (sebbene solo possibili), prima che io possa pensare riguardo ad essa l'unità analitica della coscienza, che fa di essa un ''conceptus communis''.<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 158-159, nota 1|Colli}}.</ref>}}
L'unità sintetica del concetto è più rilevante dell'unità analitica, in quanto è presupposta da quest'ultima.<ref name=buroker121>{{cita|Buroker|p. 121}}.</ref> Ora, anche l'io penso ha un'unità analitica e un'unità sintetica secondo le stesse caratteristiche. L'io penso che accompagna tutte le rappresentazioni funziona analogamente alla ''nota communis''. Oltre all'unità analitica che adduce, in quanto astratta dal contenuto, essa però adduce anche un'unità sintetica, in quanto la sintesi di rappresentazioni è necessaria all'autocoscienza.<ref name=buroker121/>
 
Nel §17 (''La proposizione fondamentale dell'unità sintetica dell'appercezione è il principio supremo di ogni uso dell'intelletto''), Kant stabilisce quello che Allison ha chiamato la "tesi della reciprocità", secondo la quale ogni istanza dell'io penso comporta la rappresentazione di un oggetto o di uno stato di cose e, reciprocamente, ogniqualvolta il soggetto si rappresenta un oggetto, congiunge rappresentazioni nell'unità sintetica dell'appercezione. Questo atto, come verrà chiarito nel §19, è il giudizio.<ref name=buroker121/> In altre parole, l'unificazione di un molteplice attraverso un concetto offre validità oggettiva a quel molteplice in quanto lo rende un oggetto pensabile. Il puro molteplice non è dunque un oggetto, non può essere pensato e non rappresenta dunque conoscenza.<ref>{{cita|Buroker|p. 122}}.</ref>
 
Nel §18 (''Che cosa sia l'unità oggettiva dell'autocoscienza''), Kant tra un'unità delle rappresentazioni che sia soltanto soggettiva da una che sia oggettiva. Mentre quest'ultima è l'unità nel pensiero di un oggetto, la prima è l'unità in quanto prodotto di una mera [[Associazione (psicologia)|associazione]] tra rappresentazioni, quella che Hume aveva accostato al principio di congiunzione costante. Kant chiama questa unità soggettiva "una determinazione del senso interno"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 166-167|Colli}}.</ref>. Una tale connessione non è concettuale e non rappresenta un oggetto.<ref>{{cita|Buroker|pp. 123-124}}.</ref>
 
Nel §19 (''La forma logica di tutti i giudizi consiste nell'unità oggettiva dell'appercezione dei concetti in essi contenuti''), Kant sostiene che rappresentarsi un oggetto è in sostanza giudicare.<ref>{{cita|Buroker|p. 124}}.</ref>
 
===Analitica delle proposizioni fondamentali===