Logica trascendentale: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 352:
Nel §19 (''La forma logica di tutti i giudizi consiste nell'unità oggettiva dell'appercezione dei concetti in essi contenuti''), Kant sostiene che rappresentarsi un oggetto è in sostanza giudicare. A questo proposito, egli si dichiara insoddisfatto della tradizionale definizione di giudizio offerta dai logici ("rappresentazione di un rapporto tra due concetti"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 168|Colli}}.</ref>), adatta al più ai giudizi categorici (mentre, ad esempio, i giudizi ipotetici e disgiuntivi mettono in rapporto altri giudizi<ref name=colli127/>). Per quanto esistano certamente giudizi empirici, di natura contingente, essi hanno comunque un'unità oggettiva, in quanto si riferiscono a oggetti o a stati di cose, e possono essere veri o falsi.<ref>{{cita|Buroker|pp. 124-125}}.</ref> Nel §19, l'unità oggettiva dell'autocoscienza è posta in relazione con l'unità oggettiva del giudizio: le condizioni dell'autocoscienza equivalgono alle condizioni della sintesi del molteplice (o concettualizzazione dell'oggetto).<ref name=gardner91/> Se, nel provare a sollevare un corpo e nell'esperirne il peso, attribuisco al corpo e al peso una relazione di mera associazione, non avrò che una sequenza di rappresentazioni; la formazione del giudizio "questo corpo è pesante" o persino "ogni corpo è pesante" connette le due rappresentazioni nell'oggetto: è questo il ruolo della copula ''è''. Scrive infatti Kant: "un giudizio non è altro se non il modo di portare conoscenze date all'unità oggettiva dell'appercezione"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 170|Colli}}.</ref>. Non tutti i giudizi oggettivi sono però universali e necessari: un giudizio può certo essere empirico e contingente.<ref name=kempsmith286/> Anche un giudizio empirico e contingente deve incorporare quei principi di determinazione oggettiva delle rappresentazioni che soli offrono conoscenza e ciò al pari dei giudizi di tipo scientifico.<ref name=kempsmith287>{{cita|Kemp Smith|p. 287}}.</ref>
 
Nel § 20 (''Tutte le intuizioni sensibili sono soggette alle categorie, come alle sole condizioni, sotto cui il molteplice di tali intuizioni possa raccogliersi in un'unica coscienza''), Kant mette in relazione giudizi e categorie, osservando che il molteplice dato in un'intuizione è determinato in relazione ad una delle funzioni logiche del giudizio e che le categorie sono queste stesse funzioni logiche del giudizio applicate al molteplice di un'intuizione. In altre parole, le categorie sono quelle stesse funzioni logiche del giudizio nel loro uso reale.<ref>{{cita|Buroker|p. 126}}.</ref> In questa sezione, Kant porta a compimento la dimostrazione avviata con §15; egli vi afferma infatti:
{{citazione|Il ''datum'' molteplice, che è fornito in un'intuizione sensibile, è necessariamente subordinato all'unità sintetica originaria dell'appercezione, poiché solo mediante tale unità è possibile l'unità dell'intuizione (§17). Ma quell'atto dell'intelletto, attraverso cui il molteplice di rappresentazioni date (si tratti di intuizioni oppure di concetti) viene riportato sotto un'appercezione in generale, è la funzione logica dei giudizi (§19).<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|pp. 171-172|Colli}}.</ref>}}
Riprendendo i risultati della deduzione metafisica, risulta che ogni molteplice portato ad unità è determinato rispetto ad una delle funzioni logiche del giudicare. Le categorie sono appunto quelle funzioni logiche in quanto determinano l'intuizione pura. Quindi, il molteplice di una data intuizione è soggetta alle categorie, che sono dunque necessariamente valide in relazione ad ogni molteplice dato.<ref>{{cita|Burnham e Young|pp. 92-93}}.</ref>
Riga 365:
 
Va peraltro detto che quando Kant scrive che il molteplice "è determinato riguardo ad una delle funzioni logiche di giudicare" cade in errore. I tre tipi di concetto puro, sotto i titoli di quantità, qualità e relazione, con i loro tre momenti, sono interdipendenti e vengono regolati da una [[permutazione]].<ref name=buroker127/>
 
I §§24-25 trattano il paradosso dell'autorappresentazione dell'io, che risulta inessenziale alla deduzione, sviluppata di nuovo già nel §25 e poi nei seguenti, fino al §26, che completa la seconda parte della deduzione. In questa seconda parte, Kant, nel tentativo di giustificare l'applicazione delle categorie agli oggetti intuiti, torna a illustrare il ruolo del tempo, che è la forma secondo cui intuiamo le nostre rappresentazioni. Alla sintesi figurativa è deputata l'immaginazione, che è "la facoltà di rappresentare un oggetto, anche senza la sua presenza, nell'intuizione"<ref>{{Cita|''Critica della ragione pura''|p. 185|Colli}}.</ref>.<ref>{{cita|Buroker|p. 128}}.</ref> L'immaginazione qui rileva perché ad essa tocca il compito di garantire l'unificazione del molteplice in rappresentazioni disposte in un unico tempo (risultato dell'[[estetica trascendentale]] è stato infatti che spazio e tempo sono degli interi, a prescindere da che, in una data rappresentazione, solo alcune loro regioni o porzioni sono considerate). La considerazione del tempo come forma del senso interno serve a connettere l'intuizione (considerata formalmente) all'io penso. In questo contesto, l'immaginazione è caratterizzata in forme anche contraddittorie (come qualcosa di appartenente alla sensibilità, anche se poi la sua sintesi è indicata come effetto dell'intelletto sulla sensibilità), quando forse è più appropriatamente da intendere come un potere separato, che funga da mediatrice tra sensibilità e intelletto.<ref>{{cita|Buroker|pp. 128-129}}.</ref>
 
===Analitica delle proposizioni fondamentali===