Debriefing: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Sistemo inserendo il template apposito.
m sistemazione fonti e fix vari
Riga 18:
 
*1. ''Introduzione'' (alla situazione ed al lavoro di gruppo)
 
*2. ''Discussione dei Fatti'' (ricostruzione degli eventi occorsi, attraverso le "narrazioni" e le prospettive multiple dei partecipanti)
 
*3. ''Discussione dei Pensieri/Cognizioni'' (che i partecipanti hanno avuto durante l'evento)
 
*4. ''Discussione delle Emozioni'' (condividendo quelle provate durante l'evento, e comprendendo così che è "legittimo e normale" sentirsi a disagio dopo un evento critico, e che anche altri colleghi possano aver avuto emozioni simili alle proprie)
 
*5. ''Discussione dei Sintomi'' (eventualmente provati nelle ore o nei giorni successivi all'evento critico)
 
*6. ''Fornire Informazioni'' (sulle reazioni post-traumatiche e su eventuali "punti di contatto" in caso di necessità personali future)
 
*7. ''Conclusione'' (che "chiude" l'esperienza, sfumando dopo - a volte - verso una chiusura anche informale - spesso bevendo e mangiando qualcosa insieme per rinsaldare i legami sociali di gruppo dopo l'evento critico e la "fatica emotiva" del Debriefing)
 
Riga 35 ⟶ 29:
 
== Efficacia e criticità del Debriefing ==
Fin dalla sua proposta iniziale, il Debriefing ha conosciuto rapido sviluppo ed un notevole successo nell'ambito della [[psicologia dell'emergenza]], arrivando ad esserne forse la tecnica operativa più conosciuta e diffusa. Verso la metà degli anni '90, il CISD era divenuto la tecnica standard per la gestione di eventi critici che coinvolgessero un gruppo più o meno strutturato di persone, e le ricerche sulla sua efficacia ed applicabilità divennero il ''mainstream'' della ricerca psicotraumatologica d'urgenza.
 
La maggior parte dei clinici lo riteneva un'importante tecnica di prevenzione dell'insorgenza di eventuali forme post-traumatiche nelle persone esposte ad incidenti critici.<ref name="ref_A" />
 
A partire dai primi anni del nuovo secolo, con la pubblicazione di alcuni importanti articoli di review e meta-analisi della sua efficacia, iniziarono ad essere sollevati dubbi sull'efficacia della tecnica nell'ottenere tale risultato: in molti casi, infatti, il suo profilo di efficacia nella prevenzione del [[PTSD]] risultava scarso se non nullo, ed in letteratura iniziarono ad essere discussi gli occasionali effetti iatrogeni della procedura stessa<ref>{{cita pubblicazione|titolo=Does early psychological intervention promote recovery from posttraumatic stress?|autore=Richard J McNally|autore2=Richard A Bryant|autore3=Anke Ehlers|rivista=Psychological Science in the Public Interest|volume=4|numero=2|anoanno=2003|pp=45-79|lingua=en}}</ref>.
 
Il bias prevalente nella ricerca precedente venne individuato proprio nell'"aspettativa magica" di molti clinici rispetto alla procedura del Debriefing, aspettativa legata ad un atteggiamento estremamente ottimistico rispetto alla tecnica stessa. Effettivamente, ritenere che una singola sessione di elaborazione gruppale di un gravissimo incidente critico, della durata media di 90 minuti, possa annullare il rischio di sviluppare a mesi di distanza un [[PTSD|disturbo post-traumatico]] in soggetti predisposti è indubbiamente molto ottimistico, ed in contrasto con i dati clinici [[psicotraumatologia|psicotraumatologici]], dati che sottolineano come, seppure il rischio di sviluppo di un [[PTSD]] sia comunque mediamente molto basso anche in coloro che presentano reazioni emotive patologiche nell'immediato post-evento, gli interventi clinico-preventivi efficaci non possano mai essere del tipo "one-shot" (occasionali), ma debbano essere al contrario molto più ampi e complessi (ad esempio, attraverso il ricorso ad una completa procedura [[CISM]])<ref>{{cita|L'assistenza psicologica nelle emergenze, 2002}}</ref>.