Secondo Scheler la ''consapevolezza'' del sé emerge solo gradualmente da un livello unipatico in cui vige un'originaria indistinzione fra Io e Tu, come quella del neonato nei confronti della madre. Questa emersione del sé riguarda tuttavia il piano conoscitivo: a emergere non è il sé in carne e ossa del neonato (come gli viene attribuito dadalla sua allieva <ref name="avvenire.it" /> [[Edith Stein]] in ''Il problema dell'empatia''), infatti il sé del neonato esiste già anche a livello unipatico come sé corporeo, bensì solo la ''consapevolezza del sé'', e questa emerge solo gradualmente all'interno di un processo in cui la messa a fuoco dell'alterità della madre procede di pari passo alla messa a fuoco del sé del neonato. Questo significa che il sé del neonato non è già pre-costituito, come nell'io-trascendentale di Husserl, ma si rivela come un sé enormemente ''plastico'', aperto e che nel muoversi ed esprimersi incomincia a organizzarsi attorno alla forma del corpo-vivo-psichico ("Leibschema") confrontandosi con la dimensione sociale. Nell'esperimento mentale proposto da Scheler, un [[Robinson Crusoe]], che vivesse in un'isola deserta senza fare esperienza della dimensione sociale del Tu, rimarrebbe privo di consapevolezza di sé, in una situazione simile a quella dell{{'}}''[[Il ragazzo selvaggio|enfant sauvage]]'' descritto da [[François Truffaut]]. La situazione di partenza della fenomenologia dell'[[alterità]] (e dell'[[empatia]], come atto con cui viene colta l'alterità in quanto alterità) non è pertanto l'identità del soggetto già costituita e consapevole di sé (l'inter-soggettività) ma il processo stesso d'individuazione, orientato in base alla funzione esemplare o controesemplare dell'espressività altrui.<ref>[https://www.phenomenologylab.eu/index.php/2010/10/espressivita-empatia-intersoggettivita/ ''Espressività, empatia, intersoggettività'']</ref> Nella prima versione del 1913 del saggio sulla ''Simpatia'' Scheler afferma la possibilità di percepire l'espressività altrui senza basarsi su di un argomento per analogia. «Nel sorriso altrui cogliamo direttamente la sua gioia, nelle lacrime il suo dolore, nel suo arrossire il suo senso di vergogna». Questa tesi fu successivamente fatta propria da Edith Stein nel saggio sulla ''Empatia'' del 1917<ref>Un confronto fra il testo di Scheler del 1913 e quello di Stein del 1917 è rintracciabile in: G. Cusinato, ''La Totalità incompiuta'', Milano 2008, 232-238</ref>. Negli ultimi anni fra gli studiosi più attenti della fenomenologia c'è un risveglio di interesse per le analisi di Scheler sull'alterità, come testimonia anche un recente libro di Gallagher e [[Dan Zahavi]] in cui, nel trattare la fenomenologia dell'alterità, viene dato largo spazio proprio a Scheler. Secondo Gallagher e Dan Zahavi particolarmente significative sarebbero le critiche di Scheler alle teorie che desumono l'alterità attraverso la simulazione o l'argomento per analogia.<ref>Gallagher/Dan Zahavi, ''La mente fenomenologica'', Milano 2009, p. 275-279.</ref>.
===L'ultima fase: la tesi delle ''ideae cum rebus'' e del Dio in divenire===