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Mentre però Cartesio si arenò nella duplice accezione di ''[[res cogitans]]'' e ''[[res extensa]]'', attribuendo assoluta volontà alla prima e passività meccanica alla seconda, [[Baruch Spinoza|Spinoza]] si propose di conciliarle in un'unica sostanza, riprendendo il tema stoico di un Dio immanente alla Natura, dove tutto avviene secondo necessità. La libera volontà dell'uomo dunque non è altro che la capacità di accettare la legge universale ineluttabile che domina l'universo.<ref>Spinoza, ''Ethica'', V, 3.</ref>
[[File:Gottfried Wilhelm von Leibniz.jpg|thumb|upright=1|Leibniz - dipinto di [[Christoph Bernhard Francke]]]]
==== Leibniz ====
[[Leibniz]] accettò l'idea della volontà come semplice autonomia dell'uomo, ossia accettazione di una legge che egli stesso riconosce come tale, ma cercando di conciliarla con la concezione cristiana della libertà individuale e della conseguente responsabilità.<ref>Egli sostenne infatti che «quando si discute intorno alla libertà del volere o del libero arbitrio, non si domanda se l'uomo possa far ciò che vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente indipendenza» (Leibniz, ''Nuovi saggi'', II, 21).</ref> Egli ricorse pertanto al concetto di [[monade]], ossia "centro di forza" dotato di una propria volontà, che sussiste insieme ad altre infinite monadi, tutte inserite in un quadro di [[armonia prestabilita]], la quale però non è dominata da una razionalità rigidamente meccanica. Si tratta di una razionalità superiore, voluta da Dio per un'esigenza di moralità, da comprendere in un'ottica [[finalismo|finalistica]], nella quale anche il male trova la sua giustificazione: come elemento che nonostante tutto concorre al bene e che ''all'infinito'' si risolve in quest'ultimo.