Ebrei statunitensi: differenze tra le versioni
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=== Affari internazionali ===
Il sionismo iniziò a diventare un movimento sempre meglio organizzato negli [[Stati Uniti d'America]] grazie al coinvolgimento di leader come [[Louis Brandeis]] e soprattutto a seguito della promessa britannica di concedere una [[Patria]] al popolo ebraico dichiarata solennemente con la [[dichiarazione Balfour (1917)|dichiarazione Balfour]] del 1917<ref>Melvin I. Urofsky, ''Louis D. Brandeis: A Life'' (2009) p. 515</ref>. Gli ebrei statunitensi organizzarono una vasta operazione di [[boicottaggio]] della merce tedesca nel corso degli [[anni 1930]] per protestare contro l'[[antisemitismo]] e le ''[[Leggi di Norimberga]]''.
Le politiche nazionali in direzione della [[Sinistra (politica)|sinistra politica]] attuate da [[Franklin Delano Roosevelt]] ricevettero un forte sostegno ebraico, così come anche la sua politica estera anti-nazista e la promozione dell'[[Organizzazione delle Nazioni Unite]]. L'appoggio all'[[ideologia]] sionista in questo periodo, pur crescendo in influenza, rimase un'opinione distinta di minoranza almeno fino al 1944-45, quando le prive notizie e relazioni concernenti l'assassinio sistematico degli ebrei europei nei territori occupati dai nazisti divennero di dominio pubblico con la liberazione dei [[Campo di sterminio|campi di sterminio]].
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Un ampio e vivo dibattito si sviluppò a partire dal [[conflitto arabo-israeliano]], soprattutto a seguito della [[guerra dei sei giorni]]; la comunità si divise in merito all'approvazione o meno della risposta israeliana: la gran maggioranza finì con l'accettare il confronto come necessario. La tensione esistette innanzitutto ta gli ebrei di sinistra, che videro Israele come troppo anti-sovietico e anti-palestinese<ref>Staub (2004)</ref>. Altri attriti furono suscitati dall'elezione di [[Menachem Begin]] nel 1977 e dalla crescita del [[sionismo revisionista]], dalla [[Guerra del Libano (1982)|guerra del Libano]] del 1982 e dalla continua occupazione della [[Cisgiordania]] e della [[Striscia di Gaza]]<ref>Roberta Strauss Feuerlicht. "The Fate of the Jews, A people torn between Israeli Power and Jewish Ethics". Times Books, 1983. {{ISBN|0-8129-1060-5}}</ref>.
Il dissenso sull'accettazione degli [[accordi di Oslo]] da parte d'Israele nel 1993 produsse un ulteriore divisione tra gli ebrei statunitensi<ref name="Ben-Moshe2007">{{Cita libro|autore=Ofira Seliktar|capitolo=The Changing Identity of American Jews, Israel and the Peace Process|curatore=Danny Ben-Moshe|curatore2=Zohar Segev|titolo=Israel, the Diaspora, and Jewish Identity|url=https://books.google.com/books?id=1bXETKMOI1cC&pg=PA126|accesso=20 gennaio 2016|anno=2007|editore=Sussex Academic Press|isbn=978-1-84519-189-4|p=126|citazione=The 1993 Oslo Agreement made this split in the Jewish community official. Prime Minister Yitzak Rabin's handshake with Yasir Arafat during the September 13 White House ceremony elicited dramatically opposed reactions among American Jews. To the liberal universalists the accord was highly welcome news. As one commentator put it, after a year of tension between Israel and the United States, "there was an audible sigh of relief from American and Jewish liberals. Once again, they could support Israel as good Jews, committed liberals, and loyal Americans." The community "could embrace the Jewish state, without compromising either its liberalism or its patriotism". Hidden deeper in this collective sense of relief was the hope that, following the peace with the Palestinians, Israel would transform itself into a Western-style liberal democracy, featuring a full separation between the state and religion. Not accidentally, many of the leading advocates of Oslo, including the Yossi Beilin, the then Deputy Foreign Minister, cherish the belief that a "normalized" Israel would become less Jewish and more democratic.<br />However, to some right wing Jews, the peace treaty was worrisome. From their perspective, Oslo was not just an affront to the sanctity of how they interpreted their culture, but also a personal threat to the lives and livelihood settlers, in the West Bank and Gaza AKA "Judea and Samaria". For these Jews, such as Morton Klein, the president of the Zionist organization of America, and Norman Podhoretz, the editor of ''Commentary'', the peace treaty amounted to an appeasement of Palestinian terrorism. They and others repeatedly warned that the newly established Palestinian Authority (PA) would pose a serious security threat to Israel.}}</ref>, il che rispecchiava la spaccatura del tutto simile tra gli stessi israeliani e che si verificò parallelamente anche all'interno della "[[
Abbandonando qualsiasi pretesa di unità entrambi i segmenti cominciarono a sviluppare organismi di avvocatura e di "lobbyng" separate. I sostenitori liberali degli accordi lavorarono attraverso l'"Americans for Peace Now", "Israel Policy Forum" e altri gruppi favorevoli al [[Partito Laburista Israeliano]]; cercarono di assicurare al [[Congresso degli Stati Uniti|Congresso degli Stati Uniti d'America]] che l'ebraismo statunitense supportava pienamente l'accordo e difese gli sforzi dell'amministrazione di [[Bill Clinton]] nei suoi tentativi di aiutare la neonata [[Autorità Nazionale Palestinese]], comprese le promesse di finanziamenti.
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