Utente:Facquis/Sandbox/Prova/Biennio nero: differenze tra le versioni

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=== L'espansione del fascismo (ottobre 1920 - maggio 1921) ===
 
==== I moti contadini ====
In [[Pianura Padana]] subito dopo la fine della [[prima guerra mondiale]], gli scioperanti del settore agricolo arrivarono nel 1920 a superare il milione.<ref name=":2">{{Cita|Crainz|p. 158}}.</ref> Contemporaneamente aumentarono anche le iscrizioni alle organizzazioni sindacali: [[Federterra]], legata al [[Partito Socialista Italiano]] (PSI), raggiunse gli {{M|800000}} iscritti, mentre la [[Confederazione italiana dei lavoratori]] (CIL), vicina al [[Partito Popolare Italiano (1919)|Partito Popolare Italiano]] (PPI), toccò i {{M|940000}} iscritti; principalmente [[Mezzadria|mezzadri]], ma anche piccoli proprietari e dipendenti.<ref name=":2" /> Le proteste organizzate tra il 1919 e il 1920 sia dalle leghe cattoliche "bianche", sia da quelle socialiste "rosse", raggiunsero un'intensità particolarmente elevata: distruzione dei raccolti, devastazione delle [[Casa colonica|ville coloniche]], richiesta di pagamento immediato degli stipendi arretrati.<ref>{{Cita|Crainz|p. 159}}.</ref>
 
Le leghe rosse esercitarono anche una forte pressione economica e sociale "[[Boicottaggio|boicottando]]" i piccoli proprietari che non aderivano alle proteste o loro disposizioni,<ref>"Questo sistema, nato quasi spontaneamente sull'onda delle lotte dei braccianti, non era privo di aspetti autoritari (chi si sottraeva alla disciplina della lega veniva "boicottato", in pratica bandito dalla comunità) e celava al suo interno non pochi motivi di debolezza." {{Cita|Sabbatucci, Vidotto|p. 78}}.</ref> impedendo loro ogni tipo di contatto sia sociale che economico con gli aderenti alle leghe.<ref>"Speciali tribunali di Federterra decidevano forme di boicotaggio che portavano al quasi totale isolamento di quanti erano colpiti dal provvedimento; costoro non riuscivano più ad acquistare alimenti o indumenti negli spacci delle cooperative socialiste, o a vendere alimenti o indumenti negli spacci delle cooperative socialiste, o a vendere alle cooperative i propri prodotti. In taluni casi gli fu persino negata l'assistenza medica." {{Cita|Reichardt|p. 174}}.</ref> Nei comuni guidati da amministrazioni socialiste le leghe rosse ottennero il monopolio della gestione del lavoro, mentre le cooperative furono in grado di imporre i prezzi delle derrate alimentari, gestire direttamente le imposte comunali (su immobili, attività produttive e famiglie) e concedere in affitto a chi volevano i terreni municipali.<ref>"Potevano disporre del ricavato di imposte localmente stabilite sugli immobili, sulle attività produttive e a carico delle famiglie, potevano concedere in affitto i terreni comunali, esercitare la sorveglianza sulle attività produttive, e avevano competenza in materia di piani regolatori e di assistenza sociale." {{Cita|Reichardt|p. 174}}.</ref> A questo clima oppressivo da parte delle leghe rosse nei confronti delle leghe bianche<ref>Un esempio di questa violenza avvenne il 18 settembre 1920, quando il coltivatore cattolico Arcangelo Solferini fu ucciso per non aver aderito alle disposizioni delle leghe rosse. {{Cita|Franzinelli|p. 295}}.</ref> e dei piccoli proprietari si oppose la dirigenza del PSI di ispirazione [[Socialdemocrazia|socialdemocratica]], che vedeva [[Giacomo Matteotti]] nel suo massimo esponente.<ref>"Inoltre nella valle Padana i coltivatori diretti, gli affittuari ed i mezzadri spesso si rivolsero contro i lavoratori giornalieri e si unirono alle squadre. A questo proposito è impossibile trascurare il contributo della violenza socialista alla formazione dello squadrismo agrario. A Ferrara almeno furono per lo più i piccoli affittuari a correre i maggiori pericoli; due furono uccisi ed altri tre feriti durante gli scioperi generali del luglio-agosto 1920. Anche nella pacifica provincia di Rovigo, dove Matteotti fece di tutto per ostacolare l'intimidazione, membri delle organizzazioni cattoliche contadine furono spesso assaliti." {{Cita|Lyttelton II|p. 45}}.</ref> In Romagna, dove il movimento repubblicano era più radicato rispetto a quello cattolico, le leghe socialiste si andarono spesso a scontrare con le "leghe gialle" affiliate al [[Partito Repubblicano Italiano]] (PRI) e costituite principalmente dai [[Mezzadria|mezzadri]] e dai piccoli proprietari.<ref>{{Cita|Crainz|p. 181}}.</ref>
 
==== Lo squadrismo agrario ====
[[File:Manifestazione_sqadrista_a_Roma.jpg|miniatura|Manifestazione delle squadre d'azione a [[Roma]]]]
[[File:Squadra_d'azione_Disperata_di_Firenze.jpg|miniatura|Squadra d'azione "[[Disperata]]" di [[Firenze]]]]
Dopo la sconfitta del movimento operaio, avvenuta nel settembre 1920 (con la fine dell'occupazione delle fabbriche), iniziò a svilupparsi lo squadrismo agrario, il quale, nelle zone rurali, forte dell'appoggio anche finanziario da parte dei proprietari terrieri, iniziò a colpire gli uomini e le sedi del PSI e della CGdL<ref>Mimmo Franzinelli, ''Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922'', Milano, Mondadori, 2003, p. 4.</ref>. Lo squadrismo agrario ebbe alcuni punti di contatto con lo squadrismo urbano: in primo luogo perché, in [[Valle Padana]], ebbe origine da nuclei di squadristi urbani di [[Bologna]] e di [[Ferrara]]; in secondo luogo perché anche gli squadristi agrari erano accesamente antisocialisti e antibolscevichi; in terzo luogo perché anche lo squadrismo agrario era [[Nazionalismo|nazionalista]] e difendeva le ragioni degli ex combattenti<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925'', Torino, Einaudi, 1966, p. 13.</ref>. Al di là dei suddetti punti di contatto, lo squadrismo agrario si differenziò da quello urbano, in quanto ebbe carattere più nettamente reazionario e inequivocabilmente di destra ed ebbe quale unico obiettivo reale la difesa degli interessi delle classi possidenti<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925'', Torino, Einaudi, 1966, pp. 3, 13, 16-17, 116, 153, 212, 248-252.</ref><ref>Renzo De Felice, ''Breve storia del fascismo'', Milano, Mondadori, 2001, p. 12.</ref><ref>Mimmo Franzinelli, ''Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922'', Milano, Mondadori, 2003, pp. 4, 59.</ref>.
 
I fascisti iniziarono quindi ad affermarsi solo nella seconda metà del 1920, ma a quell'epoca il fascismo si profilava ormai chiaramente come un movimento orientato a destra<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il rivoluzionario 1883-1920'', Torino, Einaudi, 1965, pp. 519, 589-590.</ref>. La vera nascita dello squadrismo è collocata nell'autunno 1920 dopo la [[strage di Palazzo d'Accursio]].<ref>{{Google books|id=5HvnEF1_hscC&pg=PA183&|titolo=Padania: il mondo dei braccianti dall'Ottocento alla fuga dalle campagne|pagina=183|evidenzia=|romano=|copertina=}}</ref>
 
I grandi proprietari terrieri della Valle Padana si avvalsero dello squadrismo, provvedendolo di denaro e di armi, allo scopo di smantellare l'apparato organizzativo del movimento operaio e contadino: perciò la violenza squadrista si abbatté soprattutto sulle amministrazioni comunali a guida socialista, sui sindacati, sulle cooperative e sulle [[società di mutuo soccorso]]; in tale opera di distruzione, lo squadrismo si avvalse sovente della connivenza di autorità pubbliche e forze dell'ordine; la reazione padronale fu originata, più che dalla paura di una rivoluzione proletaria (che diventava sempre più improbabile, vista la debolezza del movimento operaio che fece seguito alle sconfitte del biennio rosso), dal desiderio di azzerare tutta una serie di miglioramenti sindacali che erano stati conseguiti dal socialismo riformista negli anni precedenti<ref>Alceo Riosa - Barbara Bracco, ''Storia d'Europa nel Novecento'', Milano, Mondadori Università, 2004, p. 74.</ref>.
 
Uno degli obiettivi che il padronato cercò di conseguire appoggiando le violenze squadriste fu quello di spingere lo Stato ad abbandonare il suo ruolo neutrale nelle controversie di lavoro: capitalisti e agrari affermavano, infatti, che le squadre provvedevano alla difesa della proprietà contro la "violenza rossa", difesa che - secondo il punto di vista padronale - lo Stato trascurava di esercitare. Nei fatti, invece, all'inizio del 1921 il movimento operaio e contadino aveva già cessato di costituire una minaccia per l'ordinamento sociale e, quando commetteva delle violenze, queste erano ormai perlopiù in risposta alle violenze fasciste; cosicché, in realtà, la "violenza rossa", contro cui il padronato chiedeva di essere tutelato, altro non era - secondo l'espressione di [[Renzo De Felice]] - che "l'estrema difesa proletaria delle proprie libertà e dei propri diritti sindacali"<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925'', Torino, Einaudi, 1966, p. 21.</ref>.
 
Vi è perciò un marcato contrasto fra, da una parte, la ''realtà'' dello squadrismo (braccio armato di un movimento politico, quello fascista, che storicamente è stato "soprattutto reazione borghese-capitalistica contro la classe lavoratrice"<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925'', Torino, Einaudi, 1966, p. 4.</ref>), e, dall'altra, il ''mito'' che gli squadristi coltivarono di loro stessi: mito secondo cui gli squadristi vollero considerarsi espressione genuina e incorrotta di istanze popolari e rivoluzionarie<ref>Adrian Lyttelton, ''La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929'', Roma-Bari, Laterza, 1974, pp. 86-87: "Sia la realtà che il 'mito' dello squadrismo esercitarono sul fascismo un'influenza potente e tenace. Gli squadristi sentirono, non senza fondamento, che i veri fascisti erano loro; e i picchiatori, gli uomini del manganello, erano diffidenti nei confronti dei politici, dei 'chiacchieroni'. Lo squallido retroscena dello squadrismo - la dipendenza dalla connivenza delle autorità di polizia e dai fondi forniti dagli industriali e dagli agrari - fu dimenticato; e i capi delle squadre, spesso provenienti dalla più umile piccola borghesia o di origini addirittura sottoproletarie, si considerarono, con maggiore o minore buona fede, l'incarnazione di un fascismo populista, vicino alle aspirazioni originarie del tempo di guerra e libero da ogni manipolazione di borghesi o politici 'parassiti'".</ref>.
 
Una caratteristica dello squadrismo, anticipata dai futuristi nelle loro manifestazioni interventiste, fu la capacità di far ricorso alla piazza mobilitando rapidamente minoranze attive e aggressive, realizzando così una forma di violenza politica nuova per l'epoca, tanto che fu capace di scompaginare il partito socialista, basato su un'organizzazione minuziosa e ramificata attraverso una rete fittissima di leghe, camere del lavoro, cooperative, sindacati, enti locali, etc.<ref>Renzo de Felice ''Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920'', Torino, Einaudi, 1965.</ref><ref>Luca Leonello Rimbotti, ''Fascismo di sinistra'', Roma, Settimo Sigillo, 1989.</ref> Questo tipo di violenza era parte integrante della strategia con la quale il fascismo intendeva conseguire la sua ascesa al potere.
 
Nella situazione italiana di allora, la volontà di costruzione di un [[sindacalismo fascista]] si scontrava con le organizzazioni socialiste, di stampo [[Leninismo|leninista]] e [[Internazionalismo|internazionalista]].
[[File:Bologna_1921_Manifestazione_dei_Fasci_italiani_di_Combattimento.jpg|miniatura|Manifestazione dei [[Fasci italiani di combattimento]] a [[Bologna]] nel [[1921]].]]
[[File:Camicienere.jpg|miniatura|[[Camicie nere]]]]
[[File:Squadristi_veneti.jpg|miniatura|Squadristi veneti in marcia]]
Definiti da [[Gabriele D'Annunzio]] ''"scherani dello schiavismo agrario"''<ref>Per la definizione dannunziana del fascismo come "schiavismo agrario" cfr. Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925'', Torino, Einaudi, 1966, pp. 218, 257 in nota.</ref><ref>Mimmo Franzinelli, ''Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922'', Milano, Mondadori, 2003, p. 59.</ref>, gli squadristi delle campagne distrussero, usando la violenza, le organizzazioni politiche e sindacali della sinistra, leghe bracciantili e cooperative, a tutto vantaggio dei proprietari terrieri, degli affittuari e anche dei commercianti che soffrivano la concorrenza delle cooperative rosse<ref>Giampiero Carocci, ''Storia del fascismo'', Roma, Newton Compton, 1994, p. 16</ref>.
 
Tuttavia, una parte dello squadrismo agrario, che faceva capo a esponenti quali [[Dino Grandi]], [[Italo Balbo]], [[Edmondo Rossoni]], cercò non solo di svolgere un'azione meramente antisocialista, ma anche di organizzare i contadini, dopo la distruzione delle leghe rosse, in sindacati fascisti<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925'', Torino, Einaudi, 1966, p. 15</ref>. Ma già nel corso del 1921 fu chiaro che il ruolo del sindacalismo fascista era puramente demagogico e che la reale sostanza di esso era la difesa degli interessi padronali<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925'', Torino, Einaudi, 1966, pp. 249-250</ref>.
 
A partire dal [[1921]] il fascismo riuscì a costituire delle roccaforti importanti, concentrate soprattutto nella [[pianura padana]] (come [[Bologna]] e [[Ferrara]]), dalle quali si estesero anche ai centri secondari più vicini.<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Paul|cognome=Corner|data=1974|titolo=Il fascismo a Ferrara 1915-25, Laterza, Roma-Bari|rivista=|numero=|pp=119-155|doi=|url=}}</ref>
 
In questa fase la maggior parte degli squadristi era composta da giovani studenti nazionalisti, reduci di guerra (perlopiù [[arditi]] e legionari fiumani) e componenti delle vecchie formazioni paramilitari, che avevano già contrastato i [[Partito Socialista Italiano|socialisti]] durante il cosiddetto [[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]].<ref>Sven Reichardt, ''Camicie nere, camicie brune'', Bologna, Società Editrice Il Mulino, 2009, p. 161</ref>
 
Le azioni squadriste contro i socialisti, soprattutto nelle campagne, attirarono l'interesse dei piccoli proprietari terrieri e dei latifondisti che, non essendo riusciti a costituire una propria organizzazione politica, finanziarono quella dei Fasci Italiani di Combattimento<ref>Sven Reichardt, ''Camicie nere, camicie brune'', Bologna, Società Editrice Il Mulino, 2009, p. 171</ref>. Non di rado gli stessi figli dei proprietari terrieri e dei mezzadri militarono attivamente nelle squadre d'azione. Tra i tanti esempi si possono citare quelli di [[Cesare Forni]] e di [[Enea Venturi]].
 
Lo sviluppo del fenomeno squadrista nelle campagne diventa vigoroso quando, impostosi come valida risposta alla sinistra agli occhi dei proprietari terrieri, questi cominciarono a finanziare generosamente le squadre fasciste, addirittura con forme di vera e propria autotassazione interna tra gli agrari maggiormente preoccupati dallo sviluppo delle leghe contadine e bracciantili rosse<ref>''"I Fasci di combattimento schierati contro leghe rosse e leghe bianche sollecitarono i finanziamenti privati, giustificati coi benefici arrecati dall'intervento repressivo delle squadre d'azione. Si istituì una tassazione parallela, col versamento regolare di somme commisurate all'estensione delle tenute"''. Mimmo Franzinelli, ''Squadristi'', Milano, Oscar Mondadori, 2009, p. 67.</ref><ref>''"Nel 1921, mentre gli industriali puntavano non tanto sul fascismo quanto su Giolitti, gli agrari delle regioni settentrionali e i grandi proprietari di quelle centrali aderivano o appoggiavano in modo più univoco il fascismo"''. Giampiero Carocci, ''Storia del fascismo'', Newton, 1994. p. 17</ref>.
 
Con il consolidarsi del movimento fascista, l'azione dello squadrismo iniziò ad assumere un carattere sistematico e organizzato, avente come orizzonte una vera e propria contro-rivoluzione sia ai danni dei sempre meno determinati tentativi rivoluzionari (ma anche solo riformisti) socialisti e bolscevichi, sia dello [[Stato liberale]], quando esso non si allineava alle posizioni fasciste o si mostrava troppo "tiepido" nei loro confronti. Ciò cominciò ad avvenire a partire dal 1920 nei confronti dei primi, con il refluire del "tentativo velleitario" rappresentato dall'occupazione rossa delle fabbriche<ref>Lelio Basso, lezione citata nonché Renzo De Felice, ''Mussolini il rivoluzionario'', cit. ''et alia''</ref> e la conseguente esplosione dello squadrismo agrario, la cui azione venne inizialmente diretta a un'offensiva volta al sistematico smantellamento del sistema di leghe, cooperative e sindacati degli altri movimenti di massa (popolari, socialisti e poi comunisti).
 
Durante le agitazioni sociali del biennio rosso, le classi possidenti avevano incontrato notevoli difficoltà a organizzare la propria autodifesa. Queste difficoltà indussero i possidenti a fare ricorso a ex combattenti, arditi, futuristi, categorie che erano avvezze a esercitare la violenza ed eventualmente pronte anche a uscire dalla legalità<ref>Adrian Lyttelton, ''Cause e caratteristiche della violenza fascista: fattori costanti e fattori congiunturali'', in: AA. VV, ''Bologna 1920; le origini del fascismo'', a cura di Luciano Casali, Bologna, Cappelli, 1982, pp. 41-2.</ref>. Da tali categorie provennero perlopiù i dirigenti del movimento fascista, i quali, dunque, si posero a servizio degli interessi della borghesia, anche se non rinunciarono a manifestare un certo disprezzo per la passività dei borghesi; tale disprezzo è espresso, ad esempio, nel seguente commento di Arpinati, che nell'aprile del 1920 era capo del fascio di Bologna<ref name="Adrian Lyttelton 1982">Adrian Lyttelton, ''Cause e caratteristiche della violenza fascista: fattori costanti e fattori congiunturali'', in: AA. VV, ''Bologna 1920; le origini del fascismo'', a cura di Luciano Casali, Bologna, Cappelli, 1982, p. 42.</ref>:
 
{{Citazione|Certo è che questa borghesia bolognese [...] non si è mossa se non quando si è sentita, coll'ultimo sciopero, minacciata nella propria sicurezza e nel proprio portafoglio<ref name="Adrian Lyttelton 1982"/><ref name="ReferenceC">A. D'Orsi ''La rivoluzione antibolscevica'', Angeli, Milano, 1985</ref>|[[Leandro Arpinati]], capo del Fascio bolognese|Aprile [[1920]]}}
 
Nel 1920, di fronte allo sviluppo impetuoso del fenomeno squadrista, la dirigenza fascista si rese conto delle sue potenzialità ancora sostanzialmente inespresse per dare sfogo politico al movimento. Alla fine del 1920 fu lo stesso segretario dei Fasci di Combattimento [[Umberto Pasella]] a comunicare che l'obbiettivo principale del fascismo diventava quello di potenziare il suo apparato paramilitare, considerato di priorità strategica assoluta<ref>A. Lyttelton ''La conquista del potere - Il fascismo dal 1919 al 1929'', Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 84.</ref>.
 
=== Il patto di pacificazione (maggio 1921 - novembre 1921) ===
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=== L'offensiva nazionale (novembre 1921 - ottobre 1922) ===
 
==== Il "biennio nero" ====
[[File:1922_Squadra_d'azione_di_Lucca.jpg|miniatura|La Squadra d'azione di Lucca nel 1922]]
[[File:Spedizione_punitiva_a_Roma_presso_una_sede_sindacale_socialista.jpg|miniatura|Devastazione di una sede sindacale della [[Confederazione Generale del Lavoro|CGL]] a Roma, con falò sulla strada delle carte e suppellettili ivi rinvenute]]
[[File:Fascisti_del_sud.jpg|miniatura|Gruppo di fascisti partecipanti alla [[marcia su Roma]], si riconosce un mutilato e un paio di ex combattenti con l'elmetto]]
Tra il 1921 e il 1922 l'Italia fu scossa da qualcosa di simile a una [[guerra civile]]<ref>L'espressione "guerra civile" con riferimento al biennio 1921-22 è attestata in: Gaetano Salvemini, ''Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard'', a cura di Roberto Vivarelli, Milano, Feltrinelli, 1979 (quarta edizione), p. 321: "Circa tremila persone persero la vita per mano fascista durante i due anni di guerra civile"; inoltre in: Paolo Spriano, ''Storia del Partito comunista italiano. I. Da Bordiga a Gramsci'', Torino, Einaudi, 1967, p. 172: "Lo svolgimento stesso della guerra civile nel 1921-22 indica quale sproporzione esista sul terreno degli scontri armati tra i comunisti e i fascisti".</ref> tra fascisti e antifascisti, che fu vinta sul campo dai primi, sia perché militarmente erano più forti, sia perché godevano sovente dell'appoggio di vasti settori dell'apparato statale; gli squadristi godevano inoltre della simpatia dell'opinione pubblica borghese e conservatrice, rappresentata in particolare dai più importanti organi di stampa, che tennero spesso un atteggiamento tutt'altro che imparziale<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925'', Torino, Einaudi, 1966, pp. 22-23: "...fatto ancora più importante per l'influenza che aveva sull'opinione pubblica media - l'avallo che lo squadrismo trovava nella grande stampa d'informazione. Divenute le azioni squadriste un fatto ormai quotidiano, questa stampa ne attribuiva normalmente la responsabilità ai 'rossi', ai 'sovversivi' o si manteneva nel generico, parlando di 'conflitti', senza specificarne la responsabilità. [...] E questo spiega come già a quest'epoca nascesse e andasse prendendo piede la leggenda che se l'Italia era stata salvata dal 'pericolo rosso' ciò era dovuto al fascismo [...]".</ref>.
 
Con riferimento al primo semestre del 1921 sono state contate, nella sola pianura padana, almeno 726 distruzioni operate dalle squadre fasciste: 17 [[Giornale|giornali]] e [[Tipografia|tipografie]], 59 [[Casa del Popolo|case del popolo]], 119 [[Camera del lavoro|camere del lavoro]], 107 [[Cooperativa|cooperative]], 83 leghe contadine, 8 [[Società di Mutuo Soccorso|società mutue]], 141 sezioni socialiste o comuniste, 100 circoli di [[cultura]], 10 [[Biblioteca|biblioteche]] popolari o teatri, 28 [[Sindacato|sindacati]] operai, 53 circoli operai ricreativi, un'[[università popolare]]<ref>[[Giorgio Candeloro]], ''Storia dell'Italia moderna. Volume ottavo. La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo'', Milano, Feltrinelli, 1996 (sesta edizione), p. 353. Candeloro precisa che "si tratta peraltro di dati certamente incompleti".</ref>.
 
Secondo la stima di uno storico, fra il 1921 e il 1922 i fascisti uccisero in tutto circa tremila persone<ref>Gaetano Salvemini, ''Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard'', a cura di Roberto Vivarelli, Milano, Feltrinelli, 1979 (quarta edizione), p. 321: "Circa tremila persone persero la vita per mano fascista durante i due anni di guerra civile".</ref>. Secondo un'altra stima, circa cinquecento o seicento furono le vittime della violenza fascista nel solo 1921<ref>Adrian Lyttelton, ''Cause e caratteristiche della violenza fascista: fattori costanti e fattori congiunturali'', in: AA. VV, ''Bologna 1920; le origini del fascismo'', a cura di Luciano Casali, Bologna, Cappelli, 1982, p. 39.</ref>.
 
Gli squadristi uccisi fra il 1919 e la [[marcia su Roma]] furono in tutto 425, di cui 4 nel 1919, 36 nel 1920, 232 nel 1921 e 153 fra il 1º gennaio e il 31 ottobre 1922<ref>Mimmo Franzinelli, ''Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922'', Milano, Mondadori, 2003, p. 169.</ref>.
 
La crescita del fenomeno squadrista anche nel [[1921]], giunta ben oltre gli obbiettivi locali di difesa delle classi medie e degli agrari, determinò nuovi problemi. Primo fra tutti fu proprio quello riguardante la convivenza con queste due ultime classi, in quanto la crescita numerica e qualitativa dello squadrismo, unita alla massiccia conquista territoriale nelle province, rese da questo momento il movimento stesso una realtà autonoma decisa a conseguire i propri scopi politici (che andavano a collidere con gli interessi economici della classe borghese e possidente) senza compromessi. Una volta distrutto il sistema economico-finanziario-sindacale socialista, lo squadrismo trovò perciò un nuovo nemico nei [[Latifondismo|latifondisti]] e nei grandi proprietari terrieri, che ne avevano favorito l'ascesa, e nei commercianti, rei di non uniformarsi ai prezzi popolari "suggeriti".
 
Già a partire dalla fine del 1920, infatti, esponenti squadristi cercarono di caratterizzare il movimento come un'organizzazione che tentava di rigenerare moralmente e materialmente la patria, lottando da una parte contro il bolscevismo rosso e bianco, dall'altra contro i settori più egoisti della borghesia e le sue rappresentanze [[Democrazia liberale|liberaldemocratiche]]<ref>Renzo de Felice ''Autobiografia del fascismo'', Bergamo, Minerva Italica, 1978, p.63</ref>.
 
Queste istanze "rivoluzionarie" del primo fascismo derivavano, secondo l'analisi di alcuni storici, dalle origini prettamente piccolo-borghesi del movimento, che lo ponevano in polemica sia col capitale sia col proletariato; tuttavia, fra la fine del 1920 e l'inizio del 1921, sotto la guida di Mussolini il fascismo si allineò sempre più agli interessi del grande capitale; gli elementi fascisti che erano maggiormente legati alla loro origine piccolo-borghese tentarono invano di preservarne l'originaria "carica rivoluzionaria", rinchiudendosi nello squadrismo<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. II. L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929'', Torino, Einaudi, 1968, pp. 5-6; in queste pagine De Felice riprende e commenta l'analisi condotta da [[Guido Dorso]], ''La rivoluzione meridionale'', seconda edizione, Roma 1945.</ref>.
 
{{Citazione|La lotta contro il bolscevismo era un mezzo, non era un fine. Mirava molto più lontano. Così ebbe inizio la rivoluzione fascista contro la classe dirigente e contro il vecchio regime|Roberto Farinacci ''Storia della Rivoluzione Fascista'', op. cit., I, p. 132}}
 
Nel luglio del '21 si ebbe un episodio che sembrò attestare la prevalenza dello squadrismo, e quindi di Farinacci che ne era il capo a livello nazionale, al vertice del fascismo oltre che per la forza d'urto e la capacità di diffusione nelle province, anche per la capacità di imporre le sue vedute politiche alla direzione nazionale. Durante il ''patto di pacificazione'', con cui Mussolini tentò di trovare un accordo con i socialisti, la sollevazione dello squadrismo capeggiata da Farinacci, [[Pietro Marsich|Marsich]] e dal Fascio bolognese, fu totale e portò alle dimissioni di numerosi esponenti di primo piano. Questa intransigenza compatta in tutto lo squadrismo, unita all'esasperazione dopo i recenti [[fatti di Sarzana]], portò Mussolini a tornare sui suoi passi<ref>Renzo De Felice, ''Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925'', Torino, Einaudi, 1966, pp. 143-160.</ref>.
 
In occasione di questo episodio, gli squadristi intransigenti non mancarono di sottolineare come il compito della rivoluzione non dovesse limitarsi a combattere i "sovversivi", ma dovesse opporsi anche alla reazione bianca:
 
{{Citazione|Il fascismo deve opporre un'uguale fermezza nei confronti delle due forze che avevano fatto precipitare l'Italia verso la guerra civile: lo Stato-liberale e socialdemocratico e la plutocrazia bancaria|Pietro Marsich ''Italia nuova'', 28 luglio 1921<ref>Renzo de Felice ''Mussolini il fascista'', I, op. cit., p. 143</ref>}}
 
== Squadristi ==
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=== Le motivazioni degli squadristi ===
È storicamente accertato che, sebbene i principi politici, economici, culturali e sociali delle istanze fasciste abbiano avuto origine prima della guerra, la violenza fascista fu anche (sebbene non esclusivamente) una risposta alla violenza socialista del [[Biennio rosso in Italia|biennio rosso]]<ref>Adrian Lyttelton, ''Cause e caratteristiche della violenza fascista'', op. cit., p. 45</ref>. Ebbe perciò un carattere inizialmente di rappresaglia nei confronti di un vero e proprio potere sovrano extra-statale creato dal partito socialista nelle zone dove si trovava più radicato.<ref>[[Luigi Preti]], ''Le lotte agrarie nella Valle padana'', Einaudi. "In periodo di sciopero gli incendi dei fienili, la distruzione dei raccolti, l'uccisione dei capi di bestiame, le violenze ai proprietari e ai contadini coltivatori diventavano frequentissimi"</ref><ref>Renzo De Felice, ''Interpretazioni del fascismo'', Laterza, 2005.</ref><ref>Valerio Castronovo, Renzo De Felice, Pietro Scoppola, ''L'Italia del Novecento'', Utet, 2004.</ref><ref>Fabio Fabbri, ''Le origini della guerra civile'', Utet, 2009.</ref>
 
Tuttavia è storicamente priva di fondamento la tesi giustificatoria che fu talvolta invocata dai fascisti, secondo cui lo squadrismo sarebbe stato motivato dalla necessità di rispondere con la violenza alle "violenze bolsceviche" e sarebbe stato finalizzato a sventare il rischio di una rivoluzione comunista. Ci fu, infatti, una netta sproporzione fra l'entità delle violenze socialiste durante il biennio rosso e l'impatto ben maggiore della violenza fascista nel periodo 1921-22:
 
{{Citazione|Nel corso dei due anni della loro "tirannia" i "bolscevichi" non devastarono neppure una volta l'ufficio di una associazione degli industriali, degli agrari o dei commercianti; non obbligarono mai con la forza alle dimissioni nessuna amministrazione controllata dai partiti conservatori; non bruciarono neppure ''una'' tipografia di un giornale; non saccheggiarono mai una sola casa di un avversario politico. Tali atti di "eroismo" furono introdotti nella vita italiana dagli "antibolscevichi." Inoltre va notato che mentre i delitti commessi dai "bolscevichi" negli anni 1919-20 furono quasi sempre compiuti da folle eccitate, le "eroiche" imprese degli "antibolscevichi" troppo spesso furono preparate e condotte a sangue freddo da appartenenti a quei ceti benestanti, che hanno la pretesa di essere i custodi della civiltà.|[[Gaetano Salvemini]]<ref>Gaetano Salvemini, ''Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard'', a cura di Roberto Vivarelli, Milano, Feltrinelli, 1979 (quarta edizione), p. 303.</ref>}}
 
Anni dopo, [[Gaetano Salvemini]], pur riconoscendo qualche giustificazione alle primissime azioni squadriste del 1919 e dei primi mesi del 1920, evidenziò che l'attività degli squadristi successiva al biennio rosso non era più interpretabile come una reazione a precedenti violenze "bolsceviche" (benché tale fosse quasi sempre il pretesto addotto dagli squadristi). Infatti, secondo Salvemini, dopo la fine del biennio rosso lo squadrismo ebbe il carattere di un'offensiva antisindacale violenta e indiscriminata, che fu diretta contro tutte le organizzazioni operaie (non solo socialiste, comuniste o anarchiche, ma anche cattoliche e repubblicane); offensiva che si esercitò fuori dalla legalità e che, secondo Salvemini, risultò vittoriosa non in virtù del sedicente "eroismo" degli squadristi, bensì in virtù dell'appoggio economico da parte degli industriali e dei proprietari terrieri, nonché in virtù del sostegno, più o meno palese, da parte delle autorità militari, della polizia e della magistratura:
 
{{Citazione|Foraggiando i fascisti, gli industriali, i proprietari terrieri e i banchieri non compivano nessuna azione che esorbitasse dai loro diritti. Il capitale, come il lavoro, è una forza sociale, ed era naturale che i capitalisti fornissero fondi alle loro 'guardie bianche', così come gli operai e i contadini contribuivano a mantenere i loro propagandisti e i loro organizzatori.<br />Persino gli atti di violenza commessi dai fascisti nei primissimi mesi della loro controffensiva possono considerarsi con una certa indulgenza. Dato che polizia e magistratura erano impotenti nella difesa dei privati cittadini contro la forza preponderante dei sindacati e del loro arbitrio, era ben giustificato che tali cittadini cercassero di difendersi per mezzo di metodi illegali.<br />Ma quando si sia riconosciuto tutto questo, rimane il fatto che, specialmente a partire dai primi del 1921, parlare di un fascista ucciso o ferito nel corso della guerra civile come di un 'eroe' o di un 'martire,' nella maggioranza dei casi è tanto assurdo quanto usare questi termini per un bandito, che rimanga inaspettatamente ucciso da una delle sue supposte vittime. Senza dubbio per fare il bandito ci vuole del coraggio, ma tale coraggio non va confuso con l'eroismo. La verità è che sia da una parte che dall'altra vi furono aggressori e aggrediti, assassini e vittime, imboscate ed assalti su terreno aperto, atti di coraggio e di tradimento; ma i fascisti, sostenuti economicamente da industriali, proprietari terrieri e commercianti, e politicamente da polizia, magistratura e autorità militari, godettero di una forza schiacciante.|[[Gaetano Salvemini]] (1943).<ref>Gaetano Salvemini, ''Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard'', a cura di [[Roberto Vivarelli]], Milano, Feltrinelli, 1979 (quarta edizione), pp. 309-310. Il testo di Salvemini risale al 1943.</ref>}}
 
Inoltre nessuna reale possibilità di una rivoluzione comunista sussisteva più in Italia nel biennio 1921-22:
 
{{Citazione|È risaputo da tutti che il presupposto secondo cui il fascismo sorse per difendere l'Italia dal pericolo del bolscevismo non è comprovato dai fatti. [...] Un pericolo bolscevico non c'era stato neanche nel 1919 o nel 1920. I disordini, gli scioperi e qualche tumulto furono conseguenze della guerra più o meno comuni a tutti i paesi. In Italia sembrarono particolarmente allarmanti ai turisti stranieri e ai commercianti, delusi nella loro ricerca di facili piaceri e di comodi affari, ma avrebbero potuto essere affrontati con la resistenza ordinaria dell'organismo nazionale e con la elasticità delle istituzioni liberali, come avvenne in Francia e altrove.|[[Giuseppe Antonio Borgese]]<ref>Giuseppe A. Borgese, ''Golia. Marcia del fascismo'', supplemento a "[[Libero (quotidiano)|Libero]]", Roma, 2004, p. 181. (Prima edizione inglese New York, 1937; prima edizione italiana Milano, Mondadori, 1947).</ref>}}
 
Pertanto, autorevole storiografia nega che il carattere violento e totalitario del fascismo sia interpretabile come una mera risposta al bolscevismo, e afferma invece che tali caratteristiche siano intrinseche al fascismo stesso:
 
{{Citazione|In ogni modo, è storicamente certo che non fu la rivoluzione bolscevica ad aprire nell'Europa occidentale la via al totalitarismo [...] ma fu la "marcia su Roma", l'instaurazione del regime fascista e l'inizio di un inedito esperimento di dominio politico; tutto ciò avvenne per impulso autonomo, insito nella natura stessa del fascismo, e avvenne quando persino Mussolini affermava pubblicamente, fin dal 1921, che parlare ancora di "pericolo bolscevico" in Italia era una sciocchezza.|[[Emilio Gentile]]<ref>Emilio Gentile, ''Fascismo. Storia e interpretazione'', Roma-Bari, Laterza, 2011 (sesta edizione), p. X.</ref>}}
 
== Stato liberale e squadrismo ==