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=== Italia ===
{{vedi anche|Codice in materia di protezione dei dati personali}}
Per quanto riguarda la Costituzione Italiana, non vi è un riconoscimento specifico per il diritto alla riservatezza, ma è frutto di un’elaborazione giurisprudenziale, ricavato per via interpretativa dagli articoli 2
La prima fonte di diritto in materia era costituita dalla [[giurisprudenza]] della
La prima fonte di diritto in materia era costituita dalla [[giurisprudenza]] della [[Suprema Corte di Cassazione]]. Questa, con la sentenza n. 4487 del 1956, nega inizialmente la presenza di un diritto alla riservatezza<ref>{{Cita web|url=http://www.jus.unitn.it/users/pascuzzi/varie/sem-inf99/Cass_1956.htm|titolo=Cass. 22 dicembre 1956 n. 4487|accesso=19 giugno 2018|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180612015830/http://www.jus.unitn.it/users/pascuzzi/varie/sem-inf99/Cass_1956.htm|urlmorto=sì}}</ref>.Nel 1973 la corte costituzionale riconosce l' esistenza di un diritto alla riservatezza discendendo dalla costituzione e dai principi della [[Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali|CEDU]]: "non contrastano con le norme costituzionali ed anzi mirano a realizzare i fini dell’art. 2 affermati anche negli art.3, comma 2 e art. 13, comma 1, che riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali rientra quello del proprio decoro, del proprio onore, della propria rispettabilità, riservatezza, intimità e reputazione, sanciti espressamente negli art. 8 e 10 della convenzione Europea sui diritti dell’uomo, gli art. 10 c.c. , 96 e 97 L.22/04/1941 n.633.” (Corte Costituzionale con sentenza 12/04/1973 n.38).▼
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Il riferimento all'art. 2 Cost. di cui sopra arriva invece solo nel 1975, con la sentenza della Corte di Cassazione n. 2129 del 27 maggio 1975, con cui la stessa Corte identifica tale diritto nella ''tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l'onore, la reputazione o il decoro, non sono giustificati da interessi pubblici preminenti.''<ref>{{Cita web |url=http://www.jus.unitn.it/users/pascuzzi/varie/sem-inf99/Cass_1975.htm |titolo=Cass. 27 maggio 1975 n. 2129 |accesso=30 gennaio 2013 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20201107025548/http://www.jus.unitn.it/users/pascuzzi/varie/sem-inf99/Cass_1975.htm |urlmorto=sì }}</ref> Questa affermazione è fondamentale per il bilanciamento col [[diritto di cronaca]] (vedi "Privacy e giornalismo"). La casistica in materia è ampia; in particolare, il Tribunale di [[Roma]], nella sentenza del 13 febbraio 1992, aveva notato che ''chi ha scelto la notorietà come dimensione esistenziale del proprio agire, si presume abbia rinunciato a quella parte del proprio diritto alla riservatezza direttamente correlato alla sua dimensione pubblica''.
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