Enore Zaffiri: differenze tra le versioni

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Nel [[1967]] prolificano i lavori di gruppo dello Studio di informazione estetica. Le composizioni – ''Q/110, SP/Q/20'', ecc. –, destinate ad esplorare con metodo e rigore matematico lo spettro sonoro degli oscillatori elettronici, verranno rese pubbliche con il volume ''Due scuole di musica elettronica in Italia'', dell'editore Silva di [[Genova]], pubblicato nel 1968 in occasione del Convegno internazionale di musica elettronica di Firenze. Il 21 gennaio, intanto, lo Studio di informazione estetica esce dall'Italia: a [[Monaco di Baviera|Monaco]], esso organizza la [[Sonorizzazione (media)|sonorizzazione]] di una mostra presso lo studio UND. Si sviluppa così il concetto di musica d'ambiente, che troverà la sua massima espressione nel progetto ''Musica per un anno'' (edito dal centro Duchamp di San Lazzaro di [[Bologna]] nel [[1970]]). La musica elettronica dello SMET diventa così un veicolo di ambientazione sonora di mostre d'arte d'avanguardia in molte città italiane: e il progetto ''Musica per un anno'' ne costituisce l'espressione nello stesso tempo più compiuta e visionaria (la partitura è infatti una struttura la cui natura combinatoria "infinita" permette la generazione di una linea sonora continua ma continuamente cangiante, della durata di 365 giorni). Nel mese di maggio, presso lo SMET, Zaffiri allestisce una personale di oggetti visivi, ognuno dei quali ha il suo corrispondente prodotto sonoro: è il punto più alto raggiunto dal concetto di "matrice strutturale". A compimento di questa straordinaria stagione creativa, esce il numero unico della rivista «Modulo», rassegna internazionale di [[poesia concreta]] e visiva curata da [[Arrigo Lora Totino]].
 
Nel [[1968]] lo SMET si trasferisce al Conservatorio "Giuseppe Verdi" di Torino, grazie all'interesse dell'allora direttore Sandro Fuga e all'attenzione personale dell'Ispettore capo all'istruzione artistica del [[Ministero della pubblica istruzione]], dott. Boccia. Già docente di Cultura musicale generale, Zaffiri mette a disposizione dell'istituzione, benevola ma avara, le sue apparecchiature personali. Quella del rapporto tra SMET e Conservatorio è una storia tormentata e ricca di momenti non sempre esaltanti: la mancanza di spazio e di fondi tormenta l'istituto già in quel periodo e il nuovo Corso di musica elettronica ne paga come e più degli altri le conseguenze. Ciò avviene malgrado il numero di iscritti sia in continua crescita e tocchi vette inimmaginabili per una classe di conservatorio (ricordiamo le più di 60 domande dell'anno 77/78). Nella classe si procede ancora in lavori di gruppo, ma già nascono i primi componimenti individuali degli allievi, sempre alla luce del collaudato metodo geometrico-strutturale. I lavori vengono presentati ai saggi finali di studio. Tra i primi allievi ricordiamovi i nomi difurono Gilberto Bosco, [[Gianfranco Vinay]], Ferruccio Tammaro. Nello stesso anno, alcuni lavori di Zaffiri vengono presentati a [[Lugano]], Monaco, [[Berlino]], [[Innsbruck]], [[Heidelberg]].
 
Nel [[1969]] il corso di musica elettronica del Conservatorio di Torino dirige le sue ricerche sull'accostamento tra suoni elettronici e strumenti tradizionali, nonché sulla vocalità. Sorge quindi l'esigenza di uno strumento elettronico manipolabile "dal vivo", di uno "strumento da concerto". Con la collaborazione dell'ing. Claudio Bonechi e il finanziamento del Centro Duchamp di San Lazzaro di Bologna nasce l'''elaboratore Z/B'', capace di utilizzare suoni elettronici pre-registrati e manipolati in tempo reale. Frattanto al corso di Musica elettronica si iscrive [[Lorenzo Ferrero]], che diventerà un esponente di spicco della nuova avanguardia musicale italiana degli anni '80 e futuro direttore artistico di importanti sedi musicali italiane tra cui l'Arena di Verona. Le composizioni zaffiriane continuano a girare per l'Europa: [[Bruxelles]], [[Avignone]], [[Hannover]].
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Fino al [[1985]], l'attività di Zaffiri è praticamente tutta concentrata nella produzione di una monumentale ''Storia dell'arte universale'' in video VHS per conto della cooperativa editoriale Books & Video, di cui è entrato a far parte integrante. Con la sinergia messa in atto tra le iniziative economiche della cooperativa e la propria attività creativa, la produzione video di Zaffiri raggiunge ben presto un livello tecnico di qualità professionale; è così che il teatro Zeta e l'Ensemble in MusicAzione gli commissionano la realizzazione video di due grandi classici del Novecento: ''Pierrot Lunaire'' di Schonberg e ''Façade'' di [[William Turner Walton|Walton]], con la partecipazione del mezzo soprano Ellen Kappel.
 
L'uscita dal conservatorio segna anche il distacco graduale del compositore torinese dai circuiti ufficiali della cultura musicale, circuiti che tuttavia vedono sempre più esaurirsi la spinta "rivoluzionaria" e creativa dei grandi anni Sessanta e Settanta: la musica d'avanguardia ha concluso la sua parabola e la musica elettronica è letteralmente sopraffatta dalle apparecchiature digitali – Home Computer e tastiere programmate – che rendono praticamente incomprensibile alle nuove generazioni il concetto stesso di "ricerca sonora". La produzione elettronica di Zaffiri è ricordata e celebrata in innumerevoli occasioni in tutta Italia, ma la sua stessa vocazione artistica lo spinge ormai ad abbracciare altre strade. Quella del video musicale diventa quindi per gran parte di questo decennio la sua unica attività. Per la produzione video, il nostro compositore si dota di nuove apparecchiature che installa nella sua abitazione, situata in un incantevole eremo montano, a pochi chilometri dai laghi di [[Avigliana]], in provincia di Torino. Nel tranquillo scorrere di una vita ritirata e intensamente dedicata alla composizione artistica (le uniche uscite sono in occasione di alcune presentazioni pubbliche della sua nuova produzione, o di conferenze ed esecuzioni di alcuni "classici" della sua produzione), Zaffiri produce decine e decine di nuove opere per musica e immagini il cui elenco è citato nel catalogo in fondo all'articolo. Per il significato estetico e culturale di questa nuova stagione creativa del maestro, rimandiamo invece al paragrafo sulla poetica.
 
=== Anni Novanta ===
Una delle caratteristiche più qualificanti deldi nostroEnore artistaZaffiri è la sua capacità di rinnovare costantemente il proprio linguaggio, i mezzi tecnici e l'orizzonte estetico di riferimento. Esaurita la spinta legata alla scoperta di un nuovo sistema linguistico ed esecutivo, Zaffiri non si ferma alla ripetizione accademica di sé stesso, ma è sempre proteso, quasi febbrilmente, alla ricerca di nuove possibilità. Quello che gli interessa è sperimentare le possibilità creative di un linguaggio con spirito esplorativo e analitico, verificandone tutte le condizioni possibili di montaggio e fruizione; alla fine del "circolo combinatorio", egli archivia l'esperienza assumendone tuttavia gli insegnamenti di fondo.
 
Accanto alla produzione video, l'ultimaultimo decadedecennio del secolo è segnata dal ritorno del nostro musicista alla ricerca di una nuova interpretazione del linguaggio musicale classico. Coi primi sintetizzatori Zaffiri aveva iniziato ad esplorare la possibilità di una rilettura del Settecento e di [[Johann Sebastian Bach|Bach]] con i colori e le dinamiche del trattamento elettronico del suono; ma i risultati avevano comunque il significato di un'esperienza irripetibile e personale venata da una certa ironica malinconia. Non dimentichiamo che, quasiQuasi contemporaneamente, uscivano gli LP di Walter Carlos con le prime esecuzioni di opere bachiane sul Moog Synthesizer.
 
Ma le nuove interpretazioni zaffiriane dei classici – che oggi compongono un catalogo con centinaia di titoli – assumono subito un significato completamente diverso, sia per le attuali tecnologie (le cosiddette "tastiere campionate") che permettono una resa del suono più "realistica" ed esteticamente compatibile con lo spirito dell'originale, sia per gli intenti con cui il nostro musicista mette in atto questa immensa operazione di re-visione del pianoforte classico-romantico. Ciò che Zaffiri ricerca, nelle [[sonata|sonate]] di [[Ludwig Van Beethoven|Beethoven]] come nei preludi di [[Fryderyk Chopin|Chopin]], non è la ripetizione di un evento fin troppo "consumato" dal mercato discografico, ma la dimostrazione che il fruitore intelligente e preparato di musica può trasformarsi a sua volta in esecutore e interprete, semplicemente capovolgendo il rapporto che la legge del consumo impone tra prodotto e fruitore: non dev'essere il mezzo elettronico a imporre le sue caratteristiche, ma il fruitore a cercare di realizzare sé stesso con le grandi potenzialità che l'elettronica oggi offre. Sullo slancio di questa nuova stagione creativa, Zaffiri ritrova pubblico e "palcoscenici" – soprattutto il palcoscenico di oggi: il web – tra cui far circolare il suo nuovo messaggio. Le nuove occasioni d'incontro sono con il pubblico del Circolo degli artisti di Torino nel [[1990]], presso il prestigioso [[Politecnico di Torino|Politecnico]] del capoluogo piemontese nel maggio dello stesso anno, e al Teatro Juvarra nel dicembre successivo.
 
L'ultima proposta, in ordine di tempo, che la creatività multiforme del maestro ha saputo realizzare, a settant'anni compiuti, rappresenta la sintesi perfetta del suo lungo cammino artistico: la '''ComputerArt''' costituisce infatti l'esatto punto d'incontro dell'antica poetica strutturalista e del suo spirito pionieristico di "ricerca", con le più avanzate tecnologie digitali dedicate al trattamento dell'immagine. I "quadri digitali" che il nostro l'artista ha esposto in alcune gallerie d'arte italiane e presso la [[Biblioteca Nazionale di Firenze]], nascono infatti, come le antiche composizioni di musica elettronica dello SMET, da progetti geometrico-combinatori che forniscono la matrice comune al trattamento dei suoni - ricavati dalle tastiere campionate – e delle immagini, elaborate dal calcolatore elettronico. Leggiamo come Zaffiri stesso descrive il suo ultimo progetto "visivo" Tr/e/27 – il titolo stesso è un'autocitazione, una sorta di "ruota del tempo" che riporta un discorso che sembrava concluso alle proprie radici, permettendogli così di rinascere in forme moderne:
 
«''questo progetto riprende le esperienze della musica geometrica degli anni Sessanta, con alcune varianti che riguardano in modo particolare inserti di cellule ritmiche e melodiche. Poiché l'impostazione di tali cellule nella struttura generale del Progetto ricorda alcuni procedimenti strutturali in uso presso i compositori polifonici del Quattrocento, ho pensato di denominare questa esperienza sonora Musica isoritmica''. (…) ''Ad ogni suono corrisponde un'immagine. La durata di ogni figura sonora è uguale a quella visiva. Alle tre intensità del suono (piano – mezzoforte – forte) corrispondono tre diversi modi di presentarsi dell'immagine: fissa, ad impulsi, in movimento. In totale si hanno 27 frequenze sonore, corrispondenti a 27 note del sistema musicale (partendo dal primo Do sotto il Do centrale del pianoforte, in progressione cromatica ascendente si arriva all'ultimo suono, ossia al secondo Re sopra il Do centrale del pianoforte). Quindi ai 27 suoni corrispondono 27 immagini. Poiché la figura viene letta in quattro modi differenti, cioè (come nella prassi dodecafonica) nel modo Ordinario (O.), Ordinario retrogrado (OR.), Inverso (I.) e Inverso retrogrado (IR.), si è stabilito di attribuire ad ogni modo 27 immagini differenti, cioè complessivamente 108 immagini. Il Progetto si presta a essere fruito in svariate maniere. La lettura (diciamo) monodica di ogni modo (O., OR., I., IR.), oppure, col sistema permutatorio, sovrapponendo due o tre o tutti e quattro i modi, per un totale di 14 combinazioni. Si ottiene così un tipo di polifonia (a due, a tre, a quattro voci) e una corrispondente policromia (sovrapposizione di due, tre o quattro immagini, sfasate nel tempo in virtù della struttura del Progetto)''.»
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===Il sintetizzatore===
Il sintetizzatore elettronico portatile – vale a dire concepito espressamente come strumento per l'esecuzione di musica elettronica in tempo reale - fa la sua comparsa alla fine degli anni Sessanta con il celeberrimo '''Moog''', reso famoso nel mondo dalle riletture bachiane di Walter Carlos. Zaffiri invece individua ben presto (1973) nell'apparecchiatura portatile dell'inglese EMS – il VCS 3 – (e successivamente nell'ARP 2600) il suo nuovo strumento per la ricerca e la composizione. La poetica messa in opera attraverso la nuova apparecchiatura è totalmente innovativa rispetto agli assunti strutturalisti del decennio precedente: il sintetizzatore è strumento musicale nel vero senso della parola, e questo richiede l'uscita del musicista dal laboratorio e la rinnovata scommessa di un rapporto diretto col pubblico e l'alea dell'esecuzione dal vivo. Non è infatti la ricerca degli "effetti speciali" (si pensi all'uso cabarettistico del VCS 3 operato in quegli anni da Arbore e Boncompagni) ciò che interessa a Zaffiri, ma l'impatto emotivo dei nuovi timbri irreggimentati in una logica esecutiva che tenga conto di un principio formale "chiuso" qual è quello del [[Lied]] o del [[madrigale]]. Non a caso si parla di Lied: è fondamentale infatti sottolineare che Zaffiri non avrebbe adottato il sintetizzatore senza la "scoperta" della voce, e in particolare senza la prepotente personalità interpretativa della Kappel. Ciò che non muta nella nuova stagione poetica del musicista torinese è la scelta del rigore costruttivo alla base di ogni brano: la partitura (o intavolatura?) è ancora il principio formale di riferimento di ogni sua composizione. Zaffiri dunque sceglie "l'esibizione" in prima persona, comparendo sui palchi da concerto col suo strumento e la sua cantante, in questo distaccandosi completamente dal freddo mondo accademico della musicalità italiana e avvicinandosi allo spirito "alternativo" della cultura americana, fatta di provocazione e spettacolarità, ricerca e dialogo col pubblico. La nuova stagione dell'elettronica dal vivo non ha riscontro nel resto d'Europa; il nostro compositore libera la musica dall'astrattezza concettuale della vecchia avanguardia e indica alle nuove generazioni, che in quegli anni costituiscono il suo pubblico privilegiato, un modo autentico e creativo di spezzare le catene consumistiche della nuova "[[industria culturale]]" (Horkheimer – Adorno: Dialettica dell'illuminismo).
 
===La voce===
Come in ogni "poetica", inevitabilmente anche per Zaffiri un ruolo importante lo gioca l'ambiguità delle intenzioni e degli esiti. La scelta della sperimentazione "tecnologica" come ambito operativo non deve indurre a cercare nelle composizioni del nostro musicista un'acritica celebrazione della "modernità". La scelta della voce, appunto, contraddice immediatamente la prospettiva forzata creata dalla freddezza dello strumento musicale d'elezione: il sintetizzatore. La voce non è uno strumento "moderno": essa decontestualizza ed evoca, cancella le differenze di spazio e di tempo e colloca l'ascoltatore sul piano dell'assoluta universalità del messaggio musicale. Il binomio "voce e sintetizzatore" che denota le composizioni degli anni '70, crea una specie di cortocircuito emotivo, un ossimoro musicale che accomuna in un unico gesto provocazione e memoria storica. Ciò è ancora più vero se si considera che la forma nella quale Zaffiri inscrive le sue idee è quella classicissima del "recitar cantando", forma nella quale per altro la voce è da un lato liberata dalle "forzature" del "[[bel canto]]", ma dall'altro costretta a seguire quasi [[contrappunto|contrappuntisticamente]] le evoluzioni fonetiche di una lingua poetica tutt'altro che "musicale" com'è l'inglese. Si assiste così, da "The Dark Lady" del '73, a un'esplorazione sonora delle possibilità della voce da soprano, che oscilla come una spola tra le evoluzioni acustiche dei generatori d'onda e le elucubrazioni sintattiche di testi sempre importanti e difficili, tessendo una tela musicale che difficilmente era allora possibile udire altrove nel panorama musicale internazionale.
 
===La ricreazione da camera===
Zaffiri non ha fatto parte della "nomenclatura" intellettuale nazionale, pur avendo rappresentato forse una delle punte di innovazione del repertorio musicale e culturale degli anni Sessanta e Settanta. Le ragioni di questa latenza sono molteplici, e riguardano anche la l'indisponibilità personale del nostro musicista verso i compromessi che sempre il successo impone. Da questo punto di vista risultano emblematici i lavori teatrali che negli anni settanta – ottanta egli portò in giro per l'Italia, da Roma a Bologna a Torino, scatenando reazioni sempre contrastanti e mai inerti. La più significativa di tutte le esperienze fu forse quella all'[[Accademia nazionale di Santa Cecilia]] di Roma, il cui pubblico si intrattenne alla fine della rappresentazione in una sorta di duello collettivo fatto di fischi e applausi prolungati. Anche la critica non fu mai "indifferente" alle proposte zaffiriane, e personalità come Massimo Mila dedicarono pagine attente e intelligenti alle proposte del compositore torinese.
 
Le "ricreazioni da camera" furono l'unica parentesi "politica" del compositore, e nacquero dall'esperienza teatrale del ''Giuoco dell'oca''. La struttura di opere come ''Raptus'' o ''Teleorgia'' prevedeva l'uso brechtiano di canto e recitazione, accompagnati da una proiezione (in Super8) che costituiva il contesto scenografico della rappresentazione. Sia i testi per le musiche (e spesso le musiche stesse) che la scelta delle immagini partivano da un criterio compilativo basato sulla citazione, di volta in volta storica, culturale o politico-sociale. Zaffiri stesso ha chiamato questi suoi esperimenti "teatro da camera", forse riferendosi all'organico estremamente ridotto che essi richiedevano: proiettore, nastro magnetico e cantante. Il termine "ri-creazione" era invece riferito, da unaun lato, all'uso abbondante delle citazioni; dall'altro, all'atmosfera appunto settecentesca che la loro rappresentazione sui piccoli palcoscenici dei teatri alternativi evocava.
 
Si diceva di una "parentesi politica": ognuna di queste operine ebbe infatti un forte significato di critica sociale, a volte pungente e corrosiva, altre più rarefatta e intellettualistica, ma sempre contro-corrente rispetto a qualunque forma di accondiscendenza ideologica.
 
===La Computer Art===
La "''Computer Art''" rappresenta il compimento circolare di un'esperienza estetico-creativa che racchiude in sé tutta la vita dell'artista torinese. Abbiamo esplicitato altrove i fondamenti linguistici e strutturali di questa nuova fase creativa; qui aggiungeremo soltanto alcune considerazioni sul significato generale della scelta di questo linguaggio, che oggi costituisce l'ultimo tentativo di generare un movimento d'avanguardia nella storia della cultura visiva.
Ciò che colpisce nella fruizione di questi "quadri sonori digitali", apparsi negli ultimi dieci anni in alcune rare mostre, è la persistenza di un dato "storico" quale quello della cifra sperimentale alla base della loro stessa struttura sintattica e produttiva, quasi che Zaffiri (o Marcella Chelotti, Ida Generosa, Pietro Grossi, Luciano Romoli e il più giovane Paolo Zaffiri, nipote del nostro compositore, per non citare che gli artisti ospitati nella collettiva della Biblioteca nazionale di Firenze) non possa, per la sua stessa formazione personale, staccarsi dalle proprie origini, nutritesi alle fonti stesse della cultura europea e dell'Avanguardia storica primonovecentesca.
 
D'altro lato, tuttavia, la scelta del supporto espressivo appare nuovamente determinante per la formazione di un gusto complessivo, come furono gli affreschi nel [[Trecento]] o gli olii nel [[Settecento]]: in altre parole, mentre la pittura contemporanea scivola sempre più nell'anonimato di un linguaggio materialmente inadatto ad esprimere il nostro tempo – che non è più quello dei salotti o dei musei nei quali scrutare da vicino la forma materiale di un dipinto -, la Computer Art pare essere un veicolo nello stesso tempo ineffabile e "comprensibile", per la sua stessa qualità materiale, a un pubblico assuefatto alla visione digitalizzata e alla "manipolazione" di gerghi informatici anche complessi. In conclusione, se è arduo "educare" all'arte moderna attraverso la visione diretta di un Kandinskij, così potrebbe non essere a fronte di un'opera strutturata in forma ipertecnologica, all'immediata portata delle attese oggi più diffuse in merito a cosa la cultura dovrebbe offrire. In quest'ultimo senso, Zaffiri non fa dunque che confermare la sua qualità più sottaciuta ma coerente: quella cioè di essere un artista "difficile" ma, sostanzialmente, "compreso" e, per lunghi anni, anche amato dai pubblici coi quali ha instancabilmente dialogato.