Campi per l'internamento civile in Italia: differenze tra le versioni

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=== Nelle colonie ===
Con l'acquisto da parte del governo italiano della [[baia di Assab]], in [[Eritrea]], nel [[1882]] ebbe ufficialmente inizio il [[colonialismo italiano]]. Fin da subito la presenza italiana fu fortemente osteggiata dalle popolazioni locali e il processo di espansione nel [[Corno d'Africa]] fu molto più lungo e faticoso del previsto. Per stroncare le rivolte e sottomettere le popolazioni africane non bastarono i sanguinosi [[Saccheggio|saccheggi]] e [[Rastrellamento|rastrellamenti]] ad opera delle truppe italiane; si optò dunque per l'istituzione di un grande campo di concentramento punitivo, rivolto agli africani avversi all'[[imperialismo]]. Venne individuato come luogo ottimale l'isola di [[Nocra]], al largo dell'Eritrea, per via delle pesanti condizioni climatiche. Nell'isola infatti le temperature possono raggiungere i 50&nbsp;°C, e il [[tasso di umidità]] può arrivare al 90%. Ciò, unito alla scarsissima distribuzione di cibo e acqua (la razione era di 300 grammi di farina, 10 di tè e 20 di zucchero, razione non garantita quotidianamente), comportava frequentissimi ribellioni e tentativi di fuga, terminati sempre con l'esecuzione dei fuggitivi<ref>{{Cita web|url=https://antonioschiavulli.wordpress.com/2013/01/27/linferno-di-nocra/|titolo=L'inferno di Nocra|autore=Antonio Schiavulli|data=27 gennaio 2013}}</ref>. La più memorabile fu la fuga di massa tentata nel 1893.
 
Il [[tasso di mortalità]] a Nocra superava il 58% e i superstiti erano soliti perdere l'uso delle gambe a causa dello strazio fisico disumano<ref>{{Cita libro|autore=Ian Campbell|titolo=Il massacro di Addis Abeba - una vergogna italiana|url=https://books.google.it/books?id=E9VdDwAAQBAJ&pg=PT282&lpg=PT282&dq=campo+di+nocra+morti&source=bl&ots=B14QZXdW-J&sig=ACfU3U3lcDAAAi2NN36DHResw_ZrqFIbvg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjcnIrg6ovqAhVN2aYKHZdkC00Q6AEwBXoECAoQAQ#v=onepage&q=campo%20di%20nocra%20morti&f=false|annooriginale=2018|editore=Rizzoli}}</ref>.
 
A Nocra seguirono numerosi altri campi, presenti in tutte le colonie. I più grandi furono, nella [[Libia italiana]], nelle città di [[Agedabia]], [[El-Agheila|El Algheila]], [[Brega (Libia)|Brega]], El Maghrun e [[Soluch]] e, nella [[Somalia italiana]], nella città di [[Danane]].
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=== Nei Balcani ===
Il modello adottato (anche per gli ebrei) fu piuttosto quello dei campi di [[confino]]; agli internati era concessa una certa libertà di movimento e autonomia organizzativa e la possibilità di ricevere aiuti e assistenza dall'esterno. Il trattamento fu simile a quello di una prigionia e non fu affiancato da violenze antisemite fisiche o morali aggiuntive. Gli internati familiarizzarono con le popolazioni locali. Soprattutto gli ebrei non furono consegnati ai tedeschi e non furono soggetti a deportazione nei campi di sterminio.<ref>Elisabeth Bettina, ''It Happened in Italy: Untold Stories of How the People of Italy Defied the Horrors of the Holocaust''. Nashville: Thomas Nelson, 2009.</ref>
 
Le comunità ebraiche italiane si mobilitarono a sostegno dei loro correligionari internati attraverso l'istituzione della [[DELASEM]] (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei), una società di assistenza per i profughi creata dall'[[Unione delle comunità israelitiche in Italia]] il 1º dicembre 1939 con l'assenso del regime.<ref>Sandro Antonini, ''DELASEM: Storia della più grande organizzazione ebraica di soccorso durante la seconda guerra mondiale'', Genova, De Ferrari, 2000, ISBN 978-8871723020.</ref> Durante tutto il primo periodo bellico e fino all'8 settembre del 1943 la DELASEM poté svolgere legalmente un'opera fondamentale nell'assistenza dei profughi ebrei, rendendo meno dure le condizioni di vita nei campi, favorendo l'emigrazione di migliaia di internati e quindi sottraendoli di fatto allo sterminio. Poiché nei campi erano presenti anche molti cristiani cattolici ed ortodossi, anche la Chiesa attivò le proprie organizzazioni caritative a favore degli internati. La rete di rapporti che così si stabilì tra la DELASEM e alcuni vescovi e sacerdoti sarà decisiva per la continuazione delle attività dell'organizzazione in una condizione di clandestinità dopo l'8 settembre 1943.
 
Per gli slavi invece la situazione fu molto diversa, in quanto essi furono sottoposti ad una vera e propria azione di [[pulizia etnica]] nei territori occupati dall'Italia. In alcuni campi la popolazione civile slava fu soggetta a condizioni di vita inumane che portarono alla morte per stenti di migliaia di prigionieri (inclusi donne e bambini).<ref>Alessandra Kersevan, ''Lager italiani: pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941–1943'', Roma, Nutrimenti, 2008, ISBN 978-88-88389-94-3.</ref>
 
Dopo la caduta di [[Benito Mussolini]] il 25 luglio 1943, molti dei campi furono aperti e i prigionieri li poterono abbandonare. Molti prigionieri però rimasero nei campi, non avendo semplicemente altro luogo in cui andare. Dopo l'8 settembre 1943 i campi situati nell'Italia meridionale (tra cui [[Ferramonti]] e [[campo di internamento di Campagna|Campagna]]) furono liberati dagli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]] e i prigionieri rimastivi (inclusi molti ebrei) trovarono la libertà. Nel Centro-Nord la [[Repubblica Sociale Italiana]] trasformò alcuni dei campi in campi di raccolta e concentramento per gli ebrei (italiani e "stranieri"), ora soggetti a deportazione verso i campi di sterminio della Germania. Nuovi campi ([[Borgo San Dalmazzo]], [[Fossoli]], [[Bolzano]], la [[Risiera di San Sabba]]) furono specificamente allestiti per le finalità dell'Olocausto.<ref>Liliana Picciotto, ''L'alba ci colse come un tradimento: gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944'', Milano: Mondadori, 2010; Tristano Matta, ''Il Lager di San Sabba. Dall'occupazione nazista al processo di Trieste'', Trieste: Beit casa editrice, 2013, ISBN 978-88-95324-30-2.</ref>