Matilde di Canossa: differenze tra le versioni

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Dopo numerosi successi militari, tra cui quello sui [[Sassoni]], l'imperatore Enrico si preparava nel 1090 alla sua terza discesa in terra italica, per infliggere una sconfitta definitiva alla Chiesa. L'itinerario fu quello solito, il [[Brennero]] e Verona, confine con i possedimenti di Matilde che iniziavano a partire dalle porte della città. La battaglia si accentrò presso Mantova. Matilde si assicurò la fedeltà degli abitanti esentandoli da alcune tasse come il [[teloneo]] e il [[ripatico]] e con la promessa di essere integrati nello status di ''Cittadini Longobardi'' con il diritto di caccia, pesca e taglialegna su entrambe le rive del fiume [[Tartaro-Canalbianco|Tartaro]].
 
La città resistette fino al ''tradimento del giovedì santo'', nel quale i cittadini cambiarono fronte in cambio di alcuni ulteriori diritti concessi loro dall'assediante Enrico IV. Matilde si arroccò nel 1092 sull'Appennino reggiano attorno ai suoi castelli più inespugnabili, in modo particolare a [[Canossa]],<ref>{{Cita libro |autore=Paolo Golinelli |titolo=Matilde di Canossa |città=Roma |editore=[[Salerno Editrice|Salerno]] |pagina=parte I, capitolo 21, pag. 164}}</ref> e Carpineti., che dove ascoltò i consigli dell'eremita Giovanni cheda Marola ché l'incitava a continuare la guerra contro l'imperatore. Sin da [[Dinastia dei Canossa#Adalberto Atto|Adalberto Atto]] il potere dei Canossa si era basato su una rete di castelli, rocche e borghi fortificati situati nella [[Val d'Enza]], che costituivano un complesso sistema poligonale di difesa che aveva sempre resistito ad ogni attacco portato sull'Appennino. Dopo alterne e sanguinose battaglie, il potente esercito imperiale venne preso in una morsa.
 
Nonostante l'esercito imperiale fosse temibilissimo, fu distrutto dalla vassalleria matildica dei piccoli feudatari e assegnatari dei borghi fortificati, che mantennero intatta la fedeltà ai Canossa anche di fronte all'Impero. La conoscenza perfetta dei luoghi, la velocità delle informazioni e degli spostamenti, la presa delle posizioni strategiche in tutti i luoghi elevati della val d'Enza, ebbero la meglio sul potente imperatore. Pare che la stessa contessa avesse partecipato, con un manipolo di guerrieri scelti e fedeli, alla battaglia, galvanizzando gli alleati all'idea di combattere una guerra giusta. L'esercito imperiale fu preso a tenaglia nella vallata, ma la sconfitta totale fu più di una guerra persa: Enrico IV si rese conto dell'impossibilità di penetrare quei luoghi asperrimi, ben diversi dalla Pianura Padana o della Sassonia: non si trovava più di fronte ai confini tracciati dai fiumi dell'Europa centrale, ma a scoscesi sentieri, [[Calanco|calanchi]], luoghi impervi protetti da rocche turrite, da [[casatorre|case-torri]] che svettavano verso il cielo, dalle quali gli abitanti scaricavano dardi di ogni genere su chiunque si avvicinasse: lance, frecce, forse anche olio bollente,<ref>All'epoca più propriamente si sarebbe trattato di grassi animali, resine e pece.</ref> giavellotti, massi, [[Picca|picche]] infocate. Con queste armi chi si trovava più in alto aveva spesso la meglio.