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{{conflitto
|Tipo = Operazione militare
|Nome del conflitto = Operazione Deny Flight
|Parte_di = della [[guerra in Bosnia ed Erzegovina]]
|Immagine = F-15C 53FS 36FW Aviano 1993.jpeg
|Didascalia = Un [[McDonnell Douglas F-15 Eagle|F-15 Eagle]] statunitense nella [[Basebase aerea di Aviano]] durante l'operazione
|Data = 12 aprile 1993 – 20 dicembre 1995
|Luogo = [[Bosnia ed Erzegovina]]
|Esito = firma dell'[[accordo di Dayton]]
|Schieramento1 = {{Bandiera|NATO|nome}}
|Schieramento2 = {{BA-SRP}}
|Comandante1 = {{Bandiera|USA}} [[Jeremy Boorda]] <small>(1993–1994)</small><br />{{Bandiera|USA}} [[Leighton Smith]] <small>(1994–1995)</small>
|Comandante2 = [[File:Flag of Republika Srpska.svg|20px|border]] [[Radovan Karadžić]]<br />[[File:Flag of Republika Srpska.svg|20px|border]] [[Ratko Mladić]]
|Effettivi1 =
|Effettivi2 =
|Perdite1 = 3 aerei perduti in azione<br/>7 aerei perduti in incidenti<ref name=Ripley-83 />
|Perdite2 = sconosciute con precisione<br/>4 aerei abbattuti<ref name=Ripley-83 />
|Note =
}}
 
'''Operazione Deny Flight''' (in [[lingua inglese]], letteralmente, "negare il volo") era il [[nome in codice]] dell'operazione militare lanciata dall'[[NATO|Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord]] (NATO) il 12 aprile 1993 in attuazione della risoluzione 816 del [[Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite]], la quale istituiva una [[zona d'interdizione al volo]] estesa sull'intero spazio aereo della [[Bosnia ed Erzegovina]] in quel momento sconvolta da [[guerra in Bosnia ed Erzegovina|un sanguinoso conflitto]]. Il mandato della missione NATO, inizialmente comprendente solo il blocco dei voli militari non autorizzati sui cieli della Bosnia ed Erzegovina, fu poi ampliato con la risoluzione 836 del 4 giugno 1993: i velivoli dell'alleanza atlantica furono autorizzati a condurre raid armati contro obiettivi al suolo ondeper fornire protezione alle unità della missione dei caschi blu in Bosnia ([[UNPROFOR]]), in particolare nelle sei "zone di sicurezza" istituite attorno ad altrettante città assediate dalle forze dei [[Serbi di Bosnia ed Erzegovina|serbo-bosniaci]] ([[Sarajevo]], [[Srebrenica]], [[Žepa]], [[Goražde]], [[Tuzla]] e [[Bihać]]).
 
Nei mesi successivi i velivoli NATO furono varie volte chiamati a sostegno dei caschi blu alle prese con attacchi e bombardamenti delle forze serbo-bosniache, ma il sistema di approvazione dei raid aerei si dimostrò molto complesso e spesso inefficiente, gravato come era dai profondi contrasti politici tra i vari organismi coinvolti: se gli ambienti NATO ritenevano gli attacchi aerei un ottimo strumento di deterrenza nei confronti dei belligeranti, i comandi ONU nella regione erano invece molto restii a impiegarli, non volendo compromettere il ruolo di stretta neutralità dell'UNPROFOR ritenuto necessario per poter proseguire i negoziati per un [[cessate il fuoco]] tra le parti in conflitto. Inoltre, la stessa NATO si ritrovò spaccata tra la linea degli [[Stati Uniti d'America]] e quella dei principali alleati [[Europa|europei]], [[Francia]] e [[Regno Unito]] su tutti: i primi sostenevano un atteggiamento di fermezza verso i serbo-bosniaci comprendente il pieno ricorso ai bombardamenti aerei, ma erano contrari a coinvolgere nel conflitto le loro truppe da combattimento terrestri; i secondi, tra i principali contribuenti della missione UNPROFOR, temevano invece le azioni di ritorsione ai raid aerei che i serbo-bosniaci avrebbero potuto mettere in atto contro i caschi blu sul terreno e puntavano tutto sulla strategia negoziale.
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{{Doppia immagine|right|Jeremy M. Boorda.jpg|150|Admiral Leighton Smith, official military photo, 1991.jpg|150|I comandanti dell'[[Allied Joint Force Command Naples|AFSOUTH]] durante l'operazione Deny Flight: a sinistra l'ammiraglio [[Jeremy Boorda]], a destra l'ammiraglio [[Leighton Smith]]}}
 
La direzione dell'operazione Deny Flight fu assegnata all'[[Allied Joint Force Command Naples|Allied Forces Southern Europe]] (AFSOUTH), il comando della NATO con sede a [[Napoli]] responsabile per le operazioni nell'Europa meridionale, retto in quel momento dall'[[ammiraglio]] statunitense [[Jeremy Boorda]]. Gli aerei da combattimento assegnati all'operazione furono riuniti nella 5ª Forza aerea tattica alleata (5 ATAF), la quale ricevette contingenti di velivoli da Stati Uniti, [[Regno Unito]], [[Francia]], [[Paesi Bassi]], [[Spagna]] e [[Turchia]]; aerei da ricognizione furono forniti da [[Germania]] e [[Portogallo]], mentre il [[Canada]] e l'[[Italia]] misero a disposizione solo aerei da trasporto<ref name=Ripley-81-83>{{cita|Ripley|pp. 81-83}}.</ref>. Per i francesi la partecipazione a Deny Flight rappresentò la loro piena reintegrazione nella NATO, dopo la formale uscita di [[Parigi]] dalla struttura militare dell'alleanza decisa nel 1968, mentre per i tedeschi l'operazione fu la prima missione militare operativa condotta fuori dai propri confini dalla fine della [[seconda guerra mondiale]]<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 265-266}}.</ref>. Gli aerei della 5 ATAF operavano principalmente a partire dall'Italia, in particolare dalle basi aeree [[Base aerea di Aviano|di Aviano]], [[Base aerea di Sigonella|di Sigonella]], [[Aeroporto di Gioia del Colle|di Gioia del Colle]] e [[Aeroporto di Verona-Villafranca|di Villafranca]], oltre che dalle [[portaerei]] dislocate in Adriatico (si alternarono in questi compiti le statunitensi {{nave|USS|Theodore Roosevelt|CVN-71|6}} e {{nave|USS|America|CVA-66|6}}, le britanniche {{nave|HMS|Invincible|R05|6}} e {{nave|HMS|Ark Royal|R07|6}}, le francesi ''[[Foch (R 99)|Foch]]'' e ''[[Clemenceau (R 98)|Clemenceau]]''); i velivoli da combattimento impiegati dai reparti statunitensi comprendevano gli aerei d'attacco aal suolo [[Fairchild-Republic A-10 Thunderbolt II|A-10 Thunderbolt]] e i caccia multiruolo [[Grumman F-14 Tomcat|F-14 Tomcat]], [[McDonnell Douglas F-15 Eagle|F-15 Eagle]], [[General Dynamics F-16 Fighting Falcon|F-16 Fighting Falcon]] (impiegato anche da olandesi e turchi) e [[McDonnell Douglas F/A-18 Hornet|F/A-18 Hornet]] (impiegato anche dagli spagnoli), mentre i britannici volavano su [[Panavia Tornado|Tornado]] (impiegati anche dai tedeschi), [[BAE Harrier II|Harrier]] e [[SEPECAT Jaguar|Jaguar]], questi ultimi usati anche dai francesi unitamente ai [[Dassault Mirage 2000|Mirage 2000]]<ref name=Ripley-81-83 />.
 
Le regole d'ingaggio stabilite per l'operazione erano conseguenza dei rapporti tra l'Occidente e la [[Russia]], tradizionalmente vicina ai serbi, nonché delle contese interne alla stessa alleanza atlantica: gli Stati Uniti erano favorevoli a impiegare la forza aerea per costringere le parti in conflitto a rispettare le risoluzioni dell'ONU, ma non avevano alcuna intenzione di dispiegare nei Balcani truppe da combattimento terrestri, men che meno sotto il comando delle Nazioni Unite; Regno Unito e Francia, al contrario, avevano fornito alla missione UNPROFOR in Bosnia ampi contingenti di truppe e temevano che azioni decise potessero spingere i belligeranti a rivalersi sui caschi blu sul terreno, dotati solo di armi leggere e dispersi in piccole guarnigioni, con conseguente necessità di inviare altri reparti per tirare fuori dai guai le unità dell'ONU<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 255, 276}}.</ref><ref>{{cita|Finlan|p. 43}}.</ref>. Conseguentemente, gli aerei della 5 ATAF potevano aprire il fuoco solo contro i velivoli scoperti all'interno della zona d'interdizione e attivamente impegnati in un combattimento: gli aerei e gli elicotteri che violavano la zona d'interdizione ma che non partecipavano direttamente a combattimenti potevano solo essere invitati ad atterrare o a lasciare la zona, anche "sfiorandoli" ad alta velocità per costringerli. Gli aerei NATO non potevano inseguire altri velivoli al di fuori dello spazio aereo della Bosnia ed Erzegovina, e non potevano sparare su postazioni al suolo nemmeno se da esse fosse stato fatto fuoco su di loro<ref name=Pirjevec-265 /><ref name=Ripley-17>{{cita|Ripley|p. 17}}.</ref>.
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[[File:Western Bosnia 1994.png|miniatura|L'enclave di Bihać nel 1994]]
 
Il 22 ottobre 1994 le forze bosgnacche asserragliate nella sacca di Bihać scatenarono una massiccia offensiva contro i serbo-bosniaci, iniziando a guadagnare molto terreno nel nordNord-ovest della Bosnia; contemporaneamente le forze croato-bosniache, che ormai da due anni osservavano una sorta di tacita tregua con i serbi, lanciarono un pesante attacco nell'Erzegovina occidentale<ref>{{cita|Pirjevec|p. 411}}.</ref>. Mentre la Repubblica Serba ordinava la mobilitazione generale, Milošević mise da parte i suoi contrasti con Karadžić e iniziò a rinforzare i serbo-bosniaci con reparti di volontari provenienti da Serbia e Krajina, oltre a fornire carri armati e armi pesanti tra cui i moderni sistemi missilistici antiaerei a lungo raggio [[S-75]] (SA-2 "Guideline" in [[Nome in codice NATO|codice NATO]]) e [[Kub (missile)|Kub]] (SA-6 "Gainful") ricevuti dalla Russia. Il 2 novembre i serbi scatenarono una massiccia controffensiva nel settore di Bihać partendo anche dalla confinante Krajina, prendendo in contropiede i troppo dispersi reparti bosgnacchi e riconquistando il terreno perduto. Le forze serbe finirono ben presto con il superare la vecchia linea del fronte e penetrare nella zona di sicurezza posta dall'ONU attorno a Bihać, i cui confini del resto non erano tracciati con precisione; per protesta contro l'offensiva bosgnacca la Francia aveva ritirato il 30 ottobre il proprio contingente dislocato nell'enclave, lasciando la difesa della zona di sicurezza a un battaglione di caschi blu del [[Bangladesh]] molto male equipaggiato<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 415-416}}.</ref>.
 
Sotto pressione da parte degli statunitensi, Boutros-Ghali ordinò a Rose di dare il via a raid aerei contro le forze attaccanti, ma il generale vanificò questa disposizione ordinando ai suoi osservatori sul terreno di non indicare alcun bersaglio ai velivoli della NATO; la situazione fu poi ulteriormente esacerbata dal comportamento del comando dell'UNPROFOR, che minimizzò la portata delle notizie provenienti da Bihać e vietò ai giornalisti di recarvisi<ref>{{cita|Pirjevec|p. 416}}.</ref>. Incitato dal Congresso, il presidente Clinton propose misure più dure per intervenire nella crisi jugoslava, tra cui l'abolizione unilaterale dell'embargo sulle armi alla Bosnia ed Erzegovina e alla Croazia; l'opposizione degli alleati europei, francesi e britannici in primo luogo, fu così dura da far paventare al nuovo segretario generale dell'alleanza, il belga [[Willy Claes]], il rischio di una spaccatura dell'organizzazione<ref>{{cita|Pirjevec|p. 417}}.</ref>.
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Il 14 luglio le unità serbo-bosniache mossero all'attacco dell'enclave di Žepa, poco a sud di Srebrenica; i difensori bosgnacchi disarmarono il contingente di caschi blu ucraini assegnato alla protezione della zona di sicurezza e opposero una dura resistenza prima di essere obbligati alla resa il 25 luglio: un centinaio di prigionieri di guerra bosgnacchi fu ucciso dopo la cattura, ma al contrario di Srebrenica alla popolazione fu concesso di evacuare il centro abitato e trovare rifugio nelle zone controllate dal governo di Sarajevo. Contemporaneamente, il 19 luglio i serbo-bosniaci ripresero i bombardamenti su Bihać e Sarajevo, colpendo anche un convoglio dell'UNPROFOR e uccidendo due caschi blu francesi; il generale Rupert Smith rispose a questi attacchi facendo brevemente bombardare dall'artiglieria della Forza di reazione rapida le trincee serbe<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 484-485}}.</ref>.
 
L'eco del massacro di Srebrenica e le continue violazioni delle zone di sicurezza obbligarono la comunità internazionale a rivedere le sue strategie. Per discutere sul da farsi, tra il 20 e il 21 luglio si riunirono a Londra i ministri degli Esteri e della Difesa dei membri NATO nonché rappresentanti di Russia e Nazioni Unite; nonostante i britannici fossero fermamente intenzionati a portare avanti una soluzione strettamente diplomatica del conflitto, su influenza degli Stati Uniti dalla conferenza uscirono misure decise: la NATO promise di impegnare tutto il suo potenziale perché l'enclave di Goražde non divenisse la prossima vittima dell'offensiva serbo-bosniaca, ma soprattutto fu semplificato il sistema della "doppia chiave" eliminando il ramo politico del processo decisionale e concentrando unicamente nei comandi militari (quello dell'UNPROFOR a Zagabria e quello dell'AFSOUTH a Napoli) la scelta dei modi e dei tempi delle incursioni aeree. Si decise inoltre di evacuare il personale dell'UNPROFOR dalle zone controllate dai serbo-bosniaci per evitare nuove prese di ostaggi, e si diede mandato alla NATO di bombardare non solo le forze impegnate in eventuali attacchi alle zone di sicurezza ma anche le loro installazioni militari nelle retrovie e le linee di comunicazione, estendendo senza limiti la portata delle incursioni all'intera macchina bellica dei serbo-bosniaci<ref name=Pirjevec-483>{{cita|Pirjevec|pp. 482-483}}.</ref><ref>{{cita|Finlan|p. 80}}.</ref>.
 
[[File:Shali and Berlijn.jpg|miniatura|Il generale Shalikashvili durante una visita in Bosnia-Erzegovina accompagnato dal tenente colonnello Berlijn]]
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Il 29 luglio il generale Rupert Smith si incontrò con il comandante delle forze aeree dell'AFSOUTH, il generale statunitense [[Michael E. Ryan]], per mettere a punto piani concreti per un'azione comune tra l'alleanza e l'UNPROFOR, sfociati poi il 10 agosto in un protocollo d'intesa segreto (di cui, pare, furono tenuti all'oscuro i delegati russi e cinesi dell'ONU) secondo cui da quel momento in poi gli attacchi aerei sarebbero stati "sproporzionati" rispetto all'entità dell'offesa e non sarebbero stati necessariamente limitati all'area dove si sarebbero verificate violazioni da parte dei serbo-bosniaci. Entro il 14 agosto la NATO aveva stilato una lista di potenziali obiettivi da colpire, combinando insieme due piani strategici già approntati in precedenza: "Dead Eye", volto a distruggere il sistema di difesa antiaerea della Repubblica Serba, e "Deliberate Force", dedicato invece alle minacce dirette alle zone di sicurezza; furono subito intensificati sulla Bosnia ed Erzegovina i voli di ricognizione, anche tramite i nuovi [[Aeromobile a pilotaggio remoto|aeromobili a pilotaggio remoto]] [[General Atomics RQ-1 Predator|RQ-1 Predator]], e le attività di [[SIGINT|sorveglianza elettronica]] delle comunicazioni dei serbo-bosniaci<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 485-486}}.</ref>.
 
La leadership statunitense ritrovò una certa unità in merito alla crisi jugoslava: il pensionamento del generale [[Colin Powell]], che dalla sua carica di [[Capo dello stato maggiore congiunto]] aveva sempre avversato qualsiasi avventura militare nei Balcani, portò alla nomina alla guida dell'apparato militare statunitense del generale [[John Shalikashvili]], desideroso invece di chiudere al più presto la crisi onde evitare ulteriori spaccature tra gli Stati Uniti e gli alleati europei<ref name=Pirjevec-483 />. Boutros-Ghali e il suo delegato Akashi furono isolati e di fatto esclusi dai colloqui di pace con le parti belligeranti in favore di un diplomatico statunitense, il vice segretario di statoStato [[Richard Holbrooke]]: la posizione di Holbrooke era che i negoziati dovessero andare avanti, ma che un credibile uso della forza da parte della NATO sarebbe stato necessario per spingere alla trattativa gli elementi più radicali nel campo serbo-bosniaco<ref>{{cita|Pirjevec|p. 499}}.</ref>.
 
== L'operazione Deliberate Force ==